Marcello Sorgi, La Stampa 4/12/2009, 4 dicembre 2009
Adesso tutti diranno che in Sicilia è partito qualcosa di nuovo, forse il dopo Berlusconi, o la Terza Repubblica oppure, indietro nel futuro, l’eterno ritorno del milazzismo, la formula politica che portò nel ”59 al governo un’alleanza di tutti contro la Dc
Adesso tutti diranno che in Sicilia è partito qualcosa di nuovo, forse il dopo Berlusconi, o la Terza Repubblica oppure, indietro nel futuro, l’eterno ritorno del milazzismo, la formula politica che portò nel ”59 al governo un’alleanza di tutti contro la Dc. Da quando, tre giorni fa, il governatore siciliano Lombardo s’è presentato in aula a Palazzo dei Normanni dichiarando aperta la sua seconda crisi di governo in diciotto mesi, tutti gli occhi sono puntati sull’isola. In attesa, o di una nuova eresia, o di un altro esperimento, come quelli che sono sempre partiti da Palermo per arrivare a Roma. Pur essendo stato eletto nel 2008 con oltre il 65 per cento dei voti, infatti, Lombardo non è mai riuscito a governare tranquillamente. Un po’ l’eterna rivalità tra Palermo e Catania (il governatore proviene dalla città dell’Etna). Un po’ i dispetti dell’ex governatore, ed ex alleato di Lombardo, Totò Cuffaro, azzoppato alla vigilia delle elezioni e dell’ambita riconferma, dalla sentenza di un processo di mafia che lo ha visto condannato per favoreggiamento. Ma soprattutto, sul cammino di Lombardo, pesavano i contrasti interni del Pdl, una versione a suo modo speciale del neonato partito del premier. Lontani ormai i tempi in cui, nel 2001, il centrodestra isolano si aggiudicava tutti i collegi elettorali, l’unione dell’ex Forza Italia, dell’ex An e dell’Udc cuffariana, controlla ancora largamente la gran parte degli elettori siciliani. Finché sono rimasti insieme, per l’opposizione, che anch’essa ha i suoi problemi, non c’è stato match. I guai sono cominciati quando Lombardo, mettendo insieme un partito personale più o meno dei dieci per cento, s’è seduto a capotavola e ha cominciato a dare le carte. Il primo governo del nuovo governatore - che ha un carattere molto originale e un passato da psichiatra che considera particolarmente adatto al trattamento della follia politica siciliana -, è durato sì e no un anno. Ma le fibrillazioni si sono sentite quasi subito, quando Lombardo ha deciso di mettere mano al comparto della Sanità, da sempre feudo del suo predecessore. Discussioni, scambi di avvertimenti con interviste, poi d’improvviso una spaccatura profonda, all’interno del Pdl, tra il sottosegretario Gianfranco Micciche schierato con il governatore, da un lato, e il ministro di Giustizia Angelino Alfano e il presidente del Senato Renato Schifani dall’altro. A un certo punto, Miccichè, che è da sempre il più sulfureo degli amici di Berlusconi nell’isola, ed ha con il Cavaliere una confidenza personale molto invidiata, annuncia che sta per costituire un nuovo partito del Sud. E’ la crisi. I due tronconi del Pdl si confrontano alle elezioni europee. I seguaci di Miccichè fanno la campagna elettorale da appestati, con una minaccia di radiazione dal partito che pende sulle loro teste. Perdono le europee, ma il loro candidato più esposto, il giovane assessore Michele Cimino, prende da solo 125.000 preferenze. Alla resa dei conti, Miccichè e Lombardo sfidano il Pdl e formano un governo senza l’Udc (stretto alleato di Alfano e Schifani), con il via libera, non si sa come, di Berlusconi. Siamo al classico caso del «governo amico», come succedeva, ai tempi della Prima Repubblica, tra la Dc e gli esecutivi che nascevano a dispetto dei capicorrente di Piazza del Gesù. Formalmente, il Lombardo-bis ha l’appoggio del Pdl (che in realtà, con Alfano e Schifani, per metà sta all’opposizione). Il nuovo coordinatore siciliano del partito, Castiglione, sta con Alfano e Schifani, dichiara di non riconoscersi nella nuova formula, e invoca il ritorno all’alleanza con Cuffaro. Quanto a Miccichè, che ha dovuto rinunciare, per espressa richiesta del Cavaliere, a fondare il suo nuovo partito, risulta essere il vero perno della nuova alleanza e l’alleato strategico di Lombardo. La distribuzione degli assessorati conferma il nuovo equilibrio. Mentre a destra e a sinistra di Lombardo siedono Cimino e Titti Bufardeci, cioè i due amici più stretti del sottosegretario, Alfano e Schifani partecipano alla nuova giunta con emissari di secondo piano. Ma la novità vera del nuovo governo regionale sta nei due tecnici, voluti direttamente dal governatore, e in realtà graditi al Pd e alla nuova Confindustria siciliana versione antimafia del presidente Ivan Lo Bello. I due sono Caterina Chinnici, assessore alla Famiglia, magistrata e figlia del giudice Rocco Chinnici, ucciso con un’autobomba all’inizio della stagione stragista di Cosa Nostra. E Marco Venturi, un imprenditore vicino a Lo Bello. Non è cambiata solo la cornice, è cambiato il quadro. Ed è chiaro che, per il gruppo di comando del Pdl siciliano, il Lombardo-bis rischia di rappresentare un’incognita carica di insidie, vista la volontà, dichiarata, del governatore, di procedere a una completa rivoluzione del potere locale. Già alle prime votazioni all’Assemblea regionale e in commissione, è evidente che la maggioranza non marcia. Miccichè – e siamo ormai a un mese fa – sceglie di distinguersi e forma un gruppo parlamentare a parte, il Pdl – Sicilia, con i suoi quindici fedelissimi deputati. La scissione nel Pdl fa crescere la tensione. Finché – ma è una morte annunciata da giorni – nella votazione sul Dpef della Regione, il governo, malgrado l’aiuto sottobanco di qualche deputato Pd che esce dall’aula, va sotto con 37 voti contro 30. Ma mentre tutti si aspettano le dimissioni di Lombardo, il governatore, per nulla turbato, si presenta in aula, chiede al Pdl se ha ancora intenzione di sostenere il suo governo, e subito dopo, inaspettatamente, apre la sua maggioranza a tutti quelli che ci stanno. La svolta, imprevista, non si sa dove potrà portare. Insieme, Lombardo e Miccichè i numeri per governare non ce li hanno. Per quanto possano sperare in un aiuto del Pd, il partito di Bersani non è in grado di esporsi fino ad abbandonare la sua (finta, in molti casi) opposizione, per sostenere il governo regionale. Alfano, Schifani e il coordinatore regionale Castiglione, d’altra parte, non hanno alcuna voglia di finire all’opposizione, ma non possono fare un governo alternativo con Cuffaro, perché anche a loro mancano i numeri e perché Lombardo è stato eletto direttamente dal popolo. E’ un bel rebus. Ma come sempre, nella politica siciliana, la realtà ha molte facce. C’è chi dice che per capire quale sarà lo sbocco bisogna guardare a Termini Imerese. Nel paese in subbuglio, dopo l’annuncio della Fiat di voler interrompere nel proprio stabilimento la produzione di automobili, governa infatti da qualche mese una giunta anomala, guidata dall’ex Ds Burrafato, che ha come vicesindaco lo stesso Miccichè, e ha vinto le elezioni comunali, contro l’alleanza ufficiale di centrodestra, grazie all’appoggio di una lista civica del Pd. A sentire i bene informati (in Sicilia vige il detto che «la meglio parola è quella che non si dice») dovrebbe essere questo inedito partito trasversale, questa specie di laboratorio nel laboratorio, a fare da esempio e ad aprire la strada alla soluzione della crisi. Lombardo e Miccichè, in altre parole, non puntano a un irrealizzabile accordo con tutto il Pd. Ma si aspettano, di qui a poco, che anche nel centrosinistra siciliano - attualmente spaccato in tre tronconi e uscito segnato da fortissime divisioni -, succeda quel che è accaduto nel centrodestra. Se accanto al partito del governatore e al Pdl-Sicilia che fa capo al sottosegretario, spunta un altro gruppetto di «rinnovatori» del centrosinistra, il gioco è fatto. Non sarà il milazzismo. Ma vedi quante ne pensano, questi siciliani. Stampa Articolo