la Repubblica 3/7/2013, 3 luglio 2013
ETTORE LIVINI
Lo stop all’aumento Iva e la cancellazione dell’Imu? Una passeggiata. La vera finanziaria italiana, roba da Nobel dell’Economia, è quella che da quattro anni a questa parte hanno mandato in porto senza fanfare le famiglie tricolori. Siamo oltre le lacrime e il sangue: nel 2012, per dire, abbiamo tagliato 4 milioni di telefonate al giorno, ridotto di un quarto gli acquisti di case, comprato 80mila auto in meno, sforbiciato 3,4 miliardi di litri di benzina dal pieno (quanto basterebbe per girare 846mila volte la terra all’altezza dell’equatore). Ma essere formiche, ormai, non basta più: le uscite, causa crisi, superano le entrate. E l’Italia – per la prima volta dal Dopoguerra – è stata costretta a rompere il salvadanaio e mettere mano ai soldi risparmiati negli anni del boom per tirare avanti la carretta.
I conti della serva sono facili come un compito di ragioneria. Voce “avere”: guadagniamo di meno – 98 miliardi in quattro anni per Confesercenti – e la nostra capacità di spesa è scesa dell’8,7% dal 2008, come dire che abbiamo perso per strada 3.400 euro a famiglia.
Voce “dare”: paghiamo più tasse (288 euro a testa nel 2012) e le bollette sono salite dell’11% solo l’anno scorso. Per far quadrare i conti, il Belpaese le ha provate tutte: ha smesso di acquistare appartamenti e lavatrici, fa la spesa all’hard discount e ha negato il motorino nuovo persino ai figli promossi con la media del nove. Peccato che quest’austerity “fai da te” ci abbia fatto risparmiare “solo” 85 miliardi in quattro anni. Risultato: l’Italia ha smesso d’arricchirsi e — un euro alla volta — ha iniziato a diventare più povera.
Carta canta: la ricchezza — se ancora possiamo chiamarla così — delle famiglie è calata dal 2008 del 5,7% bruciando, calcola Banca d’Italia, 520 miliardi di euro, quasi un terzo del nostro Pil. E i nostri debiti (per fortuna ancora pochi rispetto alla media Ue) hanno iniziato a correre a ritmi vertiginosi passando dal 30,8% del reddito del 2008 al 65% del 2012. La soluzione? Una sola: i conti domestici tricolori funzionano come il bilancio dello Stato. Se le entrate non crescono, si può solo tagliare. Ecco, voce per voce, dove e come abbiamo iniziato a farlo.
LA CASA
Due cuori, una capanna e una montagna di rate non pagate sul mutuo. La spending review del Belpaese è partita giocoforza dal bene più prezioso che abbiamo: la casa. Il 70% degli italiani ne ha
una, spesso presa a debito. E per ridurre i costi (le tasse immobiliari sono salite del 136% in un anno) in molti hanno preso il toro per le corna smettendo di pagare le rate. I proprietari “morosi” con gli istituti di credito sono cresciuti del
36% in meno di due anni. E l’Associazione bancaria italiana — per evitare una Caporetto creditizia e sociale — è stata costretta a varare una sorta di “moratoria” consentendo a chi era in difficoltà di fermare temporaneamente il
pagamento degli interessi. Hanno aderito 91mila persone. E ora che il programma è scaduto, diverse migliaia di famiglie si sono ritrovate all’improvviso sull’orlo del baratro.
Qualcuno ha fatto scelte più radicali.
E per pagare la scuola dei figli o i debiti, ha appeso sulla porta di casa il cartello “Vendesi”. Risultato: sul mercato è arrivata all’improvviso una valanga di appartamenti (compresi un 18% in più di aste su case pignorate dalle banche). I prezzi sono crollati e i compratori, malgrado tutto, sono spariti nel nulla. Nel 2012 i rogiti sono stati il 25% in meno del 2011 e i volumi del mercato del mattone sono tornati indietro di 28 anni.
AUTO E BENZINA
L’età del parco-auto è uno degli indicatori sociologici più gettonati per misurare lo stato di salute di un paese. E nel caso dell’Italia
questo termometro parla chiaro: stiamo sempre peggio. I trasporti pesano per il 13,8% sui bilanci familiari. E per ridurre le uscite siamo andati giù con l’accetta: non compriamo più auto nuove e quelle vecchie le lasciamo sempre più spesso ferme in strada o in garage. Nel 2012 abbiamo acquistato 80mila quattroruote in meno, con un risparmio netto di sette miliardi. E anche nel 2013 il mercato viaggia in retro, con un — 11% a fine maggio. Tempi duri anche per il pieno: chi può va a piedi, in bici o in tram e nel 2012, zitti zitti, gli italiani hanno acquistato 3,4 miliardi di litri di benzina in meno (—9,9%).
In teoria questa mossa avrebbe dovuto regalare ai conti delle famiglie una boccata d’ossigeno da 6 miliardi di euro. Peccato che gli aumenti delle accise (+22%) si siano mangiati tutto il risparmio. E forse anche per questo ben 3,2 milioni di auto, secondo l’Ania, hanno viaggiato nel 2012 senza pagare l’assicurazione obbligatoria.
IL CARRELLO DELLA SPESA
Più pasta e meno carne. Più hard discount e meno prodotti di marca. La manovra finanziaria della case tricolori non ha risparmiato nemmeno, come ovvio, il carrello della spesa. Pranzo e cena dobbiamo per forza metterli assieme. Ma visto che pesano per il 19% sulle uscite domestiche, a tavola è scattata una spending review selettiva, fatta più di bisturi che d’ascia. Obiettivo: ridurre le spese (sono calate nel 2012 dell’1,2%) senza sacrificare calorie e quantità nel piatto. L’operazione “shopping intelligente” è fatta di tante piccole malizie da scaffale: scegliamo prodotti nologo (costano il 18% in meno e le vendite sono cresciute del 5,8%) non snobbiamo gli hard discount che a marzo scorso viaggiavano a +4,8%. Compriamo più spaghetti (+ 3,6%) e meno carne di vitello (-5%) mentre il povero pollo — reo solo di essere più economico — va a gonfie vele nelle padelle del Belpaese. Resta al palo invece, succede da molti anni, il rinnovo del guardaroba. Ad aprile 2013 l’abbigliamento e le scarpe sono in calo per l’Istat del 9%.
BOLLETTE,LOTTOE FUNERALI
La spending review energetica delle famiglie italiane è stata
stroncata dagli aumenti tariffari. Nel 2012 abbiamo ridotto i consumi di luce (-0,3%) e gas (-7,4%) ma il rialzo dei prezzi si è mangiato con gli interessi i sacrifici. Le persone più in difficoltà — per la centrale d’allarme interbancaria quelle in ritardo con pagamenti e assegni sono cresciute del 35% al sud e del 38% al nord-ovest — non hanno avuto altra scelta che scaglionare la spesa: gli italiani che pagano la luce all’Enel a rate sono il 30% in più, all’Eni siamo a +48%.
Per rimediare al “buco” delle bollette, siamo andati a lavorare di cesello sulle spese superflue: tra Gratta & Vinci, Superenalotto e Win for Life nei primi sei mesi del
2013 abbiamo risparmiato 500 milioni (-5,8% di spesa) alla voce dea bendata. Non andiamo più al cinema (-7,3% nel 2012) e nei musei (-5,7%). Fumiamo meno — le tasse sulle sigarette hanno reso lo scorso anno il 7,6% in meno — e visto che la salute non ha prezzo ma le medicine costano, nel 2013 per la prima volta abbiamo iniziato a sforbiciare del 6,4% pure le spese sanitarie. Si rischia di morire? No problem. Basta digitare www. funeralionline. it e sfogliare alla voce offerte. L’Italia è più povera. E anche per il caro estinto, business is business, è già boom delle esequie low-cost.
LUISA GRION
LUISA GRION
Dopo trent’anni di crescita perenne non poteva che andare così. E non è solo una questione di crisi economica: al terzo telefonino cambiato subentra la noia, al settimo vestito acquistato arriva l’indifferenza. Per Giuseppe De Rita, presidente del Censis, il crollo dei consumi non è legato solo alla caduta del reddito, c’è un «riposizionamento» del modo di vivere e di spendere. Stiamo attraversando il passaggio filosofico «dalla dismisura
alla misura».
Presidente, letta così la crisi dei consumi ha un che di positivo.
«Di naturale direi: la curva, dopo decenni di crescita, non poteva che scendere. La frenata c’è stata e ha creato timori e frustrazioni. Ora però stiamo arrivando alla seconda fase: in un primo tempo pensavano che il cambiamento ci avrebbe portato alla miseria e alla distruzione, adesso stiamo raggiungendo la consapevolezza ».
Quale consapevolezza?
«Quella che dietro l’acquisto ci può essere un scelta motivata: compero questo e non quello, e non è detto che acquistare di meno voglia dire penalizzare la qualità. Non c’è declino, le famiglie — semmai — si sono rimpossessate della capacità di decidere. E va chiarita una cosa: non comperiamo più anche perché non c’è nulla di nuovo da acquistare».
E la marea di nuovi prodotti tecnologici?
«Sono tutti figli dell’ultima vera novità arrivata sul mercato negli ultimi venti anni: il telefonino. Dopo il cellulare non c’è stato niente di davvero innovativo. Tablet, smart-phone sono solo multipli, prodotti di evoluzione, ma la spinta è la stessa. Per vincere la stanchezza e ritornare al consumo di massa servirebbe qualcosa di rivoluzionario ».
Quindi la vera liberazione oggi è non comperare?
«
Marcuse diceva che la strategia del tardo capitalismo sarà la moltiplicazione del-l’offerta. Il rischio di tale prospettiva era il declino della società per mancanza di desiderio: direi che abbiamo resistito. Siamo più marcusiani oggi che nel ‘68».
Torneranno mai gli anni d’oro del consumismo
rampante?
«Non così, per lo meno non sulle stesse cose. Siamo saturi di auto, case, telefonini. Ci sarà una lenta ricostruzione e varrà la legge del sottoinsieme: il modo di consumare cambierà a macchia di leopardo, non tutti ne usciremo allo stesso modo. Ma va detto che il Italia esiste anche un buon capitalismo, legato alla manifattura, al turismo, ai borghi. Abbiano strutture solide dalle quali ripartire».
La caduta dei consumi lascerà un vuoto?
«C’è una vecchia idea della società moderna che considera il singolo alla mercé del mercato e della finanza. In parte è così, i consumi sono stati presentati anche come un possibile riempitivo della vita. Vista la situazione attuale si ripresenterà il problema di dare
un senso a quella vita».
Siamo pronti a farlo?
«Non tutti, e non c’è da meravigliarsi. In fondo veniamo da trent’anni di perenne crescita. La ricostruzione arriverà per sottoinsiemi,
non sarà uguale per tutti».
Tornando al pratico lei oggi cosa consiglierebbe ai commercianti?
«Di utilizzare come sempre fanno il loro «radar», captare le nuove tendenze e costruire i sottoinsiemi per chi resiste. Lo stanno già facendo, basta vedere — per esempio — la velocità con la quale è stato organizzata l’offerta di mercati nuovi come quello della sigaretta elettronica».