Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 07 Lunedì calendario

ORA C’ IL GIALLO DEL GIALLO: LA VERITA’ SU QUELLA NOTTE L’HA SCRITTA IN UN ROMANZO?


L’ape regina, come la chiamava Patrick Lumumba, vola alta. Splendida. E, in fondo, irraggiungibile come i sogni: «Avevi quei guanti color viola, senza le dita, e i capelli sciolti. Quanto eri bella! Davvero, eri incredibile». Amanda, Amanda Knox, per il giovane innamorato che la corteggiava, era «la luna in un panorama azzurro malinconico». E il ragazzo ancora trema per l’emozione davanti a quella visione. Folgorante. Ecco, se l’Amanda che calamitava gli uomini è stata devastante nella vita, l’Amanda costruita con taglio letterario è l’ideale romantico che sconvolge la vita di chi la guarda. Di un giovane che l’ha incrociata, «quando i fari di quella macchina avevano illuminato i tuoi capelli biondi». Biondi solo perché siamo in una prospettiva narrativa. Il ragazzo non ha un nome preciso, anche se potrebbe essere Raffaele Sollecito o Rudy Guede o chiunque altro. Certo, questo giovane è il protagonista di un racconto che sembra echeggiare a distanza il giallo di Perugia: lui scrive a lei, la loda e si rammarica perché non l’ha soccorsa e ora si rende conto di averla persa; lei aveva partecipato ad un festino, c’erano tanti ragazzi che si bucavano e sul pavimento una montagna di lattine, lei era a terra. Svenuta. Lei, così bella, era priva di conoscenza, e senza giacca e maglia.
C’è più di un ingrediente del dramma di Perugia in questo racconto breve scritto da un detenuto del carcere di Perugia e vincitore di un concorso promosso dalla Caritas di Perugia. Insomma, giallo per giallo, si può ragionevolmente ipotizzare che questa storia sia stata pensata da qualcuno che era sulla scena dal delitto il 2 novembre 2007. Il sospetto, ma anche più di un sospetto, è che quella pagina, dove un ammiratore stipa la sua adolescenziale adorazione per la ragazza che lo ha stregato, sia stato scritto proprio da lei. Dall’ape regina. Da Amanda che ora, dopo il verdetto, grida disperata. Certo, la terribile vicenda di Meredith è parte del bagaglio di ciascun italiano e dunque bastano poche righe, piccole suggestioni, modeste sfumature per innescare il gioco delle coincidenze, dei rimandi, delle deduzioni: si può leggere questo racconto, in fondo una variante del diario segreto che ciascuno di noi custodisce in qualche cassetto, come una prova di fantasia; e lo si può scandagliare, fra le righe, come la ricognizione nella stanza del delitto da parte di chi sapeva. E sapeva perché c’era.
Anche qua siamo a novembre, come nella realtà, anche qua c’è una porta che il protagonista deva aprire, una maniglia da girare prima di capire cosa sia successo. Il 2 novembre 2007, il piede di Meredith spuntava da sotto il piumone, questa volta lei è svenuta. E lui non capisce più niente, è preso dal panico, dalla paura o più semplicemente la confusione del momento gli toglie lucidità, come nebbia. E scappa. Chissà. Quel giovane le tributa il suo amore e le offre il suo rimorso. Perché avrebbe potuto dirle: «Ti conosco e ti amo». Perché avrebbe potuto trascorrere con lei San Valentino, e «sarebbe stato molto bello», perché lei era bella, bellissima, e quando si erano incontrati si erano seduti faccia a faccia, «e tu avevi una gamba fra le mie». Una promessa e anche più di una promessa che non è diventata realtà.
Per il Corriere dell’Umbria quel racconto parla di Amanda ed è stato scritto da Amanda. La penna come uno specchio. Per la verità, l’autrice si firma Marie Pace. E allora, per rimanere alle tecniche investigative, il nome e il cognome sono due indizi. Marie è proprio il secondo nome della ragazza di Seattle, la pace è quel che lei ha cercato disperatamente in questi mesi difficilissimi. Fra udienze, interrogatori e pianti in mondovisione. Marie Pace ha tutta l’aria di essere Amanda. Che ama la musica, il calcio, la letteratura. E in Italia frequentava un corso di scrittura creativa. Amanda che confessa, ma poi ritratta e resiste alla macchina giudiziaria. Amanda che, alla lettura della condanna, si scopre più fragile di un cristallo e crolla urlando: «No, no, no».
Gli organizzatori del premio non cercano i riflettori. Anzi, «tutti i racconti devono rimanere assolutamente anonimi». Però è facile immaginare che Amanda abbia sentito il bisogno di tornare a visitare quel luogo sventurato. E abbia scelto per sé il ruolo meno colpevolizzante dell’agnello sacrificale. Della vittima. Indifesa, alla ricerca di protezione, come è lei oggi in carcere. Fuori dal presepe della pagina, dovrà rassegnarsi, salvo colpi di scena, a stare in cella per i prossimi 26 anni.

********
ECCO IL TESTO: «PERDONAMI AVREI VOLUTO SALVARTI...» -

Ti scrivo in un giorno particolare. Sto davanti al mio computer e, come sai, guardo fuori dalla mia finestra. Vedo il tramonto riflettere sopra il tetto delle case vicine. un bagliore color rosso come un papavero che mi sta fissando, come se mi supplicasse. come se, vedendolo sgusciare da quel tetto, mi conosca. Forse questa lettera è soltanto una scusa. Non sono sicuro perché la sto scrivendo. Forse perché è un giorno in cui, se tutto questo caos non fosse mai successo, saremmo stati insieme. Forse avremmo scambiato un’occhiata e poi un pensiero. Forse avremmo parlato di tante cose successe chissà dove e chissà come. Forse, oggi, ti avrei potuto dire: «Ti conosco e ti amo». Forse sarebbero accadute tante cose che stavano accadendo una volta, all’apparenza. Le apparenze rilevavano tutta la nostra speranza. Ti posso parlare di qualsiasi giorno, di qualsiasi momento.
Ti ricordi quella notte, improvvisamente calda, di novembre? Stavamo sdraiati sul mio portico. Stavamo seduti faccia a faccia e tu avevi una gamba tra le mie. Avevi quei guanti color viola, senza le dita, e i capelli sciolti. Quanto eri bella! Davvero, eri incredibile, ma non ricordo di cosa stavamo parlando. Ad un certo momento arrivò una macchina dietro di me con i fari accesi la cui luce illuminò i tuoi capelli biondi. Tu eri come la luna in un panorama azzurro malinconico. Poi la macchina passò e il buio si stese su di noi. Era una distanza lunga come la nostra conoscenza non ancora compiuta. Mi sentii distrutto!
Adesso sono qui con questo foglio rosa e profumato dopo una lunga giornata pensando invece a cosa ti sarebbe piaciuto fare oggi. Ricevere questa mia lettera, no, di sicuro. Eppure, in realtà, non mi sono ancora arreso nonostante che non esiste un crimine peggiore della speranza che non sa arrendersi. La mia follia non sa arrendersi. A parte tutto, ti voglio bene. Se avessi avuto un’altra possibilità ti avrei aiutata e ti sarei stato molto più vicino.
Ho la tua immagine bruciata nei miei occhi. Ho la mia vita davanti e non riesco a dimenticarmela. Sto sempre guardando indietro. Mi girai e tu non c’eri più. Nuotai fra le onde dei corpi caldi e bagnati di sudore e drink. Dovetti navigare fino a raggiungere il muro con le braccia alzate come un’asta. Camminai passando sopra le giacche, le borse e nell’angolo c’era un ragazzo svenuto. Tu non eri in cucina, dove una montagna di lattine di birra erano sul pavimento. stavo aprendo una finestra per prendere un po’ d’aria quando vidi dalla porta uscire del fumo. Mi avvicinai, bussai, ti chiamai, presi la maniglia e poi quando nessuno mi rispose, aprii la porta. Il fumo mi avvolse e pensai di affogarmi in quel puzzo di bruciato poi vidi te sdraiata per terra, senza giacca e senza maglia. In quel momento non capii niente e soltanto quando fui fuori dalla casa ricordai che con te c’erano altre persone che fumavano, che si bucavano. Non capii, devi credermi. Non capii fin quando raggiungemmo il mio portico e soltanto allora mi resi conto che eri senza conoscenza. Quando tornai ti avevano già portato all’ospedale ma tu devi sapere che io non ti volevo abbandonare, ma in quel momento non capivo più niente.
Il sole mi sta facendo occhiolino e ti devo salutare. Spero soltanto che tu stia bene e che sia ancora quella che ho conosciuto quando i fari di quella macchina avevano illuminato i tuoi biondi capelli. Immagino un San Valentino che sarebbe stato molto bello trascorrerlo con te, amore mio. Perdonami.