Antonio Ferrari, Corriere della sera 7/12/2009, 7 dicembre 2009
Inflazione, disoccupati, debito Grecia a rischio infarto sociale- L’Europa attende, si profila l’intervento del Fondo monetario ATENE – Le violenze ai piedi dell’Acropoli, monumento-principe della democrazia, stavolta hanno due padri: il mai sopito rancore nel primo anniversario dell’uccisione di un quindicenne da parte di un agente di polizia, rancore che già nel dicembre di un anno fa era esploso con devastazioni terribili, per poi sopirsi improvvisamente; e la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette
Inflazione, disoccupati, debito Grecia a rischio infarto sociale- L’Europa attende, si profila l’intervento del Fondo monetario ATENE – Le violenze ai piedi dell’Acropoli, monumento-principe della democrazia, stavolta hanno due padri: il mai sopito rancore nel primo anniversario dell’uccisione di un quindicenne da parte di un agente di polizia, rancore che già nel dicembre di un anno fa era esploso con devastazioni terribili, per poi sopirsi improvvisamente; e la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette. Ora che la crisi morde dolorosamente la vita quotidiana dei greci, con una tempesta di licenziamenti, con l’impennata dei prezzi e l’incubo di misure draconiane, si è creato un drammatico corto circuito, quasi un infarto sociale. Verrebbe da sorridere, se non si trattasse di un’amara riflessione, pensando che poco più di un anno fa qualcuno sosteneva che la Grecia si stava forse preparando all’incredibile sorpasso di un Paese assai più solido, come l’Italia. Eppure gli analisti più attenti, da troppi giudicate incaute Cassandre, avvertivano – inascoltati – che la crescita era effimera. E che il conto sarebbe stato presto salatissimo. Per almeno due motivi: i calcoli degli ingegneri di bilancio avevano puntato sull’ottimismo, ritardando le uscite e cambiando casella alle entrate; e poi la Grecia non aveva e non ha solide strutture, essendo un Paese che vive sostanzialmente di terziario, di servizi. Quando il turismo e i noli marittimi, cioè le colonne portanti dell’economia statale, hanno cominciato a frequentare assiduamente il segno meno, ci si è resi conto che la situazione poteva diventare molto pericolosa. Anche per questa ragione, sostengono alcuni, l’ex primo ministro Kostas Karamanlis ha deciso frettolosamente di convocare elezioni anticipate, già sapendo (quantomeno intuendo) che le avrebbe perse. Come è puntualmente accaduto con il trionfo, nello scorso ottobre, del Pasok socialista di George Papandreu. Il problema oggi è evidente e non eludibile. affiorata insomma una sostanziale bugia: il rapporto tra deficit e Pil non era del 3,9 per cento, come era stato comunicato a Bruxelles. Le stime reali sono invece devastanti e moltiplicano l’indice per oltre tre volte: 12,9 per cento. «Dopo Dubai sarà la volta della Grecia? », si domanda Wolfgang Münchau, uno dei più attenti analisti del Financial Times . Per dare subito la prima risposta: «Situazioni tecnicamente non paragonabili perché la crisi di Dubai non è quella di uno Stato ma di una società di proprietà dello stato». anche vero che la Grecia non è l’Argentina, in quanto Atene – come membro dell’Unione europea che ha adottato l’euro – non può svalutare. Ma da tempo gli esperti tedeschi, ad esempio, avevano registrato il palese squilibrio tra i bond di Berlino e quelli greci, che offrivano interessi assai più alti. Ora, i due terzi del debito pubblico greco sono in mani straniere, ed è facile prevedere che cosa accadrebbe se la Grecia finisse sotto l’attacco della speculazione internazionale. La volontà dell’Ue non è di intervenire pesantemente sul Paese balcanico, ma di adottare un atteggiamento fermo e insieme flessibile per dare ad Atene il tempo di correggere l’«errore» e di adottare le opportune terapie. Tuttavia qualcuno sostiene che l’unica soluzione sarebbe di far intervenire il Fondo Monetario Internazionale, che elargisce prestiti in cambio di durissime garanzie. Ipotesi respinta dal governo di Papandreu, che si trova costretto, anche per riparare i guasti provocati dall’esecutivo del suo predecessore di centro-destra Karamanlis, a scelte impopolari. Aveva promesso lavoro e una più equa politica fiscale, ma ora si troverà costretto a somministrare la medicina più amara: aumentare le entrate e tagliare le uscite. Non sarà facile, e le violenze di queste ore possono essere doppiamente pericolose. Perché il fronte dei dimostranti, che l’anno scorso sembrava limitato, rischia di alimentarsi e irrobustirsi con gli effetti della crisi. Ecco perché il Paese ha bisogno di verità e di parole chiare. Magari sgradevoli, ma necessarie.