Raffaello Masci, La Stampa 4/12/2009, 4 dicembre 2009
RAFFAELLO MASCI
ROMA
Ma quanti sono gli immigrati nei Paesi occidentali? Una quantità enorme: almeno il 24 per cento della popolazione nei Paesi europei, il 35 per cento negli Usa e addirittura il 37 per cento in Canada. Eccolo il fondamento su cui poggiano tutte le paure per gli stranieri: sono troppi. Questi dati, beninteso, sono falsi, ma sono quelli che le rispettive popolazioni di qua e di là dell’Atlantico pensano che siano, secondo il rapporto «Trasatlantic Trends: immigration 2009» realizzato dal German Marshall Fund e dalla Compagnia di San Paolo, e presentato ieri a Roma nella sede dell’Istituto Affari Internazionali. Nella realtà, tanto per dire, negli Usa gli immigrati sono il 13% della popolazione, nell’affollato Canada il 20% e in Europa superano il 13% solo in Germania (13,4%). In Italia sono «appena» il 6,5%, ma la cosiddetta gente, cioè l’opinione pubblica, ha una percezione talmente enfatizzata dal fenomeno che crede che siano il quadruplo.
I timori
Da questo errore fondamentale derivano tutte le perplessità e le paure, di frequente alimentate anche dalla politica che punta a tradurre le fobie in consenso elettorale. E’ talmente vero tutto questo, che l’approccio nei confronti dell’immigrazione è diametralmente opposto tra destra e sinistra. L’immigrazione più che una risorsa è un problema, in Europa, per il 35% di chi è di sinistra ma per il 65% di chi è di destra. Negli Usa il rapporto è analogo: il 48% per i democratici e il 73% per i repubblicani.
Gli immigrati non fanno paura tanto per la loro concorrenza economica, tant’è che solo il 31% degli europei e il 42% degli americani ritiene che portino via lavoro agli «autoctoni». Di loro preoccupa, semmai, l’incapacità - vera o percepita che sia - di integrarsi, di accettare un sistema di regole condivise e, soprattutto, di aderire ad una visione culturale di tipo occidentale. La questione - secondo il Rapporto - è fondamentale: gli intervistati, infatti, sono favorevoli all’ingresso di immigrati regolari a patto che si diano due condizioni «sine qua non»: prima, che abbiano possibilità serie di trovare lavoro e, seconda, che abbiano buone possibilità di integrarsi con la cultura e il sistema di valori del paese ospite. Se c’è solo una di queste condizioni - rileva la ricerca - il rifiuto alla regolarizzazione è netto. Non è difficile, in questo, leggere le diffidenze, fondate o meno, verso alcune istanze della cultura islamica in materia di laicità, di uguaglianza dei sessi e degli orientamenti sessuali, di libertà di pensiero, eccetera.
Tant’è, per esempio, che l’immigrato «regolare», per il fatto stesso di aderire formalmente alle norme che governano il paese ospite, è percepito come «migliore» - perfino moralmente e professionalmente - rispetto al «clandestino». Salvo poi, ancora una volta, fare confusione con i numeri, per cui gli italiani ritengono che la percentuale di clandestini sia del 66% sul totale, come dire «sono buoni i regolari ma peccato che siano una minoranza». I clandestini, per contro, sono pericolosi per definizione almeno nel 50% dei casi (Canada) ma si può arrivare anche all’81% (Italia).
L’integrazione
Proprio per questo, comunque, si preferisce una immigrazione «permanente» piuttosto che temporanea, in quanto foriera di maggiore integrazione: in Italia questo valore è del 71% ed è il maggiore di tutto l’Occidente, la media Ue è del 54% e quella americana (Usa e Canada) supera il 40%. Allora tanto vale regolarizzare anche i clandestini? Niente affatto: in generale il consenso verso la regolarizzazione è in caduta ovunque, ma raccoglie qualche adesione solo in quei paesi che di regolarizzazioni non ne hanno avute nessuna (Germania, 52%) o ne hanno avuta l’ultima oltre venti anni fa (Francia 55%). Chi, invece, conosce sanatorie periodiche è molto scettico: solo il 36% degli italiani vorrebbe un inquadramento formale dei clandestini.
Tuttavia, dice il Rapporto, «In tutti i paesi la maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole a garantire le prestazioni sociali e il diritto alla partecipazione politica agli immigrati regolari, sebbene nel caso delle elezioni locali solo in Francia (65%), Italia (53%) e Spagna (53%) si rilevi una posizione chiaramente favorevole». L’istanza Fini, dunque, per una cittadinanza dopo un tot numero di anni, da noi sarebbe vincente.
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