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 2010  febbraio 03 Mercoledì calendario

TELECOM, IL GOVERNO FRENA MA IN BORSA E’ UN BOOM

Palazzo Chigi frena, Piazza Affari accelera, ma il calendario della finanza va con i suoi tempi: se un’operazione Telecom-Telefonica si farà davvero è probabile che non avvenga prima dell’estate. Le indiscrezioni sul via libera del governo a una fusione tra Telecom e Telefonica, pubblicate da «la Repubblica», ricevono ieri mattina smentita «nella maniera più totale» dalla stessa Presidenza del Consiglio, che parla di «nessun contatto, nessun incontro, nessun paletto» posto dal governo ai soci. La Borsa pare invece dar credito all’ipotesi di un accordo imminente: dopo una giornata di scambi frenetici, in cui passa di mano più del 3% del capitale, Telecom chiude in rialzo del 6% a 1,14 euro, mentre a Madrid il titolo Telefonica perde lo 0,55% a 17,42 euro.
Siamo dunque alla vigilia di un’operazione Telefonica-Telecom? Assolutamente no, spiegano fonti finanziarie. In primo luogo perchè il dossier italo-spagnolo fisicamente non esiste ancora; e poi perché se su questo si dovesse lavorare bisognerà «allineare» interessi ed esigenze di un’infinità di soggetti: le due società operative coinvolte, i loro azionisti, ovviamente i governi di Roma e Madrid che, sebbene formalmente fuori dalla partita che coinvolge società quotate e con azionariato privato, vorranno dire la loro. Ecco perché, se all’operazione si arriverà - è la previsione - qualcosa si muoverà solo a cavallo dell’estate, ben dopo le elezioni regionali di marzo.
Al di là delle fughe in avanti, comunque, i punti definiti sono due. Il primo è che i soci forti italiani che stanno in Telco, la scatola finanziaria che di fatto controlla Telecom con il 22,5% del capitale, sono - sebbene con sfumature differenti - orientati alla soluzione spagnola. Il perché è presto detto: hanno in carico le azioni Telecom, acquistare nel 2006 dalla Olimpia di Marco Tronchetti Provera, a 2,2 euro l’una. Un livello quasi doppio rispetto alle quotazioni attuali. Per rivedere quei valori i soci Telco si aspettano o l’improbabilissima presentazione di un piano di sviluppo «stand alone» da parte dell’amministratore delegato di Telecom Franco Bernabé, oppure il rilancio attraverso un piano che preveda sinergie industriali con un partner estero, e qui in pole position c’è proprio Telefonica. Il tifo per gli spagnoli ha sfumature diverse, però. Guardano decisamente a Madrid Mediobanca e Generali, e in fondo lo stesso Bernabé. Meno entusiasta invece Intesa-Sanpaolo.
Il secondo dato è che il governo, di fronte a un’eventuale nuovo passaporto di Telecom, dovrà far pesare il suo ruolo per preservare un asset strategico come la rete dell’operatore. Come ha detto ieri il sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani «la rete è un’infrastruttura radicata in Italia. Oggi abbiamo una governance italiana con un socio spagnolo. Nell’ipotesi di una fusione, di cui non conosco i meccanismi e che sicuramente non c’è, e dunque nel caso in cui una multinazionale diventasse socio di maggioranza, o addirittura proprietario della rete italiana, siccome non può delocalizzare, intravedo il rischio che una società di questo tipo privilegi gli investimenti in altri paesi piuttosto che nel nostro».
Se questo è lo scenario di fondo, per arrivare a una possibile soluzione italo-spagnola - oltre a conciliare una miriade di diversi interessi - restano da risolvere due problemi di base. Il primo riguarda la forma dell’operazione Telecom-Telefonica. L’ipotesi di un semplice passaggio di mano della Telco agli spagnoli è stato smentito il 5 gennaio. Quella di un’Ops (titoli contro titoli) di Telefonica sull’intero capitale Telco è teoricamente possibile, anche se gli analisti spagnoli sono assai scettici e sottolineano gli ostacoli Antitrust in America Latina, specie in Brasile. Meno ostacoli, invece, dopo le notizie di ieri, in Argentina. Là una corte ha rovesciato la decisione governativa che imponeva a Telecom Italia la vendita della sua partecipazione in Telecom Argentina proprio per ragioni di Antitrust. Ci sarebbe infine lo scenario, anch’esso smentito, di una fusione tra Telco e Criteria, la holding della spagnola Caixa che detiene il 3,7% di Telefonica per formare un «nocciolino» italo-iberico. Tutto da studiare su questo fronte, quindi, anche se le vie dell’ingegneria finanziaria sono per definizione infinite.
Il secondo problema da risolvere, questo sostanziale, è appunto il destino della rete Telecom. Scorporare a priori la rete renderebbe qualsiasi operazione poco appetibile per gli spagnoli. Quel che si cerca, allora, è una formula che possa mantenere sotto il controllo italiano la gestione della rete, garantendo al tempo stesso un livello adeguato di investimenti perché la struttura non divenga obsoleta. Anche di questo si potrebbe parlare nel vertice di domani tra il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e i vertici della stessa Telecom.
Francesco Manacorda