Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 07 Lunedì calendario

Inflazione, disoccupati, debito Grecia a rischio infarto sociale- L’Europa attende, si profila l’intervento del Fondo monetario ATENE – Le violenze ai piedi del­­l’Acropoli, monumento-principe della de­mocrazia, stavolta hanno due padri: il mai sopito rancore nel primo anniversa­rio dell’uccisione di un quindicenne da parte di un agente di polizia, rancore che già nel dicembre di un anno fa era esplo­so con devastazioni terribili, per poi so­pirsi improvvisamente; e la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette

Inflazione, disoccupati, debito Grecia a rischio infarto sociale- L’Europa attende, si profila l’intervento del Fondo monetario ATENE – Le violenze ai piedi del­­l’Acropoli, monumento-principe della de­mocrazia, stavolta hanno due padri: il mai sopito rancore nel primo anniversa­rio dell’uccisione di un quindicenne da parte di un agente di polizia, rancore che già nel dicembre di un anno fa era esplo­so con devastazioni terribili, per poi so­pirsi improvvisamente; e la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette. Ora che la crisi morde dolorosamente la vita quotidiana dei greci, con una tempesta di licenzia­menti, con l’impennata dei prezzi e l’incu­bo di misure draconiane, si è creato un drammatico corto circuito, quasi un infar­to sociale. Verrebbe da sorridere, se non si trattas­se di un’amara riflessione, pensando che poco più di un anno fa qualcuno sostene­va che la Grecia si stava forse preparando all’incredibile sorpasso di un Paese assai più solido, come l’Italia. Eppure gli anali­sti più attenti, da troppi giudicate incau­te Cassandre, avvertivano – inascoltati – che la crescita era effimera. E che il conto sarebbe stato presto salatissimo. Per almeno due motivi: i calcoli degli in­gegneri di bilancio avevano puntato sul­l’ottimismo, ritardando le uscite e cam­biando casella alle entrate; e poi la Grecia non aveva e non ha solide strutture, es­sendo un Paese che vive sostanzialmente di terziario, di servizi. Quando il turismo e i noli marittimi, cioè le colonne portan­ti dell’economia statale, hanno comincia­to a frequentare assiduamente il segno meno, ci si è resi conto che la situazione poteva diventare molto pericolosa. Anche per questa ragione, sostengono alcuni, l’ex primo ministro Kostas Kara­manlis ha deciso frettolosamente di con­vocare elezioni anticipate, già sapendo (quantomeno intuendo) che le avrebbe perse. Come è puntualmente accaduto con il trionfo, nello scorso ottobre, del Pa­sok socialista di George Papandreu. Il problema oggi è evidente e non eludibi­le. affiorata insomma una sostanziale bugia: il rapporto tra deficit e Pil non era del 3,9 per cento, come era stato comuni­cato a Bruxelles. Le stime reali sono inve­ce devastanti e moltiplicano l’indice per oltre tre volte: 12,9 per cento. «Dopo Dubai sarà la volta della Gre­cia? », si domanda Wolfgang Münchau, uno dei più attenti analisti del Financial Times . Per dare subito la prima risposta: «Situazioni tecnicamente non paragona­bili perché la crisi di Dubai non è quella di uno Stato ma di una società di proprie­tà dello stato». anche vero che la Grecia non è l’Argentina, in quanto Atene – co­me membro dell’Unione europea che ha adottato l’euro – non può svalutare. Ma da tempo gli esperti tedeschi, ad esem­pio, avevano registrato il palese squili­brio tra i bond di Berlino e quelli greci, che offrivano interessi assai più alti. Ora, i due terzi del debito pubblico greco sono in mani straniere, ed è facile prevedere che cosa accadrebbe se la Grecia finisse sotto l’attacco della speculazione interna­zionale. La volontà dell’Ue non è di inter­venire pesantemente sul Paese balcanico, ma di adottare un atteggiamento fermo e insieme flessibile per dare ad Atene il tempo di correggere l’«errore» e di adot­tare le opportune terapie. Tuttavia qual­cuno sostiene che l’unica soluzione sareb­be di far intervenire il Fondo Monetario Internazionale, che elargisce prestiti in cambio di durissime garanzie. Ipotesi respinta dal governo di Papan­dreu, che si trova costretto, anche per ri­parare i guasti provocati dall’esecutivo del suo predecessore di centro-destra Ka­ramanlis, a scelte impopolari. Aveva pro­messo lavoro e una più equa politica fi­scale, ma ora si troverà costretto a som­ministrare la medicina più amara: aumen­tare le entrate e tagliare le uscite. Non sarà facile, e le violenze di queste ore possono essere doppiamente perico­lose. Perché il fronte dei dimostranti, che l’anno scorso sembrava limitato, rischia di alimentarsi e irrobustirsi con gli effetti della crisi. Ecco perché il Paese ha biso­gno di verità e di parole chiare. Magari sgradevoli, ma necessarie.