Marco Zatterin, La stampa 27/10/2009, 27 ottobre 2009
DOMANDE E RISPOSTE
Un presidente per Bruxelles-
Perché l’Unione europea vuole darsi un presidente?
Per attribuire maggiore continuità e prestigio alla sua azione. Ora la guida del Consiglio Ue, l’istituzione in cui siedono i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi, passa di mano ogni sei mesi. L’Unione cambia così faccia due volte l’anno e questo rende più difficile mantenere l’equilibro diplomatico e la rappresentanza a livello internazionale. Con il problema aggiuntivo che ci sono presidenze più efficaci di altre. Lo si è visto di recente: è andata bene con i francesi, ma è andata malissimo con i cechi.
Chi ha voluto il cambiamento?
Sono stati i governi europei con il Trattato di Lisbona, testo di riforma che dovrebbe consentire all’Unione di diventare meno pesante e più autorevole. Il testo introduce la figura del presidente del Consiglio Ue e stabilisce che debba restare in carica per due anni e mezzo. E’ stato approvato nella capitale portoghese nel dicembre 2007. Il leader a tempo pieno è una delle principali novità, oltre all’alto rappresentante per la Politica estera (Pesc) che è pure vicepresidente della Commissione, il braccio esecutivo dell’Ue.
Quali sono i suoi compiti?
E’ «colui che risponde al telefono quando Washington vuole parlare con l’Europa». In pratica, deve coordinare l’agenda delle presidenze semestrali, che comunque non verrebbero cancellate, e facilitare il dialogo fra i Ventisette. In tutti gli incontri e contatti internazionali deve essere la voce dell’Unione. Per questo occorre un profilo di alto spicco e il consenso più largo possibile fra gli Stati membri.
Chi sono i candidati?
Sinora l’unico nome fatto pubblicamente da un ampio numero di governi è stato quello di Tony Blair, laburista, premier britannico dal maggio 1997 al giugno 2007, attualmente inviato per la pace nel Medio Oriente su mandato di Onu, Ue, Usa e Russia. Prima dell’estate la sua candidatura era apertamente sostenuta da Francia e Germania. Adesso il consenso pare essersi esaurito.
Per quale motivo?
Ci sono due ragioni. Una è politica: il voto europeo ha rafforzato il centrodestra. Per questo la famiglia dei Popolari vuole conquistare la poltrona di maggior prestigio del continente. I socialisti hanno fatto sapere di puntare al «ministro degli Esteri», il quale - come vicepresidente della Commissione - consentirebbe di bilanciare gli equilibri politici a Bruxelles.
Qual è la ragione non politica?
Diversi governi lamentano che Tony Blair, al di là dei suoi proclami europeisti, non è riuscito in dieci anni a integrare come voleva il Regno Unito nell’Unione. A ciò si aggiunge che Londra non ha aderito né alla zona euro, né agli accordi di Schengen, il che ne fa uno Stato membro molto peculiare. Verrebbe considerato bizzarro che alla Casa Bianca a parlare di minidollaro andasse un politico di uno Stato fuori dalla moneta unica.
L’Italia appoggiava Blair?
Sino a metà ottobre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri Franco Frattini hanno espresso, pur con qualche distinguo, sostegno per l’ex inquilino di Downing Street.
Poi che cos’è capitato?
Proprio ieri il responsabile della Farnesina ha garbatamente preso le distanze da Blair: «E’ una persona che apprezziamo e che consideriamo un leader carismatico. Occorre però trovare un consenso, non si può votare 14 a 13 sul presidente. Vedremo quali proposte ci saranno». Posto che ormai è chiaro che il consenso globale non ci sarà, è un modo come un altro per sottolineare l’esigenza di cambiare cavallo. E di prenderne uno che corra coi colori nella famiglia popolare.
Chi potrebbe farcela?
Circolano i nomi di Jan Peter Balkenende, premier olandese; Jean-Claude Juncker, numero uno del governo lussemburghese, a lungo leader dell’Eurogruppo; Wolfgang Schüssel, ex cancelliere austriaco. I socialisti hanno parlato dell’ex presidentessa irlandese Mary Robinson (che non pare interessata) e dell’ex premier spagnolo Felipe González.
Quando si decide?
Non appena entrerà in vigore il Trattato di Lisbona, sul quale manca ancora la firma dell’euroscettico presidente ceco Vaclav Klaus. Se si sbloccherà l’impasse istituzionale, il nuovo superpresidente verrà nominato in dicembre dal Consiglio europeo ed entrerà nel suo ufficio il primo gennaio, con un anno di ritardo per il «no» a Lisbona scaturito dal referendum irlandese nel 2008. Insieme con lui comincerà a lavorare anche la nuova Commissione che i Ventisette devono ancora designare. Ma se Klaus non firmerà, potrebbero volerci mesi. Se non anni.