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 2013  luglio 03 Mercoledì calendario

LA CRISI SPINGE I GRANDI A UNIRSI PER TAGLIARE I COSTI

Le voci della settimana scorsa su Peugeot e General Motors hanno rilanciato il valzer delle alleanze (più possibili che reali) nel settore auto in Europa. Peugeot, già alleata di General Motors ha chiesto al socio americano di investire mezzi freschi: la famiglia fondatrice del gruppo francese sarebbe disposta a diluirsi fino a cedere il controllo. Gli americani – che già all’inizio di quest’anno avevano svalutato la quota del 7% che avevano comprato nel 2012 per 400 milioni di dollari – per ora hanno rifiutato, ma Peugeot ha bisogno di fondi per superare la durissima crisi del mercato europeo. Che succederà in caso di matrimonio? Partirà una nuova fase di consolidamento?
Per ogni accordo che va in porto ci sono in realtà due, tre o dieci negoziati dietro le quinte senza successo. Le stesse Peugeot e Gm, del resto, prima di trovare l’accordo poco più di un anno fa avevano a loro volta avuto contatti (separatamente) con la Fiat, e quest’ultima nel 2009 aveva partecipato all’asta per Opel quando Gm l’aveva messa in vendita. Mai come in questi ultimi anni, insomma, la frase «tutti trattano con tutti» si è rivelata azzeccata. Perché?
L’esigenza, di fronte alla peggiore crisi del mercato dell’auto dai tempi della grande depressione, è quella di tagliare i costi mettendo in comune il maggior numero possibile di spese – da quelle di progettazione agli acquisti di materiali (che pesano per oltre metà del costo di una vettura) a quelle di produzione vere e proprie. Nella maggior parte dei casi, questi risparmi possono essere ottenuti anche senza fusioni ma con semplici accordi industriali, che possono assumere le forme più svariate: dalla produzione per conto terzi alla messa in comune di piattaforme e/o acquisti. Questi ultimi due aspetti, per esempio, sono già compresi nell’intesa industriale Peugeot-Gm varata l’anno scorso, ma le due aziende hanno evitato di affrontare temi delicati come la possibile messa in comune di produzioni in un unico impianto.
Di fatto, per spiegare le (poche) fusioni non bastano le ragioni industriali. Una fusione, che finisce per costare l’indipendenza a uno dei due partner, è quasi sempre un passo obbligato per chi non ce la fa più a stare in piedi da solo. È stato il caso di Chrysler, ceduta di fatto dal Governo Usa alla Fiat; della Nissan che sull’orlo del fallimento accettò a fine anni 90 l’alleanza con Renault; delle coreane Daewoo (finita alla Gm) e Kia (entrata nell’orbita di Hyundai).
Per rispondere alla domanda sul consolidamento in Europa bisogna premettere un’altra considerazione: il settore auto è considerato strategico in quasi tutti i Paesi, e i Governi fanno (quasi sempre) di tutto per difenderlo. Parigi è scesa in campo più volte, per esempio, per sostenere i suoi due campioni: prima con prestiti a entrambi nel pieno della crisi finanziaria, poi con una garanzia pubblica su crediti alla Banque Psa (in cambio della quale ha ottenuto un suo rappresentante nel consiglio d’amministrazione della capogruppo). Il Governo Hollande è intervenuto l’anno scorso anche quando Peugeot ha presentato il suo piano di tagli, prima definendoli inaccettabili e poi partecipando al negoziato.
C’è chi ieri ha ipotizzato che le voci sulla richiesta d’aiuto di Psa a Gm non siano altro che un avvertimento lanciato all’opinione pubblica francese: se non ci verrà consentito di ristrutturare – sarebbe il messaggio –, l’azienda potrebbe finire in mano agli americani che taglierebbero la presenza industriale in Francia molto più drasticamente. Secondo gli analisti della Barclays Bank, «Gm potrebbe essere interessata a comprare Psa solo se ritenesse di acquistare un asset a prezzo di estremo favore con l’assicurazione di poter ridurre la capacità in misura consistente; ma questo renderebbe l’operazione difficile da digerire per gli stakeholders francesi». Tanto più che Peugeot, con 35mila dipendenti nella struttura produttiva in Francia, rischia molto più di Opel con i suoi 8mila in Germania. Per tutti questi motivi non è detto che l’operazione vada in porto. Ieri le azioni Peugeot, che erano salite del 5,5% giovedì sull’onda delle speranze di un rafforzamento patrimoniale, hanno perso metà dei guadagni (-2,7%) dopo il no di Gm a un intervento «in questo momento».
Più in generale, è difficile che in Europa si arrivi a una riduzione significativa dei gruppi automobilistici; attualmente sono sei (tre tedeschi, due francesi e un italiano) contro i tre statunitensi, con mercati di dimensioni simili di cui però gli europei controllano una quota maggiore.
Se anche Psa e Opel dovessero unirsi e ridurre la loro capacità produttiva, di quanto scenderebbe la pressione competitiva in Europa? Non di molto. La crisi congiunturale si è aggiunta a un declino storico almeno ventennale dei marchi generalisti in Europa, che tra il 2002 e il 2012 hanno perso il 10% di quota di mercato e quasi tre milioni di unità vendute (8,7 nel 2002, 5,9 l’anno scorso). Un recente report della AlixPartners stima che nel 2013 in Europa si produrranno 19 milioni di auto contro una capacità produttiva di 27 milioni, con un tasso di utilizzo del 70 per cento. Per portarlo all’80%, ovvero un livello vicino al punto di pareggio, servirebbe (a produzione invariata) un taglio di 3 milioni, ovvero almeno 10 stabilimenti. I tagli che pure ci sono stati negli scorsi anni sono stati compensati dall’apertura di fabbriche all’Est europeo utilizzate per rifornire la Ue Certo, le vendite prima o poi risaliranno. Ma molti prevedono un calo ancora nel 2014 e una ripresa lenta. Dopo i 4-5 miliardi di euro persi l’anno scorso, il settore in Europa rischia di restare in rosso a lungo.