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 2009  dicembre 07 Lunedì calendario

REFERENDUM: SVIZZERI E NOI. QUANDO I POPOLI SBAGLIANO


Le scrivo a proposito del referendum svizzero. A prescindere dall’esito del voto, credo che il referendum in questione sia una lezione di democrazia per noi italiani: il giorno dopo la votazione, la volontà espressa dal popolo diventa subito legge esecutiva.
Da noi, i referendum vengono fatti in modo che chi vota per dire sì deve votare no, e chi vuol dire no deve votare sì, dopodiché il Parlamento legifera come vuole: vedasi certi referendum come sul finanziamento ai partiti, sulla privatizzazione della Rai e altri. Come mai? Se è la Costituzione che ci impone certe cose la si potrebbe anche modificare.
Mario Calzolari
Perugia

Quella che è stata accolta è una iniziativa costituzionale e non, come viene ripetuto in Italia, un referendum. La differenza è sostanziale: il referendum, nella nostra democrazia, viene promosso contro una proposta di legge, mentre l’iniziativa serve a introdurre nella Costituzione una modifica. Da noi, infatti, la Costituzione può essere modificata quando la maggioranza del popolo e dei cantoni lo vuole. Quanto al merito, il popolo non ha in alcun modo limitato la libertà di professare il credo da parte dei musulmani, bensì ha unicamente voluto proibire l’edificazione di strutture che nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione e cultura. Fa poi sorridere l’accusa che il nostro sarebbe un popolo razzista: non si deve infatti sottacere che da noi la popolazione straniera supera il 22%, e convive pacificamente, contro una media europea del 4,5%.
Igor Bernasconi
legale@ticino.com

Cari lettori,
Calzolari ha ragione. I re­ferendum svizzeri (o iniziative costituziona­li, come quello sui minareti) sono molto più chiari ed effi­caci dei referendum italiani, spesso complicati dalla opaci­tà dei quesiti e aggirati dalla scaltrezza della classe politi­ca. Ma l’iniziativa svizzera sui minareti, paradossalmente, è fin troppo chiara ed efficace. Introduce nella Costituzione un divieto che potrebbe esse­re in stridente contrasto con le norme internazionali sotto­scritte dalla Confederazione e procurarle parecchi grattaca­pi. In una intervista al Corrie­re del Ticino del 30 novem­bre, Eveline Widmer-Schlum­pf, guardasigilli e ministro de­gli Interni, ha detto che il di­vieto di edificazione potreb­be essere considerato «viola­zione della libertà di religio­ne e del divieto di discrimina­zione garantiti dalla Conven­zione europea per i diritti del­l’uomo e dal Patto internazio­nale sui diritti civili e politici delle Nazioni unite». E quan­do l’intervistato ha chiesto se la Svizzera non corra il ri­schio di essere condannata dalla Corte dei diritti dell’uo­m o, la signora Wid­mer-Schlumpf ha ricordato che un eventuale processo ri­chiederebbe probabilmente alcuni anni, ma ha aggiunto che nell’ipotesi di una con­danna il Paese potrebbe ave­re soltanto due scelte: torna­re alle urne per un nuovo vo­to o uscire dal Consiglio d’Eu­ropa.
Anche Igor Bernasconi ha ragione: il voto non compro­mette la libertà di culto dei musulmani in Svizzera. Ma di­scrimina tra svizzeri cristiani e svizzeri musulmani costrin­gendo i secondi a praticare la loro fede con prudenza, con discrezione e con la minore visibilità possibile. Con tutte le differenze del caso, così ac­cadde nei Paesi protestanti dopo la Riforma, quando il culto cattolico era confinato negli appartamenti privati o nelle cappelle di alcune rap­presentanze diplomatiche. E così accadde nella Roma pa­pale dove i protestanti non potevano essere sepolti in ter­ra benedetta e soltanto nel 1817 ebbero il diritto di crea­re un cimitero «acattolico» ac­canto alla piramide Cestia. La Svizzera è certamente una de­mocrazia e il suo governo ha il dovere di rispettare la vo­lontà del popolo. Ma anche i popoli possono sbagliare.