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 2009  dicembre 07 Lunedì calendario

Fondi sovrani in fuga Il Kuwait vende Citi e guadagna un miliardo- Nel momento più drammatico della crisi avevano contribuito a salvarle, le banche, gettando loro il salvagente dei petrodollari: oltre 60 miliardi tra il 2007 e il 2008, accumulati in anni in cui il greggio galoppava di massimo in massimo

Fondi sovrani in fuga Il Kuwait vende Citi e guadagna un miliardo- Nel momento più drammatico della crisi avevano contribuito a salvarle, le banche, gettando loro il salvagente dei petrodollari: oltre 60 miliardi tra il 2007 e il 2008, accumulati in anni in cui il greggio galoppava di massimo in massimo. Ora che il petrolio è meno infuocato e che la crisi ha azzoppato molti loro investimenti, i fondi sovrani suonano la ritirata dai grandi gruppi creditizi, tentando di contenere le perdite e, se possibile, racimolare qualche plusvalenza. Impresa che è riuscita alla Kuwait Investment Authority, il fondo sovrano (cioè alimentato da soldi pubblici) dell’emirato confinante con l’Iraq. Due anni fa, nel gennaio del 2008, aveva investito 3 miliardi di dollari (su 250 di attivi totali in capo al fondo) in azioni privilegiate di Citi (quella che una volta si chiamava Citigroup) che, vendute dopo la loro conversione in ordinarie per 4,1 miliardi, hanno fruttato un guadagno di 1,1 miliardi di dollari. La «missione compiuta» è stata annunciata ieri da Kuwait City: l’operazione è stata chiusa con un guadagno del 37%. Vince così la sua scommessa Bader al-Sa’ad, il managing director del fondo, che alla fine del 2008 aveva iscritto alla voce Citi una perdita di 270 milioni di dollari. Il recupero delle borse ha invertito la situazione, Citi da azzardo è divenuta un buon investimento. Da chiudere in fretta, però. Dopo aver sfruttato la fame di liquidità dei grandi gruppi in crisi (proprio il fondo del Kuwait contribuì a salvare con 2 miliardi pure Merrill Lynch, assorbita poi da Bank of America), i fondi sovrani stanno cambiando strategia. Meno banche e più industria (specie alimentare e di lavorazione di materie prime), meno Occidente e più Paesi Emergenti. I pesi e i contrappesi della finanza mondiale sono mutati, loro si adeguano. La ritirata dal mondo del credito, per esempio, è ampia e generalizzata. A maggio Temasek, fondo di Singapore, ha preferito concentrarsi sulla Cina e ha quindi venduto - con una perdita di 4,6 miliardi su 6,2 investiti - la sua quota in Merrill Lynch poi inglobata in Bank of America. Più fortuna per l’altro fondo di Singapore, il Gic: la vendita di quote di Citi, a settembre, ha portato una plusvalenza di 1,6 milioni di dollari. Altra banca, Barclays, altri fondi in fuga. A giugno vende quasi tutta la sua quota il fondo di Abu Dhabi, a ottobre lo segue quello del Qatar, pur mantenendo il 7%. Entrambi ci guadagnano. La via dunque è segnata, l’epoca degli emiri prodighi di dollari per l’Occidente è finita, gli sceicchi vogliono investimenti con maggiori prospettive. Nell’accelerazione di questo processo conta sicuramente l’esplosione dei problemi di Dubai: oggi sapremo come le Borse giudicheranno questa nuova fuga dalle banche di un fondo sovrano. Proprio a Dubai, in queste ore, tirano sospiri di sollievo. Non solo l’Fmi ritiene che l’impatto delle sue difficoltà a livello mondiale «sarà contenuto». Ieri, per la prima volta dalla richiesta di moratoria per Dubai World, la Borsa dell’emirato è tornata a salire: +1,18%. Non è boom, ma significa che non tutto è perduto, nemmeno per chi ha costruito imperi sulla sabbia.