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 2010  febbraio 03 Mercoledì calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Giorgio Napolitano
Il Presidente del Senato è Renato Schifani
Il Presidente della Camera è Gianfranco Fini
Il Presidente del Consiglio è Silvio Berlusconi
Il Ministro degli Interni è Roberto Maroni
Il Ministro degli Esteri è Franco Frattini
Il Ministro della Giustizia è Angelino Alfano
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Mariastella Gelmini
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Maurizio Sacconi
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Giulio Tremonti
Il Ministro della Difesa è Ignazio La Russa
Il Ministro dello Sviluppo economico è Paolo Romani
Il Ministro delle Politiche agricole è Luca Zaia
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Altero Matteoli
Il Ministro della Salute è Ferruccio Fazio
Il Ministro di Beni e Attività culturali è Giancarlo Galan
Il Ministro dell’ Ambiente è Stefania Prestigiacomo
Il Ministro dell’ Attuazione programma di governo è Gianfranco Rotondi (senza portafoglio)
Il Ministro della Gioventù è Giorgia Meloni (senza portafoglio)
Il Ministro delle Pari opportunità è Mara Carfagna (senza portafoglio)
Il Ministro delle Politiche europee è Andrea Ronchi (senza portafoglio)
Il Ministro di Pubblica amministrazione e Innovazione è Renato Brunetta (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Elio Vito (senza portafoglio)
Il Ministro di Rapporti con le Regioni e Coesione territoriale è Raffaele Fitto (senza portafoglio)
Il Ministro delle Riforme per il federalismo è Umberto Bossi (senza portafoglio)
Il Ministro della Semplificazione normativa è Roberto Calderoli (senza portafoglio)
Il Ministro del Turismo è Michela Vittoria Brambilla (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Mario Draghi
Il Presidente della Fiat è Luca Cordero di Montezemolo
L’ Amministratore delegato della Fiat è Sergio Marchionne
Il Segretario Nazionale dei Popolari-UDEUR è Clemente Mastella
Il Coordinatore Nazionale di Sinistra Democratica è Claudio Fava
Il Presidente della Rosa per l’Italia è Savino Pezzotta

Nel mondo

Il Papa è Benedetto XVI
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Barack Obama
Il Presidente del Federal Reserve System è Ben Bernanke
Il Presidente della BCE è Jean-Claude Trichet
Il Presidente della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Hu Jintao
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è Gordon Brown
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Nicolas Sarkozy
Il Primo Ministro della Repubblica francese è François Fillon
Il Re di Spagna è Juan Carlos I
Il Presidente del Governo di Spagna è José Luis Rodríguez Zapatero
Il Presidente dell’ Egitto è Hosni Mubarak
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Abdullah Gül
Il Presidente della Repubblica Indiana è Pratibha Patil
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Manmohan Singh
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Mahmud Ahmadinejad

Stiamo entrando in una nuova guerra fredda e a favorirla è, magari non volendo, il presidente della pace e della speranza, cioè Barack Obama. Ieri la Casa Bianca ha annunciato che il Dalai Lama sarà ricevuto dal capo dello Stato il prossimo 16 febbraio quando arriverà a Washington. La Cina ha risposto con una dichiarazione molto dura del responsabile del Partito comunista per le etnie e gli affari religiosi, Zhu Weiqun: «I rapporti tra governo centrale e il Dalai Lama sono una questione interna alla Cina. Ci opponiamo con fermezza a qualsiasi tentativo di una forza straniera di interferire con le questioni interne cinesi usando come pretesto il Dalai Lama […] Se il presidente Obama incontrasse il Dalai Lama finirebbe per minacciare la fiducia e la collaborazione». Il governo cinese, messo in preallarme, aveva messo in rete una comunicazione preventiva già ieri mattina, avvertendo che l’incontro sarebbe stato «irragionevole» e avrebbe minato «seriamente le relazioni tra Cina e Stati Uniti».

Perché un capo di Stato non può incontrare il Dalai Lama senza che i cinesi vadano su tutte le furie?
La faccenda è connessa con la questione tibetana. I cinesi si impadronirono del Tibet nel 1950, nel 1959 il Dalai Lama fuggì in India, da dove diresse la resistenza del popolo all’invasione. Da vecchie pretese indipendentiste il Dalai Lama è sceso ora a posizioni più moderate: chiede solo l’autonomia del suo Paese all’interno dello stato cinese. Pechino non solo ha sempre risposto di no, ma ha operato per cancellare dal Tibet l’etnia locale e sostituirla con l’etnia han, quella a cui appartengono il 95 per cento dei cinesi. Quindi trasferimento in massa di famiglie cinesi a Lhasa e negli altri villaggi tibetani, prolungamento fino a Xigaze della ferrovia – un’opera ciclopica e finanziariamente tutta in perdita che fa correre il treno a cinquemila metri d’altezza –, forniture di acqua, elettricità, telefono e soprattutto televisione con lo scopo di indurre i tibetani dediti al pascolo di pecore o di yak a guardare i programmi cinesi e a cambiar testa.

La ferrovia e il resto, però, non sono cose buone? Come mai questa opposizione irriducibile da parte dei tibetani?
Pechino vuol farli sparire dalla faccia della Terra. Già adesso le due etnie si equivalgono: 50% gli uni, 50% gli altri. I cinesi hanno anche un interesse pratico: il Tibet è una formidabile riserva d’acqua, tutti i grandi fiumi asiatici lo attraversano: Yangtze, Brahmaputra, Fiume Giallo, Mekong, Indo, Karnali, Sutlej. Hu Jintao, il presidente, da giovane è stato segretario del partito in Tibet. Adesso ha paura che una qualunque concessione al Dalai Lama finisca per mettere il papa buddista in balia degli estremisti tibetani, che forse lo travolgerebbero e spingerebbero per la rivolta armata. E che farebbero le altre etnie se sul Tibet Pechino si mostrasse arrendevole? C’è stato un incontro giorni fa a Pechino con due inviati del Dalai Lama, ma non ne è uscito niente. La questione è talmente delicata che persino il Papa ha evitato di incontrarlo. L’unica che ha tirato dritta per la sua strada e lo ha ricevuto è stata la Merkel. Lo stesso Obama, lo scorso ottobre, ha lasciato perdere, pensando al viaggio che avrebbe compiuto a Pechino di lì a poco.

E ora perché questo irrigidimento?
Washington sta alzando il tiro su Pechino. Ha cominciato con la questione di Google. Ricorda? Alla dichiarazione di Google che non avrebbe più tollerato censure in Cina, a costo di lasciare il Paese, Pechino rispose in tono moderato e facendo parlare un personaggio minore. Ma quando la stessa Hillary Clinton tornò sul tema accusando i cinesi di far pirateria e sabotaggio sulla rete per ostacolare la libera circolazione delle idee, Pechino rispose con un comunicato piuttosto duro, in cui si minacciavano conseguenze sulle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Poi c’è stata la questione della vendita delle armi a Taiwan.

Di questa non abbiamo mai parlato.
Gli Stati Uniti si sono impegnati a vendere a Taiwan, per 6 miliardi e mezzo di dollari, 114 missili Patriot, 60 elicotteri Black Hawk, apparecchiature per i caccia F-16 e altro materiale. Pechino considera Taiwan un territorio suo, Taiwan – detta anche Cina Nazionalista – è invece oggi uno stato indipendente, retto da sempre da un governo anticomunista. Per questa faccenda sono state rotte, temporaneamente, le relazioni militari Pechino e Washington. La protesta cinese è stata affidata al ministero degli Esteri. Una cosa seria.

Non vedo che vantaggio trarrà Obama da questa linea a un tratto dura.
Ci sono anche altre questioni. I dazi antidumping, le polemiche sul giusto valore dello yuan, gli esperimenti missilistici, le politiche ambientali. C’è poi il problema dei problemi, di cui nessuno parla mai. I cinesi sono pieni di dollari e grazie a questo tengono in pugno la finanza americana. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 3/2/2010]

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