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 2009  dicembre 04 Venerdì calendario

Mi rammarico che anche lei avvalori la tesi del «tradimento» dell’Italia nei confronti dell’alleato tedesco

Mi rammarico che anche lei avvalori la tesi del «tradimento» dell’Italia nei confronti dell’alleato tedesco. In un libro ormai introvabile («Il tradimento tedesco») Erich Kuby ha ampiamente dimostrato la fallacia di tale tesi, la quale non fa che corroborare la vulgata degli italiani imbelli e traditori. Mi permetto di ricordarle che la Romania, non appena fu invasa dall’Armata rossa, non si limitò ad arrendersi ma dichiarò immediatamente guerra alla Germania; altrettanto fece la Bulgaria e ancor peggio fece la Finlandia: chiese e ottenne rinforzi tedeschi per respingere l’ultimo attacco sovietico promettendo solennemente all’alleato di combattere fino alla fine; dopodiché, fermati i russi, concluse una pace separata ed espulse con la forza le truppe tedesche. In realtà il re e Badoglio avrebbero dovuto fare altrettanto: le truppe italiane, per quanto fiaccate, se avessero ricevuto ordini precisi sarebbero probabilmente state in grado, appoggiando gli Alleati, di impedire l’occupazione nazista e la successiva guerra civile. Se tradimento vi fu, fu quello consumato dal governo e dai Savoia nei confronti del popolo italiano e della Nazione. Antonio Torcoli antoniotorcoli@yahoo.fr Caro Torcoli, L’8 settembre può essere giudicato in modo di­verso a seconda dei punti di vista e dei criteri di va­lutazione. Sul piano politico non è possibile ignorare che l’Italia aveva un evidente inte­resse a separare le proprie re­sponsabilità, per quanto possi­bile, da quelle della Germania. Nell’agosto del 1943, quando gli emissari di Badoglio comincia­rono a negoziare con gli Alleati la firma di un armistizio, la guer­ra, per le potenze dell’Asse, era già perduta; e il caparbio accani­mento di Hitler non avrebbe avuto altro effetto fuor che quel­lo di rendere ancora più duro il trattamento che gli Alleati avrebbero riservato agli sconfit­ti. Erich Kuby fu un brillante giornalista tedesco, non uno storico. Ma le sue tesi sono con­divise dalla migliore storiogra­fia tedesca degli ultimi decenni. Sono numerosi ormai gli storici che comprendono la necessità politica della decisione italiana. Non si può condannare il nazi­smo e la sua insensata strategia, senza provare comprensione per coloro che cercarono, sia pu­re tardivamente, di stracciare il patto sottoscritto da Mussolini. Ma accanto a questi giudizi ne esistono altri di cui sarebbe sbagliato non tenere conto. Pen­si ai militari della Wehrmacht, improvvisamente abbandonati e potenzialmente minacciati da uomini che erano stati sino a quel momento i loro principali alleati. Pensi a un ufficiale tede­sco in Jugoslavia che deve bat­tersi contro i partigiani e ap­prende improvvisamente che gli italiani, con cui aveva opera­to sino a quel momento più o meno cordialmente, hanno cambiato campo. E non dimen­tichi i diplomatici a cui il mini­stro degli Esteri del governo Ba­doglio, Raffaele Guariglia, ri­peté, sino alla vigilia dell’8 set­tembre, che l’Italia avrebbe con­tinuato a combattere a fianco della Germania. davvero sor­prendente che si sentissero «traditi»? Sono pronto a essere, sul piano politico, l’avvocato di­fensore del mio Paese. Ma com­metterei un errore se non mi rendessi conto dei sentimenti di ostilità che l’armistizio pro­vocò nell’uomo qualunque del­la Germania, al fronte e in pa­tria. Non capirei ad esempio le ragioni per cui l’Italia appare an­cora a molti europei poco affi­dabile.