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 2009  dicembre 04 Venerdì calendario

TOKYO – Certe cose, nella vita delle persone, cambiano. Anche nel caso di Imelda Marcos. A lu­glio, quando Cory Aquino agoniz­zava divorata dal cancro, Imelda pregava commossa

TOKYO – Certe cose, nella vita delle persone, cambiano. Anche nel caso di Imelda Marcos. A lu­glio, quando Cory Aquino agoniz­zava divorata dal cancro, Imelda pregava commossa. In qualche modo si era riconciliata con la don­na che nel 1986 aveva avuto la me­glio sul marito Ferdinando Mar­cos, trasformandolo da dittatore in ex dittatore. In esule. Certe co­se, invece, non cambiano. Vedi la politica. Che poi, nelle Filippine, è calore delle folle, il legame con i feudi tramandati di generazione in generazione, i clan ramificati, i patti di sangue, i patrimoni da di­fendere e perpetuare. E a Imelda Marcos quella politica continua a piacere. Costi quel che costi, an­che far finta che l’età non sia una cosa seria. Ottant’anni, ma marte­dì ha presentato la sua candidatu­ra per il Parla­mento nelle prossime elezio­ni. A maggio le Fi­lippine voteran­no per tutto, dai capi villaggio su su fino alla presi­denza della Re­pubblica. Gloria Macapagal Arroyo lascerà, non rimpianta, la prima carica dello Stato e, caso senza precedenti, cor­rerà per un seggio alla Camera bas­sa. Imelda alla presidenza non pen­sa più: ci ha già provato una volta e le è andata male. Si accontenta di un seggio, e tutto perché c’è da presidiare il collegio di famiglia, quello dove i Marcos hanno sem­pre comandato, Ilocos Norte. Il fi­glio Ferdinando detto Bong Bong punta più in alto e dà l’assalto al Senato, convinto che «il cognome che porto è una risorsa in più e il mio orgoglio, non certo un ostaco­lo ». Corre anche la figlia Imee, per rimpiazzare un cugino che era go­vernatore. A Ilocos Norte, natural­mente. Come mamma. La dittatura di Ferdinando Mar­cos era una di quelle che presidia­vano il Sudest asiatico negli anni in cui il domino comunista – Cambogia, Vietnam, Laos, e dietro c’era la Cina – atterriva l’America e l’Occidente. I ribelli marxisti infe­stavano la giungla filippina (ci so­no ancora, pochi ma motivati) pe­rò abusi, violenze e delitti non so­no bastati a tenerlo ancorato al po­tere, neppure l’assassinio di Beni­gno Aquino nel 1983. Nel 1986 Marcos fu costretto all’esilio e mo­rì a Honolulu nell’89. Cory Aquino presidente. Imelda ha interpretato la tirannia in modo meno sangui­nario: massacratrice sì, ma del sen­so della misura. E poi migliaia di scarpe, un oltraggioso amore per lo sfarzo, il richiamo per il flirt po­pulista con la sue gente. Dunque Imelda, parte seconda, il ritorno. Rientrata in patria con i quattro figli nel ”91, era già stata in Parlamento dal ”95 al ”98. Nel frattempo è riuscita a difendersi con successo da una gragnola di cause, più o meno 900, per il dena­ro sottratto, i maneggi e la corru­zione degli anni del potere assolu­to. Alla fine le è sempre andata be­ne, addirittura in giugno un tribu­nale locale ha dato torto al gover­no che le aveva fatto confiscare i gioielli e ha sentenziato che quel capitale, 310 milioni di dollari, le dovesse essere restituito. I 10 mila e passa filippini che avrebbero avuto titolo a un indennizzo per gli abusi subiti regnante Marcos, invece, non hanno visto un cente­simo. Il voto nelle Filippine è una co­sa seria, fin troppo, i 57 morti nel­la «strage preelettorale» del mese scorso lo rammentano. Ma intor­no alla vedova ecco una ragnatela di candidati dai curricula variega­ti. Alla presidenza uno di loro è il timido Benigno «Nonoy» Aquino, figlio dei due riveriti eroi della de­mocrazia filippina, mentre è im­probabile che riesca a rimanere in piedi la candidatura dell’ex capo di Stato, già condannato per corru­zione, Joseph Estrada. Un altro che ci riprova, in Parlamento, è Man­ny Pacquiao. Più che un pugile, con la forza di tutti e sette i titoli vinti in sette diverse categorie di peso, Manny è un concentrato di orgoglio nazionale, di passione in­terclassista. C’è poi la consueta co­orte di attori e attrici, perché un seggio è meglio di un set, e l’idea­le è l’accoppiata fra l’uno e l’altro. Imelda o non Imelda, andare a vo­tare rischia di sembrare un po’ co­me andare al cinema. Marco Del Corona