
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Oggi pomeriggio alle cinque scade l’ultimatum che i generali egiziani hanno dato al presidente Morsi. Si prevede che il presidente non possa resistere.
• E quindi?
E quindi non si sa. Mohamed el-Beltagy, leader dei Fratelli Musulmani (il partito del presidente e largamente maggioritario in Parlamento), ha invitato al «martirio» contro il «golpe» a difesa della «legittimità» e come «segno di riconoscenza per i martiri della rivoluzione» del 2011. «Non abbiamo altro che la nostra vita per impedire la riuscita del colpo di stato». In pratica, è un invito alla guerra civile. Sulla legittimità, tra l’altro, el-Beltagy ha ragione: Morsi è stato regolarmente eletto, i Fratelli dominano il Parlamento perché hanno vinto nelle urne e nessuno ha avuto niente da ridire. La rivolta del Cairo, di Alessandria e delle altre città sono costate finora 16 morti.
• La gente sta ancora manifestando o no?
Ieri la capitale era pattugliata dai carri armati e dagli uomini della Terza Brigata. Si son visti gli esercizi marziali in mezzo alla strada. Girano reparti in assetti antisommossa. I dimostranti, per parte loro, hanno già bloccato l’accesso alle sedi di dodici dei 27 governatorati d’Egitto, nell’ambito della campagna di disobbedienza civile. I manifestanti di Alessandria, Luxor, Suez chiedono governatori «lontani dai giochi politici».
• Che succederà se Morsi non accetterà di dimettersi?
Mi pare difficile. Sei ministri - tra cui quello degli Esteri e il presidente del Consiglio, Hisham Qandil - hanno rimesso il mandato nelle mani di Morsi, rimanendo in carica per l’ordinaria amministrazione. Il coacervo di forze che guida la piazza ha già candidato alla presidenza el-Baradei. Si è dimesso dalla carica di consigliere militare del presidente anche Sami Annan, che potrebbe essere un altro candidato alla successione di Morsi. I militari, d’altra parte, hanno fatto sapere che non intendono impadronirsi del potere. «Quello che sta avvenendo, quindi, non è un golpe», dicono. L’ultimatum dei militari, consegnato lunedì alle 17, parla di «un compromesso» tra governo e opposizione da raggiungere entro le cinque di oggi pomeriggio. «Compromesso» è un eufemismo per dire: entro quell’ora Morsi se ne deve andare. Morsi ha dichiarato di non volerne sapere, e ha attaccato alcune frasi dell’ultimatum, sostenendo che «creano confusione». I militari hanno una loro road-map della crisi: sospensione della Costituzione, scioglimento del Parlamento in mano ai Fratelli, nuove elezioni non appena il Paese sarà pacificato.
• Che cosa rende i militari tanto forti?
L’Egitto ha un Pil di 235 miliardi, il 40% di questi 235 miliardi (diciamo cento miliardi) è prodotto dai militari. L’esercito - il più grande del mondo arabo - è il più importante datore di lavoro del Paese: controlla industrie energetiche, aziende agricole, imprese edilizie, le linee di distribuzione dei beni, ha una quantità di immobili e di società immobiliari, sono nelle sue mani persino molte strutture turistiche. Per non parlare dell’indotto. Il suo bilancio è segreto di Stato. E hanno dalla loro la forza delle armi. Il destino di Mubarak fu segnato dalla visita del generale Tantawi agli attendati di piazza Tahir. Quindi, se i militari decidono che è finita, è finita.
• Potrebbero i Fratelli Musulmani dar vita a una guerra civile?
È possibile. Tra le forze dell’opposizione, generalmente laiche, ci sono però anche gli estremisti islamici salafiti. A costoro una radicalizzazione dello scontro potrebbe far gioco. L’Egitto sta in mezzo a un bacino di tensioni. A est ci sono Israele e la Striscia di Gaza. A sud, dopo il Sudan e l’Eritrea, c’è l’Etiopia che sta costruendo una diga sul Nilo dagli effetti ambientali sconvolgenti: dovrebbe diminuire la portata del Nilo di un buon quarto, con effetti inimmaginabili sull’agricoltura egiziana. Questa potrebbe essere la causa di una gigantesca guerra africana. Morsi non ha risolto nessuna di queste questioni e non è neanche riuscito a negoziare il prestito da 4,8 miliardi col Fondo Monetario. Obama gli ha telefonato e gli ha chiesto «passi per dimostrare di essere reattivo alle preoccupazioni del popolo: la crisi può essere risolta solo attraverso un processo politico». Fonti del Pentagono fanno anche sapere che l’ultimatum dei generali è stato letto in anteprima dal capo di stato maggiore della Difesa Usa, Martin Dempsey. In altri termini: anche gli Stati Uniti hanno abbandonato il presidente.
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