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 2013  luglio 03 Mercoledì calendario

“QUEL TELEFONO A GETTONI PER BEFFARE LE SPIE”

ROMA — Spionaggio e controspionaggio. E tanta, tantissima “intossicazione”. «Noi l’abbiamo fatto, gli altri lo hanno fatto contro di noi: noi ci siamo sempre difesi come potevamo, e quando potevamo anche noi facevamo i nostri colpi... gli altri avevano l’intelligence, noi lavoravamo di intelligenza». Chi parla non è un politico di oggi. Non è per esempio Massimo D’Alema, ex premier, ministro degli Esteri e poi presidente Copasir, che ieri ha detto «non mi sorprende che gli americani usino lo spionaggio per difendere i loro interessi economici: l’Europa si dovrebbe difendere». Chi parla della piccola-grande guerra di spionaggio che l’Italia combatte e ha combattuto è Gennaro Acquaviva. Ex senatore socialista, era il capo della segreteria politica di Bettino Craxi a Palazzo Chigi.
C’è una leggenda, un mito che resiste: la notte è quella di Sigonella, quella in cui gli americani provarono a catturare con un blitz il capo palestinese Abu Abbas che aveva prima organizzato ma poi messo fine al dirottamento dell’Achille Lauro. Narrano che Acquaviva uscisse da Palazzo Chigi, e con un sacchetto di gettoni andasse nei bar della zona a telefonare gli ordini più segreti. Acquaviva ride al telefono: «Non ero io, forse fu lo stesso Craxi... tutti noi in quelle ore sapevamo perfettamente che eravamo sotto il controllo del Mossad che forniva intelligence alla Cia e ai militari americani che pianificarono il dirottamento dell’aereo su cui viaggiava Abu Abbas. In quelle ore certe decisioni non potevamo lasciarcele sfuggire. Così Craxi nei momenti decisivi spariva. Chiamava lui. Chiamò lui per esempio per dirci che era fatto l’accordo col governo jugoslavo, che Abu Abbas doveva essere trasferito di Ciampino a Fiumicino e che era pronta una carta d’imbarco per Belgrado. Si, è possibile che anche lui usasse i telefoni a gettone. Temeva di essere intercettato».
Era sicuro di essere intercettato anche l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, detto “canne mozze”. Quando era rappresentante all’Onu aveva a che fare con un ambasciatore del gruppo anglosassone che era un vero tormento per l’Italia. Fulci costruì un telegramma diretto a Roma perfettamente falso, pieno di informazioni del tipo «questo ambasciatore è un totale cretino, sta danneggiando il suo governo in questo, questo e quest’altro... ». Poi classificò il telegramma “segretissimo e lo fece partire per Roma. Pochi mesi, e l’ambasciatore fu richiamato. La più classica manovra di controspionaggio: l’intossicazione.