Paolo Valentino, Corriere della Sera 03/02/2010, 3 febbraio 2010
WASHINGTON SEMPRE PIU’ DIPENDENTE DAI PRESTITI DALL’ESTERO
Secondo lo scienziato britannico Colin Pillinger, il prossimo uomo sulla Luna sarà un cinese. la conseguenza più probabile della rinuncia dell’Amministrazione Obama al programma Constellation, codificata nel bilancio federale presentato lunedì. Come durante la Guerra Fredda, la corsa allo spazio è destinata a colpire l’immaginazione di miliardi di persone, fotografando gli equilibri del mondo. Allora sancì la supremazia militare americana sull’Unione Sovietica. Domani sancirà quella economica e tecnologica. Ma questa volta non sarà l’America a primeggiare.
La legge finanziaria inviata da Barack Obama al Congresso è un documento onesto ed esplosivo. Annidata nelle sue voci, soprattutto nella proiezione decennale del deficit, è infatti l’ammissione che a meno di eventi straordinari, gli Stati Uniti rischiano di avvitarsi in una sorta di lenta paralisi, entrando nel tunnel di un «decennio perduto», simile a quello appena conclusosi per il Giappone, durante il quale i conti in rosso ne hanno indebolito la forza economica e lo status globale.
« Abbiamo raggiunto un punto nel quale c’è un legame diretto tra la nostra solvibilità e la nostra sicurezza nazionale», dice Richard Haass, presidente onorario del Council of Foreign Relations, che servì nell’Amministrazione di Bush padre. E Gerald Seib, analista del Wall Street Journal, mette in guardia dal pericolo, che il deficit «riduca la nostra indipendenza e libertà d’azione, metta a rischio i nostri futuri bilanci per la difesa e il prestigio del modello americano nel mondo».
I numeri del documento fanno impressione. Il passivo contabile del 2010 sarà 1.600 miliardi di dollari, pari a quasi l’11% del prodotto interno lordo, una cifra da Guerra civile o da Guerra mondiale. Quello del 2011 sarà inferiore di appena 300 miliardi. Ma il futuro è grigio: ammesso che le misure per ridurlo proposte dall’attuale Amministrazione vengano adottate, in nessuno degli esercizi finanziari fino al 2020, il deficit pubblico americano sarà inferiore al 3,6% del Pil. Anzi, negli ultimi due anni del decennio schizzerà sopra il 5%, conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Se gli Usa facessero parte della zona Euro, nei prossimi 10 anni sarebbero sempre fuori e di molto dai criteri di Maastricht. Come la Grecia.
Per finanziare questa montagna di debiti, il Tesoro Usa continua a emettere buoni, prendendo soldi in prestito, soprattutto all’estero e soprattutto dalla Cina, primo creditore con più di 800 miliardi di dollari. Cosa ciò significhi in termini strategici, la crescente baldanza di Pechino sulla scena mondiale è lì a provarlo. «Per quanto tempo il più grande debitore del mondo potrà rimanere la più grande potenza del mondo?», si chiedeva Larry Summers, prima di diventare il capo dei consiglieri economici del presidente.
Lo stesso Obama, ricordava ieri David Sanger sul New York Times, ha lasciato più volte trapelare le sue preoccupazioni: «La nostra prosperità è la base del nostro potere, paga per i nostri eserciti, sostiene la diplomazia. Ecco perché le nostre truppe non possono rimanere all’infinito in Afghanistan: la nazione che mi interessa di più ricostruire, è la nostra», ha detto in dicembre all’Accademia di West Point. Secondo Sanger, la pubblicazione delle proiezioni decennali del deficit ha una funzione in parte pedagogica. Il presidente ha voluto dimostrare l’insostenibilità dello stallo al Congresso, «dove i repubblicani si rifiutano di parlare dell’aumento delle tasse e i democratici si rifiutano di parlare dei tagli di spesa». La ricetta del presidente è spendere di più quest’anno, sostenendo la crescita e rilanciando l’occupazione, per poi ricominciare progressivamente a ridurre il passivo.
A far gonfiare il deficit di un bilancio ereditato in attivo da Bill Clinton, fu l’Amministrazione Bush, cercando di quadrare il cerchio di due guerre senza alzare le tasse, anzi riducendo le aliquote per i più ricchi. Ma è stato Obama, sia pur costretto dall’emergenza della crisi più grave dalla Grande Depressione, a portarlo agli attuali livelli stratosferici. Il rosso di bilancio politicamente è suo. La sua arma non più segreta è una commissione bipartisan, che il Senato gli ha bocciato ma che lui vuole istituire per decreto, con l’incarico di suggerire un modo di pareggiare il bilancio, al netto del servizio sul debito, entro il 2015. Come dice Seib, «il danno che i deficit possono fare alla posizione dell’America nel mondo, è una buona ragione per sperare che funzioni».
Paolo Valentino