Sara Ricotta Voza, la Stampa 4/12/2009, 4 dicembre 2009
IL GENTILUOMO DELLO STILETTO
Ieri pomeriggio a Vigevano si sarebbe potuta girare una puntata di culto di «Sex & the City». Il dio delle piccole cose (costose) del Fashion si trovava nel suo paradiso in terra: il Museo della Scarpa.
Manolo Blahnik era lì, a inaugurare due nuove sale, in tutto il suo divino splendore: in trono nero, lo shoe designer più famoso al mondo parlava beato fra le scarpe che hanno fatto la storia. Davanti aveva le zeppe d’antan di Beatrice d’Este (primavera/estate 1495), di lato le «babouches» dei pontefici, da quelle bianche e consumatissime di Giovanni XXIII a quelle seminuove e scarlatte del papa attuale. E naturalmente, poco più in là, c’era pure una teca dedicata ai «Manolos» più sacri, gli stiletti di fronte ai quali ogni ginocchio alla moda si piega in adorazione.
Anche ieri, nonostante l’incontro fosse per addette ai lavori, si sono viste scene degne della feticista Carrie Bradshaw: una ragazza si è fatta disegnare una scarpa, un’altra si è portata da casa un sandalo estivo (Manolo, naturalmente) per farsi firmare la suola.
Il personaggio è un’icona mondiale della moda, ma a vederlo e sentirlo è tutt’altro che «fashion»: in cappotto blu con la martingala, papillon e calze a strisce grigie con tallone giallo è piuttosto un dandy d’altri tempi, un signore all’antica di buone maniere e ottimo spirito, così gentile da parlare l’italiano.
Leggenda vuole che sia cresciuto in una piantagione di banane alle Canarie, ma fa differenza dire poi che il bananeto era della sua famiglia, upperclass e cosmopolita: madre spagnola (da cui il nome Manolo) e padre ceco (da cui lo strano Blahnik). Segue formazione internazionale: studi di letteratura a Ginevra, d’arte a Parigi, esordi professionali a Londra da scenografo.
Il successo arriva presto e siccome è una storia di scarpe, è anche una storia di donne. Donne che ha raccontato lui partendo dalla prima, la mamma Manuela per cui ha una venerazione manifesta: «Mi portava a Madrid al Museo del Prado e mi faceva sempre notare piedi e scarpe nei quadri», racconta, «Ora non c’è più ma io la penso sempre e in ogni cosa che faccio cerco di essere all’altezza». La seconda è Diana Vreeland, direttore di «Vogue Usa» che nel ”71 vede i bozzetti del Manolo scenografo e gli dà un consiglio: «Ragazzo mio, mi dice, le tue scenografie sono originali e divertenti, ma la cosa che fai meglio sono le scarpe».
Consiglio accettato, e nel ”72 arriva la prima collezione per lo stilista-mito Ossie Clark: «Gli feci scarpe tacco 18, le sue povere modelle camminavano insicure ma sexy. Un insuccesso di successo». Fu così che venne la prima volta a Vigevano e cominciò a fidarsi degli artigiani del posto: «Prima Ottorino Bossi, poi altri e oggi lavoro con Salvatore, Stefano e Carlo: gli porto i miei schizzi e loro interpretano. Facciamo 300 scarpe: 100 vanno in collezione, le altre si buttan via».
Ma torniamo alle donne: dopo la mamma e Diana Vreeland, nella «success story» di Manolo c’è la sorella Evangelina, che l’ha seguito dall’inizio e ora ha passato il testimone alla figlia Kristina, un’architetta altissima che ieri sugli stiletti dello zio correva da una sala all’altra per proteggerlo dalle fan e portargli il pranzo, un cabaret di cannoncini di Marchesi, celebre pasticciere milanese di cui «zio Manolo va matto».
Altre donne? Le sue fan. Compresa la Carrie Bradshaw di «Sex & the City» che lo ha reso famoso al grande pubblico. Quanto alle fan in carne e ossa, si potrebbe fare una storia di Manolo attraverso quel che han detto di lui donne famose. Basti la sentenza di Madonna: «Le sue scarpe sono buone come il sesso, ma durano di più».
Lui però non ama le «celebrities», è un dandy d’altri tempi che dice cose démodé del tipo: «Ho nostalgia del coordinato scarpa-borsa, le zeppe sono orrende, non si possono comprare vestiti e scarpe online».
E a chi gli chiede dei colleghi, visto che «Sex & the City» ha cambiato stilista di riferimento (ora è Louboutin, quello delle suole rosso lacca): da persona beneducata, se non può parlarne bene, non ne parla.