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 2010  febbraio 03 Mercoledì calendario

BERSANI: D’ALEMA CI METTE UN PO’ TROPPO LA FACCIA

Dopo le primarie in Puglia, «il rapporto con D’Alema non è cambiato, è un rapporto amichevole, di stima e rispetto». E quale è la cosa che la convince di più di lui? «Che ci mette la faccia». E di meno? «Che ce la mette tutti i giorni». Ecco, questo scambio di battute di Pierluigi Bersani con Giovanni Minoli, andato in onda ieri notte a «La Storia siamo noi», rende bene lo stato di salute di una simbiosi politica che col passare dei mesi comincia a tradire qualche affanno. Certo, nessuno può negare che i due leader del Pd condividano appieno la gestione dei dossier più spinosi per la «ditta», come la chiama Bersani. Però forse il ben noto protagonismo di D’Alema sta diventando troppo ingombrante per il segretario. E una battuta come quella regalata a Minoli può anche esser letta come un gesto di stizza ben addolcito dalla bonomia tutta emiliana di Bersani.
Fatto sta che ieri alla Camera, mentre in aula prendeva la parola D’Alema per dire la sua sul legittimo impedimento, Bersani se ne è uscito per fumarsi tranquillamente un toscano in cortile. Quattro chiacchiere con il piemontese Guido Crosetto e tra una boccata e l’altra qualche battuta sulle regionali, «le elezioni più politiche di tutte le altre, perché i voti delle coalizioni sono determinanti, ricordiamoci di quando Cacciari, che era favorito, perse con Galan...» Guarda caso erano le Regionali del 2000, quelle in cui D’Alema, per dirla con uno dei dirigenti democrats, «ci mise la faccia e si fidò dei sondaggi» che gli assicuravano come la forza dei candidati di centrosinistra fosse superiore a quella dei loro avversari. Ma poi finì con un bagno di tale portata da costringerlo alle dimissioni da premier il giorno dopo.
E se la lezione è servita a qualcosa, non stupisce che Bersani stia facendo di tutto per tenere in piedi le intese con l’Udc, perché «la matematica non è un’opinione» e comunque sia, dopo questo estenuante risiko delle candidature, «vedrete che alla fine, a bocce ferme, faremo il conto e ci caveremo qualche gusto». E anche se dalle regionali arrivasse una doccia fredda, Bersani assicura che non si dimetterebbe «perché ci siamo dati un percorso più lungo». Così come non esclude «assolutamente la candidatura a premier nel 2013» anche se «non lo ordina il dottore».
Intanto però nel circo barnum del Pd si consumano veleni e tradimenti tra «satrapi» locali per le ultime corse alle candidature. Tradimenti che avranno strascichi nazionali già stasera all’assemblea di Area Democratica, il «correntone» di minoranza del Pd. Il caso dell’Umbria, dove alle primarie di domenica si sfideranno la bersaniana Catiuscia Marini e l’ex Ppi, Gianpiero Bocci, appoggiato da Fioroni, ha fatto infuriare Veltroni. Colpito da quello che i suoi uomini chiamano «un accoltellamento alle spalle» ai danni del suo candidato Mauro Agostini. In un capannello in aula, Walter Verini, braccio destro di Veltroni, accusava Fioroni di esser «maestro nel gioco delle tre carte» e tra una recriminazione e l’altra faceva pure notare che se Dario non era convinto della candidatura di Agostini poteva dirlo apertamente.
Non sorprende dunque che ieri mattina Franceschini non sia riuscito a convincere Veltroni della sua buona fede con l’argomento che non si poteva far altro che registrare come il 90% dei 103 delegati umbri del «correntone» considerasse Bocci più competitivo di Agostini. «Perché allora - domandava Verini - sotto la candidatura di Bocci ci sono solo 53 firme?» E’ evidente che se la minoranza si spacca Bersani se la ride sotto i baffi, convinto com’è che anche se nel Pd si litiga «poi tutti rimangono in movimento, partecipano alla battaglia, mentre il disastro è quando tutti stanno fermi». Insomma, questi scontri sulle candidature per il segretario sono un segno di vitalità e non di caos, come qualcuno dice. E se in Calabria non si sa come finirà, con il governatore Loiero pronto alle barricate pur di non farsi da parte e in Campania la candidatura di De Luca è osteggiata da Bassolino e Di Pietro, Bersani non si scompone. «De Luca è un candidato forte deciso all’unanimità dall’assemblea del Pd campano. E’ indagato? Sì, ma per aver difeso il posto di 300 cassaintegrati e dunque gli interessi dei lavoratori».
Carlo Bertini