Brunella Bolloli e Fabiana Ferri, Libero 27/10/2009, 27 ottobre 2009
IN QUESTA STORIA C’ UN MORTO CHE PARLA
«Ho in mano mezza Roma, so delle cose che... non c’è mica solo Marrazzo tra i miei clienti». Gianguarino Cafasso, Rino per gli amici, è il pusher della ”vicenda Marrazzo”. Anzi era, perché Cafasso è morto a settembre per overdose e il suo corpo è stato trovato dai carabinieri in un albergo sulla Salaria. Deceduto, forse, per una partita di cocaina tagliata male (che Rino era solito aspirare da una bottiglia), dopo una notte passata con un trans. Cafasso, infatti, conosceva benissimo il mondo di sesso estremo e droga al centro del sexy scandalo che ha portato alla fine politica del presidente della Regione Lazio. Era così dentro a questa storiaccia che per i 4 carabinieri arrestati è stato lui a girare, a loro insaputa, il video il 2 luglio scorso e poi a chiamarli per cercare un aiuto per vendere il filmino e diventare ricco.
Cafasso aveva contattato anche noi di Libero, tramite il suo legale. L’appuntamento era a Corso Francia, il 15 luglio, dopo le 22. Arriviamo in quattro, con due macchine diverse. Non sappiamo quasi niente di quello che ci verrà mostrato, solo che ci potrebbe essere una «notizia forte, una bomba». Rino arriva su un’auto lunga, scura, sgangherata, è un ciccione con degli occhiaie da far paura e una benda in testa («ho fatto a botte con degli albanesi», mugugna). Vuole mostrarci una cosa, ma pone delle condizioni: una sola persona deve andare con lui. Noi siamo quattro: due donne e due uomini. «Almeno le ragazze devono stare insieme», è la richiesta. Rino sale in macchina, poi ritorna e dice ok. chiaro che si è consultato con qualcuno. Ma con chi?
Decidiamo comunque di andare con lui. Gli altri due aspettano nella piazzola di sosta. « qui vicino», Rino borbotta, ingrana la marcia e imbocca la Cassia, stranamente deserta. La macchina di Cafasso era un casino, attaccato al cambio un sacchetto di plastica bianco, la tentazione di scendere è tanta, ma lui comincia a parlare. «Io adesso vi faccio vedere una cosa, ma voi non dovete dire niente. Noi non ci conosciamo, io non voglio sapere i vostri nomi e voi non dovete sapere il mio». Poi, dopo dieci minuti di cammino, svolta improvvisamente sulla destra, scende e apre un cancello, forse con il telecomando. Imbocchiamo un vialetto strettissimo (ci passa solo una macchina) e arriviamo alle spalle di una palazzina bassa, isolata, con giardino davanti e dietro. Ghiaia per terra. «Siamo arrivati». Mentre scendiamo dalla macchina notiamo un uomo che si affaccia dal secondo piano. un attimo, ci vede e torna dentro. Cafasso apre una porta al piano terra e ci fa entrare. La stanza è in realtà un bilocale scarno e semibuio, con un divano, un tavolino sui cui è poggiato un computer acceso e due sedie. «Prima dovete togliervi tutto, orologi, telefonini, catenine e braccialetti, poggiate tutto di là» e ci indica la camera da letto, perfettamente in ordine, con gli asciugamani bianchi e stirati. evidente che si tratta di un pied à terre, un residence o comunque un alloggio in cui non abita nessuno. Un bilocale utilizzato per uno scopo preciso, in un posto molto, troppo tranquillo. Con una porta strana, apparentemente chiusa. Ci dà le cuffie, ne possiamo usare una a testa e fa partire il video. Quello che vediamo, ormai, è storia nota. Due minuti o poco più di pessima qualità e audio bassissimo. Ma c’è «quel pesce grosso», come lui chiama Marrazzo, con tutta quella cocaina accanto e il tesserino con il nome inquadrato con insistenza. Il trans sul letto. «Non si capisce niente, si può rivedere?». La risposta è no. Rino stacca tutto e spara la cifra: grossa, enorme, in contanti dentro una valigetta. Domani mattina alle 8 voglio la risposta». Ma come facciamo a essere sicuri che il video non sia un fotomontaggio? Ti rendi conto? Non si vede neanche bene. Cafasso, lo spacciatore amico dei trans, ma fedele alla sua Jennifer che ha tatuata sul braccio, punta gli occhi serio. «Fidate, so cosa dico. Quello str... lo conosco da anni. Qui in zona lo conoscono tutti perché sgancia tanto, però io incasso i soldi e poi vado via, ho già pronti i documenti per scappare, perché se sto qui mi fanno fuori, mi fanno». Ma chi ti fa fuori? «Ahò, ma io li posso rovinare, c’ho dei clienti tra i politici che se ve lo dico... C’è uno, uno grosso, che lo chiamano ”chiappe d’oro” per come je piace». Risaliamo in auto. Perché proprio Marrazzo? «Perché ha fatto una cosa che non doveva fare. Lui paga benissimo, botte da 8-9mila euro, ma poi ha cambiato giro». Ribadisce la cifra, senza sconti. Ma uno scoop non si paga e poi non sembrava neanche vero quello che abbiamo visto e sentito in una notte di luglio da un drogato di Roma nord. Che, guarda caso, a settembre viene trovato cadavere. Ma prima fa in tempo a dire al suo legale: «Un assegno da 50mila euro è nascosto sotto terra».