
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Oggi a Torino depone Gaspare Spatuzza e il mondo sta con il fiato sospeso.
• Il mondo?
Sì, il mondo. I giornalisti accreditati fino a questo momento sono 200 e vengono da ogni angolo del pianeta. Il processo comincia stamattina alle nove e mezza, nell’aula uno, quella del processo Thyssen. Ci saranno le telecamere della Bbc, un inviato del Wall Street Journal , tutte le testate italiane e decine di giornali stranieri: quotidiani francesi, olandesi, spagnoli, tedeschi. L’aula contiene al massimo 250 persone, ma siccome bisognerà ospitare anche il pubblico e le richieste da parte della stampa crescono di ora in ora è probabile che si finisca per invadere l’aula 2, molto grande e dotata di maxischermo. La testimonianza di Spatuzza è stata richiesta dai magistrati che accusano Marcello Dell’Utri di concorso esterno in associazione mafiosa, un reato per il quale il senatore è stato già condannato in primo grado a nove anni. Pensi che, per ragioni di sicurezza, sarà in qualche modo blindata anche la zona che circonda il tribunale, con la chiusura al traffico del controviale di via Cavalli.
• Ma che deve dire, alla fine, questo Spatuzza?
Ci si aspetta che ripeta la testimonianza resa lo scorso 16 giugno: «Graviano [Giuseppe Graviano, boss mafioso] usò con entusiasmo la frase “Abbiamo il Paese in mano”. Circa i nomi con i quali l’accordo [tra Stato e mafia] si era chiuso fece esplicitamente il nome di Berlusconi». A questo punto – poiché si suppone che arricchirà di dettagli riscontrabili questa affermazione – il governo potrebbe cadere, il patrimonio del Cavaliere essere confiscato, il popolo chiamato alle urne, la guerra civile… In definitiva sono venuti da tutto il mondo proprio per questo, per assistere alla Grande Caduta. Devo dirle subito che a Roma non ci crede nessuno. Spatuzza sarà abbastanza generico perché si possa arguirne tutto e il contrario di tutto. Gli amici stranieri non hanno ancora capito come funziona il nostro Paese. Naturalmente, mi posso sbagliare.
• Spatuzza è un mafioso?
Un soldato, un killer. Agli ordini appunto di questo Graviano, che lui ha sempre chiamato Madrenatura. Ricevendone in cambio il nomignolo di U’ tignusu , il pelato. in effetti parecchio stempiato. I magistrati lo hanno tra le mani dal 9 luglio 2008. A quell’epoca diceva che i Graviano di nomi politici non gliene avevano fatti. Verbale del 17 luglio: «Come ho già detto la volta scorsa Graviano non esternò chi fosse il politico con il quale aveva questo accordo di tipo politico, anche perché i Graviano furono arrestati e tutto finì lì», concetto ripetuto poi per un anno intero. Adesso, a chi gli chiede come mai fino al 16 giugno di quest’anno abbia negato di sapere, risponde: «Non ho riferito subito di queste cose riguardanti Berlusconi perché intendevo prima di tutto che venisse riconosciuta la mia attendibilità su altri argomenti, ma anche per ovvie ragioni inerenti la mia sicurezza». In realtà non tutti i magistrati ne hanno riconosciuto l’attendibilità. Le procure siciliane (il processo torinese di oggi è in realtà un dibattimento palermitano trasferito a Torino per sicurezza) non hanno mai chiesto per lui il programma di protezione. La procura di Firenze ha chiesto il programma di protezione ma ha fatto passare i 180 giorni della norma senza far pervenire i verbali alla apposita commissione che deve decidere. Burocrazie, ma cariche di significato.
• Bisogna credergli oppure no?
Un altro killer, Giuseppe Ciaramitaro, ha raccontato al pubblico ministero Alfonso Sabella che un giorno lui e Spatuzza ammazzarono un ladro e dopo gli era venuta fame, andarono perciò a comprare i panini e poi Spatuzza cu ”na manu manciava e cu l’avutra arriminava , cioè con l’altra mano roteava il mestolo nell’acido in cui si stavano sciogliendo le tibie e i femori dell’ucciso. Questo non significa che non si possa credergli. Adesso Spatuzza studia teologia e ha già dato sei esami. Ha ammazzato Gaetano Buscemi, Giuseppe e Salvatore Di Peri, Giovanni Spataro, Domingo Buscetta, Marcello Grado. E, con Salvatore Grigoli, don Pino Puglisi, il prete di Brancaccio.
• Allora non bisogna credergli.
Non si può sapere. Ci vorrebbero i riscontri su quello che dice. Un anno fa, al direttore del carcere dell’Aquila, ha scritto: «Solo attraverso il professionale e rassicurante rapporto avuto con i vari organi dello Stato ho potuto compiere il passo della collaborazione. Ma tutto questo è legato sempre a quell’essere cristiano in cui mi riconosco oggi. Così desidero anche riappacificarmi con la mia Chiesa». Gli inviati stranieri avranno materia per scrivere bellissimi articoli. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/12/2009]
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