
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Tutti gli anni, arrivati al 7 dicembre, facciamo il pezzo sulla prima della Scala.
• Tutti gli anni io le domando perché la prima della Scala è tanto importante.
E tutti gli anni io le rispondo: «E’ la Scala che è importante, innanzi tutto. Al mondo ci sono altri teatri lirici di prima grandezza, per esempio il Metropolitan di New York o il Covent Garden di Londra. Ma nessuno ha il curriculum della Scala. Qui sono andate in scena un mucchio di prime assolute. Gliene dico solo alcune: La gazza ladra di Rossini, Norma di Bellini, Nabucco, Otello e Falstaff di Verdi, Gioconda di Ponchielli, Madama Butterfly e Turandot di Puccini. Madama Butterfly fece un tonfo di cui si parla ancora. Puccini, amareggiatissimo, rimise mano all’opera, tagliò, aggiustò e rifece un’altra prima, stavolta però a Brescia, che fu trionfale. In un certo senso, Madama Butterfly è stata scritta anche dal pubblico della Scala. qui che Toscanini, col famoso concerto dell’ 11 maggio 1946, annunciò non solo ai milanesi, ma a tutto il Paese che la guerra era finita e si doveva ricominciare. La Scala era stata bombardata nella notte tra il 15 e il 16 agosto del 1943 e, appena rimosse le macerie e sistemato un po’ il tetto, ci suonarono la Quinta di Bruckner e l’ouverture del Coriolano di Beethoven, a cielo aperto e con sedie qualunque su cui sedettero numerosissimi gli spettatori. Dentro di me ho sempre considerato questo episodio – di Beethoven eseguito in un teatro privo di tetto – simile a quello che si racconta di certi prigionieri, i quali resistono agli orrori della cella imponendosi di stare in ordine, di farsi la barba, di indossare – se gli è concesso – il vestito migliore, rifiutandosi cioè di abdicare alla propria dignità. Così la Milano del ”44 volle ascoltare Beethoven, nonostante ci fosse ben altro a cui pensare. E Toscanini, quando nel ”46 entrò nel teatro ricostruito, esclamò: ’L’acustica è identica a quella di prima’. Non era vero, ma bisognava, appunto, ricominciare. E quella bugia, detta alla Scala, ci aiutò a farci coraggio» .
• Quest’anno?
La Carmen di Bizet ( in diretta Sky per tutti gli abbonati dalle 17.30).
• Ancora? Ma non si potrebbe qualche volta andare con qualcosa di più nuovo?
La regia si annuncia rivoluzionaria. Forse anche troppo rivoluzionaria. stata affidata a Emma Dante, una palermitana di 40 anni, che ha sempre fatto un teatro estremo, colorato, passionale, folle. Ha subito fatto sapere di non aver mai fatto una regia lirica e di non aver mai messo piede alla Scala. Questo ha attirato su di lei i giornalisti di mezzo mondo. La Dante ha annunciato – esteticamente parlando – degli autentici sfracelli. La tragedia di Carmen, ammazzata alla fine da don José, si svolge in un «paese immaginario, immerso nella religiosità e nella superstizione, affollato di croci, chierichetti, sacerdoti, ex voto, arredi sacri che tentano di ghermire la laica e libera Carmen che pure non è vestita da zingara ma da suora, come le sigaraie che vivono ammassate in una fabbrica monastica e carceraria». Carmen, se qualcosa non verrà cambiato all’ultimo momento, «sarà seguita per tutta la rappresentazione da una bara affiancata da cinque prefiche velate che alla fine accoglieranno il suo corpo esanime».
• Che cosa sono le prefiche?
Le donne che venivano assoldate per piangere e disperarsi intorno al cadavere, nel corso della veglia funebre, e poi dietro alla cassa durante la cerimonia. Queste apparenti stravaganze hanno già superato una prova difficile: l’anteprima riservata ai giovani, che ha avuto luogo venerdì scorso. I ragazzi sono venuti in scarpe da tennis o mettendosi la cravatta con Topolino, ma hanno poi ascoltato, stando in piedi e tutti seri, l’inno nazionale e si sono spellati le mani alla fine. Il «Sud dell’anima» messo in scena dalla Dante è piaciuto. Le dico però che questa attenzione spasmodica per la regia è alla fine esagerata.
• Perché?
Bisogna concentrarsi piuttosto sulla giovane ragazza di 25 anni che canta Carmen. Una sconosciuta dal nome impronunciabile: Anita Rachvelishvili. Viene da Tbilisi, la capitale della Georgia. I suoi per farla arrivare a Milano, dove aveva vinto il concorso per l’Accademia, ipotecarono la casa. Alla Scala si studia con una borsa, ma la famiglia non aveva i soldi per il biglietto aereo. Dice Anita: «E’ capitato spesso che non avessimo di che mangiare. Ci vestivamo come si poteva, indossando anche gli abiti dei nonni. Per sopravvivere i miei genitori hanno dovuto rinunciare alla loro professione. La mamma è parrucchiera ma sarebbe una ballerina. Papà è capocantiere ma sarebbe un compositore». Stasera, facciamo il tifo soprattutto per lei. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 7/12/2009]
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