
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’era di Pier Luigi Bersani è appena cominciata e nel Partito democratico c’è già la prima grana. Rutelli se ne va.
• È ufficiale?
No, ma la cosa è data per certa da tutti. Lo si capisce intanto dal libro che l’ex sindaco di Roma ha fatto uscire proprio alla vigilia delle primarie: La svolta. Lettera a un partito mai nato. Come si fa a restare in «un partito mai nato»? Ma in caso di dubbi, c’è la confessione di Rutelli a Bruno Vespa, contenuta nel saggio che il conduttore sta per mandare in libreria: Donne di cuori – Duemila anni di amore e potere da Cleopatra a Carla Bruni, da Giulio Cesare a Berlusconi. Rutelli dice che andrà via e si metterà con Casini: «Deve formarsi una forza nuova per favorire aggregazioni che nascano da questa crisi, un confronto tra moderati del centrodestra e democratico-riformisti del centrosinistra ». Secondo Rutelli il Pd «in questi due anni ha sprecato un patrimonio anziché costruirne uno nuovo. Avremmo dovuto cambiare terreno di gioco, allenatore, squadra, pallone, modulo tattico, perfino i tifosi. Dopo 15 anni era evidente che lo schema dell’Unione era finito. Bisognava cambiare tutto. E invece non è cambiato niente. Il Pd è senza ceti produttivi. Vota per noi soltanto il 13-14 per cento dei piccoli imprenditori. Ne votavano di più per il vecchio Partito comunista. Siamo senza operai, senza ceto popolare. Il discorso che Veltroni fece nel 2007 al Lingotto e una conduzione battagliera della campagna elettorale del 2008 hanno portato il Pd a conquistare un terzo dei voti».
• Avevo sentito che a queste primarie c’è stata un’affluenza enorme.
Non così «enorme». I dati di ieri sera alle 18 (lo spoglio, mentre scriviamo, non è ancora terminato) davano 2 milioni e 29 mila votanti nel 70% dei seggi scrutinati. Proiettati al cento per cento dei seggi fa due milioni e 800 mila elettori. Buono, ma non eccezionale. Prodi nel 2005 mise in movimento 4 milioni e 311 mila cittadini, Veltroni nel 2007 tre milioni e mezzo. E quelle erano elezioni finte, in cui si trattava semplicemente di abbellire col voto popolare una scelta fatta dal vertice. Stavolta era un voto vero, e dobbiamo supporre che il popolo democratico fosse spinto verso i gazebi da un po’ più di animus delle altre volte. Sul calo dei votanti, comunque, Bersani ha fatto finta di niente: «Una giornata incredibile per partecipazione e organizzazione».
• Che altro ha detto?
Discorsi abbastanza vaghi. «Un partito popolare dei tempi moderni, capace di usare tutte le cose nuove, ma senza dimenticare il radicamento nel territorio e senza dimenticare i soggetti a cui vogliamo rivolgerci: i lavoratori, le piccole imprese, le famiglie con i loro bisogni, le nuove generazioni». Arturo Parisi, il principale consigliere di Romano Prodi, ha subito attaccato questa genericità: «Non avendoci detto su quale linea cercava il consenso, Bersani ci dica finalmente dopo la vittoria su che linea ha vinto». Parisi ha anche criticato la sponsorizzazione di D’Alema. Ma Bersani gli ha in qualche modo risposto esaltando l’Ulivo, cioè, se capisco bene, una politica delle alleanze piuttosto indifferenziata, che in teoria potrebbe andare da Casini-Rutelli alla sinistra-sinistra. Alla maniera, appunto, del vecchio Prodi.
• Che tipo è questo nuovo segretario del Pd?
Cinquantotto anni compiuti da poco (il 29 settembre, lo stesso giorno di Berlusconi), nato vicino a Piacenza in un paese che si chiama Bettola. È laureato in Filosofia, è stato tra i fondatori di Avanguardia operaia, cioè ha cominciato da gruppettaro, per poi finire nel Pci, di cui divenne funzionario a Piacenza. Il padre aveva una pompa di benzina e la moglie è farmacista: lo dico perché Bersani è famoso per aver tentato, da ministro per lo Sviluppo economico nell’ultimo governo Prodi, tutta una serie di liberalizzazioni che colpivano proprio benzinai e farmacisti. Le famose «lenzuolate », che diedero fastidio anche a banche, notai, gestori telefonici e altri potenti lobbisti. Se si deve dire la verità, ci ha provato, ma quelli alla fine l’hanno avuta vinta, e senza aspettare il ritorno di Berlusconi. Altre virtù (o vizi): fuma il sigaro, tifa Juve, canta da baritono ed è un patito di musica. È un uomo molto simpatico, alle Iene che l’altra settimana intervistavano i tre candidati ha detto con sicurezza: «Di noi, il più simpatico sono sicuramente io».
• Ce lo vede come presidente del Consiglio?
Ma i democratici non hanno eletto un candidato alla presidenza del Consiglio e non credo che, quando sarà il momento, il Pd metterà in campo Bersani, troppo connotato a sinistra. Ma è presto per parlarne. Il nuovo segretario ha davanti a sé la prima montagna da scalare, le Regionali di marzo, dove tutti i pronostici lo danno seccamente perdente. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 27/10/2009]
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