Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 03/02/2010, 3 febbraio 2010
L’INFRASTRUTTURA, IL DEBITO E LO «SCAMBIO» CON ABERTIS
La Borsa sembra non credere alle smentite del governo italiano sulle nozze tra Telecom Italia e Telefonica, ma in realtà i mercati tendono ad anticipare una conclusione, certo possibile da qualche mese, ma non ancora scontata. Cesar Alierta, infatti, deve sciogliere tre nodi prima di potersi annettere la compagnia guidata da Franco Bernabè. Il primo è dimostrare la convenienza dell’integrazione per l’azienda Telecom Italia. Gli spagnoli non portano know how nè una speciale propensione alla qualità: basta confrontare il servizio nei due paesi. Dimostrano la stessa scarsa propensione di Telecom Italia per le reti di nuova generazione. Ciò che Telefonica porta di reale è la dimensione. Per tante ragioni, Telecom Italia è rimasta la più piccola delle grandi. La dimensione serve per reggere la concorrenza con Google, Apple e tutti gli altri fornitori di servizi se nei servizi si vuol competere; altrimenti, come mero carrier, Telecom Italia può stare anche da sola. E se è attenta ai costi può prosperare così come le concessionarie autostradali del gruppo Gavio vivono serene anche se sono più piccole di quelle di Atlantia.
L’altro vantaggio è finanziario: Telecom ha un debito certo sostenibile ma abbastanza alto da ingessarla. Chi oggi la invita a investire grandi cifre non sa di che cosa parla. Telefonica ha un debito non trascurabile ma proporzionalmente un po’ più basso e dunque, nel supergruppo, il problema Telecom sarebbe diluito. Ma è questo l’unico modo di fronteggiare un debito? La risposta è no. L’alternativa esiste: è un robusto aumento di capitale, 10-12 miliardi, un’emissione fatta a un prezzo abbastanza basso da attirare non solo i soci esistenti ma anche nuovi capitali. Questo è il secondo nodo per Alierta. Una Telecom Italia che riducesse di colpo il proprio debito a 22-25 miliardi potrebbe tornare a giocarsi la partita sui mercati internazionali e poi andare a trattare le alleanze strategiche, anche con Telefonica, su basi più forti di quelle attuali.
Il principale ostacolo a una tale operazione è Telco, la holding italo-spagnola che detiene il 22% e controlla l’assemblea. I soci italiani’ Generali, ma soprattutto, con Basilea III, Mediobanca e Intesa Sanpaolo’ faticherebbero a sottoscrivere le loro quote e dovrebbero ulteriormente svalutare i loro pacchetti, tuttora in carico a 2,2 euro per azione. Ma il mercato, al giusto prezzo, sottoscriverebbe. Il governo, che ha tanto pagato per l’Alitalia, non può avere adesso la memoria corta. I soci eccellenti di Telco han detto di essere entrati in Telecom per difendere il tricolore e assicurare a uno dei pochi grandi gruppi rimasti i capitali che la Pirelli non poteva mettere. E adesso che fanno? Fabbricano l’ennesima scatola cinese con finanziaria de La Caixa, alla quale intestare i loro pacchetti, per continuare a dire che contano e non svalutare. E poi? E poi darebbero via libera alla stessa operazione che hanno impedito di fare a Marco Tronchetti Provera senza aver mai messo un euro nell’impresa? un’astuzia che si confronta con lo scioglimento di Telco e l’aumento di capitale: la strada maestra per fare di Telecom una public company, esattamente come Telefonica. Franco Bernabè non si giocherà la poltrona proponendo questa strada al buio contro i soci italiani. Ma il governo? Inutile dire che Telecom è una società privata. La golden share c’è ancora, sia pure ridimensionata. E, soprattutto, nessuno può sfidare uno Stato in un’attività regolata imponendo fusioni sgradite. Al governo interessa di più l’azienda Telecom o i conti di alcuni soci eccellenti?
Il terzo nodo è formato dalle relazioni tra Italia e Spagna. Qui le aspirazioni imperiali di Telefonica confluiscono in un quadro più vasto che comprende il passato remoto (l’acquisto di Endesa da parte di Enel, di Antena Tres da parte di De Agostini, lo sviluppo della berlusconiana Telecinco, l’aggiunta di Recoletos al quotidiano El Mundo da parte di Rcs Media Group), il passato prossimo (l’ingresso di Mediaset in Cuatro e Digital Plus) e il futuro (la fusione tra Atlantia e Abertis nelle autostrade, ma questa volta a maggioranza italiana). Alierta e il suo premier Zapatero potrebbero prospettare un asse tra Madrid e Roma. Ma, posto che il recente affare del Biscione è troppo piccolo per giustificare alcunché, lo scambio tra Telecom Italia e Abertis vale la candela? Probabilmente servirà ancora un po’ di meditazione.
Massimo Mucchetti