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 2009  ottobre 27 Martedì calendario

A KABUL BALLOTTAGGIO A RISCHIO

scontro sulle nuove elezioni in Afghanistan. A scatenare la crisi che può mettere in forse il ballottaggio tra Hamid Karzai, il presidente uscente, e il rivale Abdullah Abdullah sono state le condizioni poste dallo sfidante e respinte dal governo. Abdullah ha chiesto la cacciata del responsabile della commissione elettorale del paese, Azizullah Ludin, e di duecento funzionari al suo servizio. Una cacciata per garantire che, questa volta, l’esito delle urne non venga manipolato. Ludin, ha incalzato ieri Abdullah, «non ha alcuna credibilità» e deve lasciare il posto entro fine mese.
Ma Karzai e Ludin hanno subito respinto la richiesta, che verrà presentata formalmente da Abdullah anche alle autorità Onu in Afghanistan. Il presidente uscente ha emesso un comunicato per annunciare che non ci sarà alcun licenziamento, né di Ludin né dei suoi collaboratori. E l’alto funzionario elettorale, da parte sua, ha aggiunto di non vedere ragioni «per le dimissioni » e di non credere neppure che «la costituzione consenta simili richieste».
Karzai ha anche continuato a difendere il voto del primo turnoelettorale da accuse di generalizzata truffa elettorale: ha parlato solo di «errori» ed «episodi di truffa», definendo le elezioni, che inizialmente gli avevano dato una maggioranza assoluta, «nell’insieme corrette». Un esame condotto dalle Nazioni Unite ha cancellato quasi un terzo dei voti ottenuti da Karzai citando «chiare e convincenti prove di truffa», spingendolo sotto la maggioranza del 50% necessaria per dichiarare vittoria.
Il ballottaggio, accettato dal presidente uscente su pressioni di Washington, è al momento fissato per il 7 novembre. Le ombre sull’esito dello scrutinio si sono però intensificate con l’avvicinarsi dell’appuntamento: l’ultima polemica si aggiunge alle minacce dei talebani. I ribelli islamici hanno invitato nei giorni scorsi al boicottaggio delle urne e affermato che cercheranno di ostacolare il nuovo voto.
Un fallimento del nuovo voto avrebbe conseguenze gravissime. Elezioni capaci di esprimere un governo legittimo rappresentano un elemento cruciale per consentire alla Casa Bianca di rilanciare la sua strategia in Afghanistan. Ieri l’alto prezzo imposto dalla missione è stato evidente: 14 tra militari e agenti di sicurezza statunitensi sono morti in due incidenti tra elicotteri. Nel primo due velivoli si sono scontrati dopo il decollo nel sud del paese. Il terzo elicottero è invece cadutoal termine di una battaglia nelle regioni occidentali, anche se il comando americano ha escluso che sia stato abbattuto da fuoco nemico. Il continuo aumento delle vittime e la crescente impopolarità della missione nell’opinione pubblica rischia di trasformarsi in un’aperta crisi politica per Barack Obama.
Il presidente ha ieri convocato a porte chiuse il sesto vertice tra i suoi più stretti collaboratori in politica estera e nella sicurezza nazionale per arrivare al più presto al varo del nuovo piano per Kabul. Tra i presenti il vicepresidente Joe Biden, il Segretario di Stato Hillary Clinton, il ministro della Difesa Robert Gates e il capo di staff della Casa Bianca Rahm Emanuel.
Stando a indiscrezioni riportate negli ultimi giorni dal Wall Street Journal, nella discussione avrebbe preso quota una tesi di compromesso tra i falchi, quali la Clinton, e le colombe, quali Biden.L’ipotesi di ridimensionare l’impegno a una pura azione anti-terrorismo, preferita da Biden, sarebbe ormai esclusa. Le dimensioni di un nuovo contingente da inviare nel paese sono tuttavia incerte: una possibilità sarebbe limitare l’incremento tra i diecimila e ventimila soldati, incaricandoli anzitutto di addestrare forze locali. Il senatore americano John Kerry, diventato nelle ultime settimane una delle voci più importanti sull’Afghanistan- dopo che il suo intervento ha portato Karzai ad accettare il ballottaggio - ha espresso ieri a Washington qualche dubbio sulla strategia del comandante Stanley McChrystal: «Sono convinto, in base ai miei colloqui con il generale, che lui capisca la necessità di condurre una controffensiva efficace in una limitata area geografica, ma ritengo che il piano in esame vada troppo veloce».