Stefano Feltri, Alfredo Faieta, il Fatto Quotidiano 3/2/2010;, 3 febbraio 2010
LA BORSA IMPAZZISCE PER TELECOM
Per la terza volta in un mese a Piazza Affari si parla soltanto di Telecom. Il quotidiano Repubblica scrive che il governo avrebbe dato il via libera alla fusione tra Telefónica e Telecom e tutti corrono a comprare azioni della compagnia telefonica guidata da Franco Bernabè. A fine giornata è passato di mano il 3,2 per cento del capitale, il titolo chiude in rialzo del 6 per cento, dopo aver toccato punte del dieci. Eppure, fanno notare fonti finanziarie, tutto si regge su uno striminzito virgolettato nell’articolo di giornale: ”Adesso – ripetono a Palazzo Chigi – ci dicono che la fusione tra Telecom e Telefónica non è più rinviabile”. LE SMENTITE. Sollecitati dalla Consob, smentiscono tutti. Palazzo Chigi dice che non è vero nulla. I soci italiani di Telco, la holding che controlla Telecom (azionisti principali Telefónica, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali) prendono le distanze dall’indiscrezione. Eppure, secondo molte fonti vicine al dossier, siamo arrivati alla stretta finale. Lo aveva anticipato qualche settimana fa Mario Valducci, Pdl, presidente della Commissione trasporti dicendo che dopo le regionali si sarebbe trovata una ”soluzione forte” per Telecom. Chi studia da mesi il dossier sostiene che ”alla fine Telecom se la prenderanno gli spagnoli, come è implicito da quando sono entrati come partner industriali in Telco al fianco di soci finanziari interessati solo a tutelare una parvenza di italianità”. Ma i tempi saranno più lunghi di quanto lascia intendere Repubbli - ca. Bisogna prima decidere chi si farà carico del debito (34 miliardi) di Telecom, magari una bad company sul modello Alitalia, capire cosa vuole Intesa per accettare una soluzione opposta a quella più italiana per la quale ha sempre tifato, stabilire che succederà all’infrastruttura. Quello di cui si discute, infatti, è soprattutto il futuro della rete – o ra quasi tutta in rame, domani in fibra ottica secondo l’idea del governo – che dovrebbe diventare una società autonoma. Così anche Mediaset potrà partecipare e assicurarsi che dalla televisione via Internet non arrivino minacce alla sua egemonia sul digitale terrestre. Visto che le basterà una piccola percentuale, ben lontana da quella di controllo che farebbe scattare le sanzioni dell’Agcom, l’azienda di Silvio Berlusconi non dovrebbe incontrare ostacoli. Il compromesso con gli spagnoli sarebbe questo: la quota di controllo della società della rete resta a una Telecom in mano spagnola, ma il governo si fissa i paletti con una golden share ta gliata su misura per il nuovo scenario. L’insieme dei poteri con cui l’esecutivo può condizionare un’azienda strategica è ora in fase di riscrittura al Tesoro, dopo i pronunciamenti in materia dell’Unione europea. ”Siamo preoccupati che una governance non italiana possa decidere di non investire sulla rete, su questo il governo sta facendo e farà un grosso sforzo”, ha detto ieri il viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani. SUDAMERICA. Che la fusione Telefónica-Telecom non sia imminente lo dimostra anche la delicatezza della situazione in Sudamerica, area strategica per entrambe le compagnie grazie a forti tassi di crescita attesi nei prossimi anni. Lo scorso novembre la società spagnola era stata sconfitta da Vivendi nella gara per acquisire il gestore brasiliano Gvt, ma grazie alla fusione con Telecom si troverebbe in casa Tim Brasil, il gestore mobile che ha circa un quarto del mercato brasiliano. Un boccone ghiotto che gli analisti finanziari credono essere il vero obiettivo di César Alierta, gran capo di Telefónica. Ma l’integrazione con le attività brasiliane mobili di Telefónica, riunite sotto il marchio Vivo, potrebbe non essere facile. Bisognerebbe probabilmente ripassare il vaglio del Anatel, l’autorità per le Comunicazioni brasiliana, che lo scorso giugno aveva stabilito la mancanza di collegamento tra i due gestori, non imponendo nessuna cessione di asset, ma che potrebbe ritornare sui propri passi in caso di fusione tra i gruppi in Europa. In Argentina, l’Antitrust ha invece già accertato la formazione di un monopolio tra le attività telefoniche, imponendo a Telecom Italia la cessione dei suoi asset basati a Buenos Aires entro il 25 agosto 2010 (termine poi considerato non vincolante). Una decisione contro la quale hanno fatto ricorso sia la controllante Telco, di cui è azionista Telefónica, sia Telecom, e che è stata bloccata da una Corte argentina perché ritenuta in questa fase, secondo quanto riferito dalla stampa locale, ingiustamente sanzionatoria per gli italiani. Questa decisione dovrebbe allentare la tensione tra i soci Telco, propensi alla cessione, e l’ad Franco Bernabè, preoccupato per le ricadute economiche che avrebbe una vendita forzosa, affidata all’advisor Credit Suisse, che a questo punto potrebbe congelare le operazioni. La situazione sembra quindi riaprirsi, e si dovrebbe sapere qualcosa di più dopo il 10 febbraio quando è previsto, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, un vertice riservato tra il presidente Gabriele Galateri di Genola, lo stesso Bernabè, Carmelo Furci, delegato ai rapporti con Telefónica, e il rappresentante della filiale argentina, l’avvocato Jorge Perez Alati.