Francesco Cevasco, Corriere della Sera 7/12/2009, 7 dicembre 2009
ALBERTAZZI: «SULLA MORTE DECIDO IO. HO L’AGENDA PIENA FINO AL 2012»
«Sono in ritardo!». A 86 anni, con quella faccia un po’ così che se non fosse per gli occhi buoni diresti che è cattivo, Giorgio Albertazzi è in ritardo. In ritardo con la vita. La sua agenda è piena di impegni fino al 2012. «Dormo poco perché altrimenti non trovo il tempo per fare tutto». E dorme sepolto in un campo di carte, brogliacci, citazioni, diari, libri, appunti, bloc notes, le 190 poesie che ha appena scritto, le 17 audiocassette dov’è incisa la Vita di G. dopo i cinquanta scritta da un suo omonimo che sta per diventare un libro, le lettere delle giovani ammiratrici che vorrebbero sentire la sua voce da vicino.
Giorgio il febbrile ricorda: «Ma sì, la prima a dirlo fu Sarah Ferrati, in televisione, tanti anni fa: occhio a questo signore, non molla mai. Vaticinava, perché io romperò le scatole ancora a lungo come nonna Leonilde, una donna bella, magra come le ossa, con la pelle appena rosata che campò dopo i cent’anni. Poi magari ha ragione il mio complice di ragionamenti sulla vecchiaia Manlio Sgalambro che sostiene: si ringiovanisce sempre e poi si è vecchi di colpo. Quando mi chiama la mia amica Anna Proclemer prima o poi dice: la vecchiaia è atroce. Ma io, parafrasando Jacques Brel, dico che ci vuole molto tempo e molti anni per diventare giovani. come in teatro: i giovani li fanno bene i vecchi».
Giorgio il candido lo sa perché è ancora giovane: «Io vivo immerso nella poesia della giovinezza e nella giovinezza della poesia. Se faccio Romeo vado a pescare un’immagine fisica che non ho più ma mi trasformo, rendo oggettivo un fantasma teatrale, per dirla con Bacone». Torniamo sulla terra e parliamo di donne, un giovanotto di 86 anni… «Intanto non c’è paragone: sono molto meglio degli uomini. Le vorrei al potere: nella politica, nell’economia, nel sociale. E azzardo che gli uomini che hanno fatto grandi cose avevano una forte componente femminile. E quando dico grandi cose intendo per il bene dell’umanità, non le grandi pessime cose che hanno fatto Mussolini o Stalin. Se penso alla mia vita, se la riguardo, vedo che tutte le azioni importanti sono ispirate da una presenza femminile, non necessariamente amorosa o sessuale, ma sempre legata a un eros vivo come un demone mediatore. A rischio di essere frainteso dico che io sono tendenzialmente casto, che se ho avuto successo con donne belle e bellissime è perché l’eros che comunicavo loro era desiderio non voglia di appagamento. La donna ’sopporta’ la penetrazione, l’eros è altrove. Ricordo la mia professoressa di latino quando avevo dodici anni. Fuori lezione mi parlava di Shakespeare e di Goethe, andavamo alle corse dei cavalli alle Cascine, era un rapporto pedagogico tra un ragazzino e una donna. Magari era anche un poco morboso da parte mia, ma era sano. Era lei la prima coscia che ho visto». Eh già, lei che sostiene che le cosce delle donne sono la prova dell’esistenza di Dio… «Una battuta, ma è vero che il corpo femminile si espande, può invadere un letto. Ricordo le braccia nude di mia madre che d’estate lavava i panni. Era la vita che domina la vita. I corpi degli uomini sono muscolari e chiusi in sé, non dicono niente più di quello».
Giorgio il maestro che questo eros casto e dirompente lo porta anche sulla scena delle sue lezioni di recitazione: «Alcune mie allieve esagerano ma comunque mi considerano un vero maestro perché mi ritengono tale. Un maestro è anche quello di un giorno. Mentre chi t’insegna le cose tutte le mattine è un semplice insegnante».
Giorgio che dorme poco e che mangia pochissimo: «Ho un’idea: che ci uccidiamo mangiando. Seguo le regole che m’ha insegnato un amico dietologo: il crudo prima del cotto, frutta a metà mattina e a metà pomeriggio. No aglio, anche se fa bene, ma non è poetico. Ricordo una splendida ragazza in una piscina di Bangkok: ti massaggia con tocchi leggeri e ti sembra di navigare fuori dal tempo e dallo spazio, poi ti appoggia delicatamente il mento sulla spalla e senti quell’alitare agliesco; fine del viaggio. Meglio la cipolla, se non altro è una metafora della vita, come diceva Ibsen: sfogli, sfogli e non trovi mai un centro».
Giorgio che poco cibo, basta whisky e niente droghe: «Ma neanche ai tempi di Timothy Leary. Ho preso due sbornie in tutta la mia lunga vita. La seconda è stata così umiliante che mai ce ne sarebbe stata un’altra. Non ho bisogno di niente, sono adrenalinico di mio, i miei amici medici di Perugia mi dicono che produco spontaneamente cortisone e che la cocaina ce l’ho già nel cervello. E aggiungono che bisognerebbe studiarmi il fisico per capire com’è che è rimasto indietro rispetto all’età anagrafica». E Giorgio che anche il cervello bisognerebbe studiargli per capire come la zona che si occupa della memoria sia anch’essa contronatura: «Posso recitare per 12 ore di seguito senza saltare una battuta, posso recitare bendato. Ricordo Laurence Olivier, mi raccontava che quando doveva imparare un testo andava alle Azzorre o alle Baleari, si metteva in acqua con una ciambella e ci volevano quaranta giorni a imparare il testo. A me basta una settimana. All’inizio della tv ho partecipato a una trasmissione che si chiamava Appuntamento con la novella . Io le recitavo a memoria. Paolo Stoppa andò da Luchino Visconti e gli disse: non è possibile, quello è pazzo. Tuttora sono così; non so quanto durerà. Ma io sono dall’altra parte dell’età. Sto andando verso un luogo che si vedrà alla fine com’è. Non sono tanto cardarelliano: morire sì ma non essere aggrediti dalla morte. Piuttosto, anche se sono consapevole che ogni giorno si avvicina il giorno, so che non ho ancora deciso; e devo decidere io. Ora no, mia moglie Pia ha ancora bisogno di me, vivo per lei».