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 2009  ottobre 27 Martedì calendario

Matteo Ricci Ambasciatore della fede- Un viaggio nella vita del missionario che aprì gli occhi della Cina sul mondo Sulle mura circolari del­la sala d’onore del Mil­lennium Museum di Pechino, grande come una piazza, corre un fregio scolpito in marmi policromi che narra gli episodi salienti della storia cinese attraverso una sfilata di imperatori e mi­nistri, generali e dignitari, in­tellettuali ed eroi della Rivolu­zione

Matteo Ricci Ambasciatore della fede- Un viaggio nella vita del missionario che aprì gli occhi della Cina sul mondo Sulle mura circolari del­la sala d’onore del Mil­lennium Museum di Pechino, grande come una piazza, corre un fregio scolpito in marmi policromi che narra gli episodi salienti della storia cinese attraverso una sfilata di imperatori e mi­nistri, generali e dignitari, in­tellettuali ed eroi della Rivolu­zione. Tutti cinesi. Gli unici due stranieri ammessi a testi­moniare la gloria dell’Impero sono italiani: uno è Marco Po­lo, l’altro è il gesuita Matteo Ricci che, vestito da mandari­no confuciano, scruta i cieli dall’osservatorio astronomico della Città Proibita. La scena è raccontata da An­tonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e curatore, in­sieme a Giovanni Morello, del­la mostra «Ai crinali della sto­ria. Padre Matteo Ricci fra Ro­ma e Pechino», che sarà inau­gurata domani nel Braccio di Carlo Magno per celebrare i quattrocento anni dalla morte del missionario nato a Macera­ta il 6 ottobre del 1552 e mor­to l’11 maggio 1610 a Pechi­no, dove è sepolto nella Città Proibita. L’imperatore conces­se infatti un terreno per la sua tomba, onorata ancora oggi. Era la prima volta che in Cina accadeva una cosa del genere per uno straniero. Ma agli oc­chi dei cinesi i meriti del gesu­ita erano immensi. Anzitutto perché aveva scelto di diventa­re uno di loro, parlando e scri­vendo la lingua di quel Paese come nessun europeo aveva mai fatto e assimilandone le abitudini e i costumi in leale spirito di amicizia (fu ribattez­zato dai cinesi Li Madou e chiamato comunemente Xitai, maestro dell’estremo Occiden­te). E poi perché, studiando i loro libri, era riuscito ad entra­re totalmente nella cultura di «questo altro mondo». Infine perché, trasferendo ai cinesi i principali documenti della ci­viltà europea, «il dottor Li ha aperto gli occhi della Cina sul mondo», come scrive un lette­rato cinese dell’epoca. Ma l’operato di Ricci non ebbe altrettanta fortuna in Eu­ropa. Ai primi del ”700 la Chie­sa condannò il suo metodo missionario e il confratello Ni­colas Trigault si impossessò della sua opera traducendola in latino a proprio nome. Solo nel 1939 Pio XII lo ha riabilita­to ufficialmente, mentre Gio­vanni Paolo II lo ha additato più volte come esempio per l’evangelizzazione. Ora final­mente il Vaticano gli rende omaggio con questa grande mostra che dedica l’ultima par­te del percorso proprio all’ere­dità lasciata da Matteo Ricci ai missionari: una eredità chia­mata «inculturazione», cioè la volontà di comprendere e di recepire usi e tradizioni delle comunità indigene nell’opera di evangelizzazione. Appare qui il celebre ritratto del gesui­ta dipinto da Emanuele Yu Wen-Hui, detto Pereira, un suo convertito che aveva ap­preso a dipingere alla maniera occidentale. E con un altro ri­tratto, questa volta una statua in bronzo, riproduzione esat­ta di quella che campeggia da­vanti alla cattedrale cattolica di Pechino si apre la rassegna che ripercorre il lungo viaggio di Ricci da Macerata fino alla corte dei Ming. Si passa dalle statue lignee che, mosse da un meccani­smo, apparivano in successio­ne sulla torre dell’orologio del­la città marchigiana, ai ritratti dei papi (da Pio V a Paolo V) che accompagnarono la vita di Matteo Ricci. Si evoca l’an­no 1571, quando il giovane Ricci entra nella Compagnia di Gesù, il nuovo Ordine reli­gioso fondato da Ignazio da Loyola trent’anni prima e ri­cordato con due dipinti attri­buiti alla scuola di van Dyck e con il capolavoro di Rubens raffigurante un miracolo di Sant’Ignazio. Si segue il mis­sionario a Lisbona, dove si im­barca per raggiungere Goa, e si può vedere il galeone sul quale navigò per cinque mesi, rappresentato da un modello d’epoca. L’entrata a Macao nel 1582 è rievocata da una serie di strumenti scientifici che Ricci aveva imparato a cono­scere e a fabbricare durante gli studi al Collegio Romano. Fu infatti il suo interesse per la scienza ad aprirgli le porte della Città Proibita, dove giun­se nel 1601, con l’autorizzazio­ne scritta dell’imperatore Wanli e dove vivrà fino alla morte con il grado di mandari­no, sostenuto economicamen­te dal pubblico erario.