Pierangelo Sapegno, La stampa 7/12/2009, 7 dicembre 2009
Amanda, la Clinton in campo- Per Amanda, adesso è scesa in campo anche Hillary Clinton, il capo della diplomazia statunitense
Amanda, la Clinton in campo- Per Amanda, adesso è scesa in campo anche Hillary Clinton, il capo della diplomazia statunitense. Per ora si tratta solo di un passaggio di un’intervista rilasciata al canale tv Abc e ripreso dal sito del Washington Post, nella quale il segretario di Stato afferma di «essere pronta a incontrare chiunque abbia timore che ci sia stato qualcosa che non andava» al processo di Perugia. Certo, non c’è nessuna critica al nostro sistema della giustizia e nessuna interrogazione di sorta rivolta al governo italiano, ma c’è in ogni caso la manifestazione chiara di un’attenzione particolare per questa storia che sembra aver scosso così tanto gli animi degli americani. D’altro canto, nel linguaggio diplomatico, il fatto stesso che Hillary Clinton si sia sentita in dovere di rilasciare questo commento, sottolinea tutta l’importanza che gli Stati Uniti attribuiscono alla vicenda. A chiedere un intervento dell’ex first lady era stata la senatrice democratica Maria Cantwell, che aveva invitato il capo della diplomazia di Obama a controllare se ci fossero stati davvero sentimenti «antiamericani» in Italia tali persino da condizionare l’esito del processo di Perugia. La mossa della Clinton serve a tranquillizzare un’opinione pubblica quasi scatenata, fra durissime prese di posizione, come quelle del procuratore John Kelly («Quello di Perugia è stato un linciaggio pubblico sulla base di infime speculazioni») o di Judy Bacharach di Vanity Fair («Ho vissuto in Italia e ho imparato che solo avendo amici o denaro riesci a uscire indenne da quel sistema della giustizia»), e la pioggia di critiche che continua a riversarsi sul web. «Amanda avrebbe avuto più possibilità di essere assolta se fosse stata processata in Iran», è arrivato a scrivere un sostenitore su Twitter. Alla fine, Hillary si trova a camminare su un filo, perché se da una parte non può ignorare questa ondata di protesta (senza dimenticare l’abitudine molto americana di proteggere comunque i loro cittadini in qualsiasi parte del mondo), dall’altra deve stare attenta a non compiere passi che possano nuocere ai rapporti con un Paese amico come il nostro. Anche per questo, dopo le insistenze della Cantwell, la senatrice democratica dello Stato di Washington che aveva chiesto con decisione il suo intervento, aveva tenuto a precisare che in questo periodo era stata molto occupata dall’Afghanistan, aggiungendo che perciò non era in grado di esprimere alcuna opinione sulla vicenda. Da Perugia invece arriva il commento del pm, Giuliano Mignini: «Noi la nostra parte l’abbiamo già fatta, non è più un problema che ci riguarda. Le indagini sono state accuratissime e sono stati quasi 20 i giudici che si sono pronunciati in primo grado, accogliendo tutte le tesi avanzate dall’accusa». Sono tutte polemiche destinate a non finire troppo in fretta, anche perché l’unico effetto che sembra aver ottenuto la sentenza dell’altra sera è quello di aver unificato il mondo: subito dopo le condanne, persino molti dei giornalisti inglesi che avevano seguito il dibattimento chiedevano ai cronisti italiani come fosse stato possibile «emettere un verdetto del genere senza prove». Ci sarà tempo per continuare a discuterne. Come continua ad essercene per parlare di Amanda, in un modo o nell’altro.