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 2010  febbraio 03 Mercoledì calendario

SAFRAN FOER IL VEGETARIANO «ME L’HA INSEGNATO NONNA»

Chissà se questa sera, durante la conferenza in cui Jonathan Safran Foer racconta come si diventa scrittore vegetariano, qualcuno si alzerà a parlare in difesa dell’industria alimentare. Finora non è mai successo. Eppure Foer, ad ogni reading del suo libro «Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?», edito in Italia da Guanda, invita sempre qualcuno a farlo. « Non è una trovata per far ridere - assicura - vorrei davvero che qualcuno mi dimostrasse che l’allevamento intensivo non genera soltanto orrori, che fosse possibile contestare la mia indagine durata quasi tre anni intorno alle violenze perpetrate sugli animali».
Jonathan Safran Foer Trentatré anni, autore del libro «Se niente importa. Perché mangiamo animali», edito in italia da Guanda e già best seller in America

Foer incontra il pubblico questa sera alle 21 all’Auditorium Parco della Musica, in anteprima sulla Festa del Libro e della Lettura. Lo scrittore, nato aWashington trentatré anni fa e arrivato al successo mondiale con «Ogni cosa è illuminata», questa volta ha scritto una storia molto controversa, ametà tra il racconto e l’inchiesta giornalistica, in cui passa in rassegna gli allevamenti intensivi americani e denuncia le torture che polli, tacchini, maiali e mucche devono subire per tutta la vita prima di essere uccisi e finire sulla nostra tavola. In America, dove è uscito un anno fa, il volume è diventato subito un best seller e molti lettori hanno cominciato a interrogarsi se valga la pena continuare a mangiare carne. «Se la gente sapesse quale cocktail micidiale di farmaci viene inserito nella bistecca o nel pollo che compriamo al supermercato - dice Foer - quale dose di sofferenza contiene quella carne, quante risorse del pianeta vengono impegnate per produrla, forse non diventerebbe vegetariana, ma comincerebbe a mangiare in modo più responsabile. Se gli americani, anziché mangiare carne tutti i giorni, ne facessero a meno solo una volta a settimana, il loro gesto equivarrebbe a far sparire di colpo cinque milioni di automobili dalla circolazione».

Lui ha smesso di mangiare carne mentre scriveva il libro. Che parla anche della nonna e del primo figlio. La nonna ha a che fare con il titolo: «Se niente importa». Alla fine della seconda guerra mondiale, nell’Europa orientale, era come tutti affamata. Ma, essendo ebrea, rifiutò la carne di maiale offertale da un contadino russo. Non perché fosse vegetariana, ma perché quel cibo non era kosher. Quando Jonathan da bambino le chiese perché avesse rifiutato un cibo che le avrebbe salvato la vita, lei rispose: «Perché se niente importa, allora non c’è niente da salvare». «Il cibo per mia nonna - scrive Foer - non è solo cibo. terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente, amore».

Ed è ricordando le storie della nonna che lo scrittore comincia a interrogarsi su che cosa darà da mangiare al figlio che gli è appena nato. «Nutrire mio figlio non è come nutrire me stesso: è più importante. Assorbendo la tradizione ebraica dalla mia famiglia a poco a poco ho imparato che il cibo serve a due scopi paralleli: nutre e aiuta a ricordare. Mangiare e raccontare sono due atti inseparabili. Questa storia non è cominciata sotto forma di libro. Volevo solo sapere - per me stesso e per la mia famiglia - che cos’è la carne. Da dove viene? Come sono trattati gli animali? Quali effetti ha mangiare gli animali sul piano economico, sociale e ambientale?». Alla fine del libro Foer ha scoperto quale fosse la «lezione vitale» che la nonna ha cercato di trasmettergli. «E che io cercherò di trasmettere a mio figlio».