Marco Magrini, Il Sole 24 Ore 7/12/2009;, 7 dicembre 2009
UN CLIMA PIENO DI DUBBI DA SCIOGLIERE
Quindicimila persone, 5mila giornalisti, 192 delegazioni, 45 capi di Stato, tutte le organizzazioni non governative in prima linea. Con il vertice climatico che si apre oggi, e che durerà fino al 18 dicembre, Copenhagen è presa d’assalto:perfino gli alberghi della non lontana Malmö, in Svezia, sono esauriti. Per la bellezza di due settimane, quindi, gli occhi del mondo saranno puntati sulla capitale danese. Ma sono occhi pieni di dubbi. Ne abbiamo raccolti un po’, nei giornali e sui blog, fra i più interessanti. Cercando di azzardare una risposta.
1 Le certezze scientifiche sui cambiamenti climatici sono ancora troppo vaghe. Non ci sono evidenze sul legame tra livello delle emissioni e riscaldamento del pianeta.
Sì e no. Diciamo che le certezze hanno un largo spettro di incertezza.
Ma che i gas-serra abbiano la proprietà fisica di trattenere la radiazione infrarossa del pianeta Terra (una sorta di effetto di ritorno dell’irradiazione solare) è indisputabile: è un fenomeno conosciuto sin dall’Ottocento. Tanto per fare un esempio, l’Ipcc, la massima autorità scientifica in questioni climatiche, sostiene che la variazione della temperatura media del pianeta potrà crescere a fine secolo in una forchetta che va da 1,6 a 6 gradi centigradi, a seconda della concentrazione dei gas-serra e molte altre variabili. Ai due estremi, gli effetti climatici sarebbero estremamente diversi: accettabile il primo, catastrofico il secondo. Il sistema climatico planetario non solo si regge su equilibri delicatissimi, ma è anche regolato da una quantità di variabili impressionante.
Non è un caso, se i supercomputer attualmente costruiti vengano usati soprattutto per simulare le esplosioni nucleari e il sistema meteorologico. Per concludere: in mezzo alle incertezze, c’è la certezza che sia molto meglio non correre rischi.
2 I costi necessari per ridurre le emissioni sono di gran lunga superiori ai benefici che ne deriverebbero per l’ambiente.
Questo è quel che insegna il Protocollo di Kyoto, dove i costi hanno superato i benefici. Però va detto che Kyoto nonè stato pienamente applicato e riguardava un eseguo numero di paesi, visto che gli Usa non l’hanno mai neppure ratificato.
Con Copenhagen, ammesso che si arrivi a un accordo, le cose potrebbero andare diversamente.
Ma non ci sono solo i costi: la General Electric ad esempio, con la sua inizitiva Ecoimagination lanciata tre anni fa, ha dimostrato che si può abbassare le emissioni e risparmiare.
Investendo pesantemente nella ricerca, l’industria dell’energia rinnovabile potrebbe davvero diventare, come dice Obama, il futuro motore dell’economia. A quel punto, i benefici supererebbero largamente i costi.
3 I paesi poveri emettono poca anidride carbonica. Quindi il problema delle emissioni riguarda solo i paesi più sviluppati.
Vero. I paesi più poveri non avranno obblighi, anzi: si tratterà di aiutare la loro crescita fornendo tecnologie energetiche non a base di combustibili fossili.
Sarebbe il miglior modo per assicurare un’uscita dalla povertà, senza compromettere gli sforzi del mondo ricco. esattamente il dilemma che si pone con i paesi che stanno uscendo dalla povertà con le proprie gambe, come Cina e India, che sono rapidamente diventate grazie alla forza della demografia - il primo e il quinto inquinatore al mondo.
4 Dal 2030 in poi la crescita di emissioni sarà responsabilità esclusiva dei paesi in via di sviluppo.
Esclusiva, no. Ma prevalente,sì. L’Agenzia internazionale dell’energia stima che, da qui al 2030, con una domanda di energia che sarà del 55% superiore a quella di oggi, il mondo dovrà investire 26mila miliardi di dollari nell’infrastruttura energetica, oltre metà della quale nei paesi emergenti come Cina e India. Secondo il principio delle «comuni ma differenziate responsabilità», Pechino e New Delhi non hanno sin qui avuto obblighi di tagliare le proprie emissioni. Entrambi, si dicono disponibilia ridurre sensibilmente l’intensità energetica della loro economia: ovvero emettere di meno rispetto al Pil. Il successo del vertice dipenderà da quale parte attiva decideranno di recitare: senza di loro, qualsiasi sforzo planetario sarebbe inutile.
5 Senza incentivi degli Stati, il costo delle energie rinnovabili è insostenibile.
Vero. Ma gli incentivi non devono durare per sempre, anzi: devono dare tempo alla ricerca di avanzare e all’industria di raggiungere le necessarie economie di scala. Sarebbe folle dimenticare che, ogni giorno, il Sole invia sulla Terra decine di migliaia di volte l’energia di cui ha bisogno il genere umano per far girare il mondo. I Paesi che hanno varato politiche di sostegno alle rinnovabili, come gli ospiti danesi hanno fatto con l’energia eolica, hanno abbassato le proprie emissioni e, al tempo stesso, hanno fatto nascere un’industria competitiva nel settore con migliaia di posti di lavoro. Il 28% dell’energia elettrica della Danimarca, viene da fonti rinnovabili. Il motto del governo, che ha appena stanziato 150 milioni di euro per la ricerca, è: «il vento è gratis».
6 In questi anni non si è fatto nulla sui cambiamenti climatici e i miglioramenti sul livello delle emissioni sono dovuti esclusivamente alla recessione mondiale.
Vero. Le emissioni non erano mai scese su base annuale, finché la recente fase recessiva – segno di un mondo sempre più interconnesso – non le ha fatte declinare. Il Protocollo di Kyoto, in vigore dal febbraio 2005, non ha avuto effetti significativi sui miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno nell’atmosfera tramite l’uso dei combustibili fossili.
7 A Copenhagen l’Europa giocherà un ruolo di assoluta marginalità: Usa, Cina e India sono i veri arbitri del futuro del pianeta.
Vero, ma... L’Europa è stata fin qui la paladina indiscussa della diplomazia climatica. Solo l’America sprecona (le sue emissioni procapite sono il doppio dell’Europa e il quadruplo della Cina) e i nuovi giganti economici dell’Est, potranno fare la vera differenza: senza la loro partecipazione, l’avanguardia europea diventa fatalmente inutile. Tuttavia, senza la spinta dell’Europa le Nazioni Unite non sarebbero forse mai arrivate a questo vertice così cruciale. Ancorché così incerto. Al momento, la migliore soluzione che si profila è un accordo-quadro, da completare però l’anno prossimo.
8 Gli obiettivi di Copenhagen sono troppo ambiziosi. Sarebbe più opportuno puntare a un’intesa su alcune azioni immediate e pochi principi di massima.
Vero. Ma questo è il prezzo che si paga alla diplomazia. Le bozze di accordo circolate nei mesi scorsi erano di centinaia di pagine, scritte in un linguaggio perlopiù incomprensibile e disseminate di parentesi vuote con i numeri e i dettagli da aggiungere. Semmai c’è chi critica addirittura, come James Hansen della Nasa, l’impianto ereditato da Kyoto e che a Copenhagen dovrebbe essere fedelmente ricalcato: il sistema dei certificati che, a patto di pagare, danno il diritto a emettere una tonnellata di CO2. Hansen, che propone una più semplice e diretta carbon tax sui consumi di combustibili fossili, li paragona alle indulgenze. Non ha mica tutti i torti.
9 Il vertice fallirà perché i paesi ricchi e quelli poveri non troveranno alcun accordo economico.
una previsione realistica. Nel 2000, al Palazzo di Vetro i leader del mondo hanno messo nero su bianco la volontà di dimezzare la fame nel mondo con la promessa di fornire i necessari finanziamenti.Non l’ha mantenuta quasi nessuno. Gli accordi di Copenhagen, già nelle semplici premesse, includono un robusto flusso di decine di miliardi di dollari, dal mondo ricco a quello più povero. Se questo snodo non si concretizza il vertice fallirà. Ma l’ultima parola non è detta: spetta alla diplomazia.
10 Gli
accordi internazionali sono solo una scappatoia: la riduzione della CO2 in atmosfera dipende dalla nostra attenzione al risparmio energetico nei gesti quotidiani.
Il risparmio energetico è la prima, più facile e più economica risposta al dilemma climatico in corso. Aumentare l’efficienza dell’illuminazione casalinga o di certi processi industriali, costa relativamente poco e porta l’immediato beneficio di un risparmio sui consumi. la misura più rapida da prendere, ma non è sufficiente.