Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  febbraio 03 Mercoledì calendario

MORGAN, DA POETA MALEDETTO A GURU DI X FACTOR

Nel 2001 Morgan era meno noto di adesso alle platee della grande tv generalista, aveva semplicemente una bella voce in gola e un ottimo gruppo attorno, i Bluvertigo. Si presentò a Sanremo con una canzone intitolata «Assenzio». Oltre alla «fata verde» ottocentesca parlava d’oppio e marijuana. Chi aveva orecchie per intendere, in quel ritornello di «sto bene sto male, fanno bene fanno male» qualcosa di sospetto per gli standard nazionalpopolari del Festival avrà sicuramente inteso. Non ci fu comunque rumore. Morgan arrivò semplicemente ultimo in gara. Già allora, per la cronaca, sulla tribuna del Festival che adesso potrebbe respingerlo per aver inneggiato alla droga, aveva cantato di droga.
Beghe sanremesi a parte, Morgan non ha mai fatto mistero sul rapporto con le droghe. In un’intervista alle «Jene» aveva persino sciorinato un breve elenco di preferenze: canne sì, ecstasy una volta, coca sì, eroina no. E’ vero che in tv certe volte si scherza sull’estasi. Ma le sostanze stupefacenti hanno fatto parte del personaggio Morgan, musicista di culto pop e postmoderno, e al tempo medesimo poeta maledetto e dandy nel look. Nelle foto promozionali sembra estratto dalle stampe di Brummel o di Mucha, condite, talvolta con un po’ di vampirismo (altra moda antica e modernamente «Twilight»). Assenzio e compagnia bella non sono sballo, si legano a Baudelaire, Rimbaud, alla cultura psichedelica. Tutto vero. Morgan lo sa. Chi s’impasticca in discoteca meno, e scambia «I fiori del male» per marijuana. Ma uno che ha deciso di chiamarsi in arte «Morgan» vuole essere pirata nella vita e nell’arte.
Cresciuto con i Bluvertigo, è una delle menti più intelligenti del pop italiano; con la stessa disinvoltura cita Queneau e insulta la De Filippi, ha fatto film (è stato Karl Marx) ha scritto libri ha collaborato con la meglio gioventù musicale. Ma la grande fama gli è arrivata con «X Factor». Era un bravo musicista. Ora è un maestro tv. Da quando sprona, consiglia, strapazza aspiranti cantanti è diventato vip come Simona Ventura o Alessia Marcuzzi, soltanto più guru, più filosofo, più creativo, perché non vuole rinunciare al genio. Non si accontenta di apparire, vuole dire e spiegare. Se esce in un piazza o entra in libreria accorrono centurie di giovani ad ascoltare il suo pensiero, a capire come poter entrare nel piccolo schermo. «X Factor» ti ha cambiato la vita? «No, io ho cambiato X Factor». Miscela poesia maledetta narcisismo tv. Dice che un libro importante è «1984» (quello che per primo coniò, con incubo, l’espressione «Grande Fratello») e fa i reality. Col suo carattere un po’ troppo baldanzoso, sulfureo, gigione, talvolta irrita. A «X Factor» ha sbottato più d’una volta. E nelle «Invasioni barbariche», raschiandosi contro Daria Bignardi, personalità non certo debole, ha prodotto garbate scintille. In amore è inquieto. Ha conosciuto Asia Argento ad una cena e con rapidità da matrimonio morganatico due ore dopo ci si è fidanzato. Nel 2001 hanno fatto una figlia, Anna Lou. Insieme, una volta, hanno fatto anche una cosa meno carina: con Asia alla guida, hanno tamponato un’altra auto sul raccordo anulare di Roma e non si sono fermati.
Bello, intelligente, famoso. Probabilmente ricco. Morgan, oltre che di cocaina, nell’intervista «Max» ha parlato di depressione, quel male oscuro che affligge, davvero, migliaia di italiani. In tv ha detto con un certo orgoglio «Io sono completamente autodistruttivo». Che cosa abbia detto in analisi, invece, non si sa. «L’ho fatta, ma capire non è guarire. A me interessa sapere chi sono, ma non per migliorarmi». E di malessere, la droga, ne ha migliorato ben poco nella storia. L’hanno capito anche i poeti maledetti. Ma loro non avevano «X Factor».
Bruno Ventavoli