Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 27 Martedì calendario

L’era di Pier Luigi Bersani è appena cominciata e nel Partito democratico c’è già la prima grana

L’era di Pier Luigi Bersani è appena cominciata e nel Partito democratico c’è già la prima grana. Rutelli se ne va.

È ufficiale?
No, ma la cosa è data per certa da tutti. Lo si capisce intanto dal libro che l’ex sindaco di Ro­ma ha fatto uscire proprio alla vigilia delle primarie: La svolta. Lettera a un partito mai nato. Come si fa a restare in «un parti­to mai nato»? Ma in caso di dub­bi, c’è la confessione di Rutelli a Bruno Vespa, contenuta nel sag­gio che il conduttore sta per mandare in libreria: Donne di cuori – Duemila anni di amore e potere da Cleopatra a Carla Bru­ni, da Giulio Cesare a Berlusco­ni. Rutelli dice che andrà via e si metterà con Casini: «Deve for­marsi una forza nuova per favo­rire aggregazioni che nascano da questa crisi, un confronto tra moderati del centrodestra e democratico-riformisti del cen­trosinistra ». Secondo Rutelli il Pd «in questi due anni ha spre­cato un patrimonio anziché co­struirne uno nuovo. Avremmo dovuto cambiare terreno di gio­co, allenatore, squadra, pallo­ne, modulo tattico, perfino i ti­fosi. Dopo 15 anni era evidente che lo schema dell’Unione era finito. Bisognava cambiare tut­to. E invece non è cambiato niente. Il Pd è senza ceti produt­tivi. Vota per noi soltanto il 13-14 per cento dei piccoli im­prenditori. Ne votavano di più per il vecchio Partito comuni­sta. Siamo senza operai, senza ceto popolare. Il discorso che Veltroni fece nel 2007 al Lingot­to e una conduzione battaglie­ra della campagna elettorale del 2008 hanno portato il Pd a conquistare un terzo dei voti».

Avevo sentito che a queste pri­marie c’è stata un’affluenza enorme.
Non così «enorme». I dati di ieri sera alle 18 (lo spoglio, mentre scriviamo, non è ancora termi­nato) davano 2 milioni e 29 mi­la votanti nel 70% dei seggi scrutinati. Proiettati al cento per cento dei seggi fa due milio­ni e 800 mila elettori. Buono, ma non eccezionale. Prodi nel 2005 mise in movimento 4 mi­lioni e 311 mila cittadini, Veltro­ni nel 2007 tre milioni e mezzo. E quelle erano elezioni finte, in cui si trattava semplicemente di abbellire col voto popolare una scelta fatta dal vertice. Sta­volta era un voto vero, e dobbia­mo supporre che il popolo de­mocratico fosse spinto verso i gazebi da un po’ più di animus delle altre volte. Sul calo dei vo­tanti, comunque, Bersani ha fat­to finta di niente: «Una giorna­ta incredibile per partecipazio­ne e organizzazione».

Che altro ha detto?
Discorsi abbastanza vaghi. «Un partito popolare dei tempi mo­derni, capace di usare tutte le cose nuove, ma senza dimenti­care il radicamento nel territo­rio e senza dimenticare i sogget­ti a cui vogliamo rivolgerci: i la­voratori, le piccole imprese, le famiglie con i loro bisogni, le nuove generazioni». Arturo Pa­risi, il principale consigliere di Romano Prodi, ha subito attac­cato questa genericità: «Non avendoci detto su quale linea cercava il consenso, Bersani ci dica finalmente dopo la vittoria su che linea ha vinto». Parisi ha anche criticato la sponsorizza­zione di D’Alema. Ma Bersani gli ha in qualche modo risposto esaltando l’Ulivo, cioè, se capi­sco bene, una politica delle alle­anze piuttosto indifferenziata, che in teoria potrebbe andare da Casini-Rutelli alla sinistra-si­nistra. Alla maniera, appunto, del vecchio Prodi.

Che tipo è questo nuovo segre­tario del Pd?
Cinquantotto anni compiuti da poco (il 29 settembre, lo stesso giorno di Berlusconi), nato vici­no a Piacenza in un paese che si chiama Bettola. È laureato in Fi­losofia, è stato tra i fondatori di Avanguardia operaia, cioè ha cominciato da gruppettaro, per poi finire nel Pci, di cui divenne funzionario a Piacenza. Il pa­dre aveva una pompa di benzi­na e la moglie è farmacista: lo dico perché Bersani è famoso per aver tentato, da ministro per lo Sviluppo economico nel­l’ultimo governo Prodi, tutta una serie di liberalizzazioni che colpivano proprio benzinai e farmacisti. Le famose «lenzuo­late », che diedero fastidio an­che a banche, notai, gestori tele­fonici e altri potenti lobbisti. Se si deve dire la verità, ci ha pro­vato, ma quelli alla fine l’hanno avuta vinta, e senza aspettare il ritorno di Berlusconi. Altre vir­tù (o vizi): fuma il sigaro, tifa Juve, canta da baritono ed è un patito di musica. È un uomo molto simpatico, alle Iene che l’altra settimana intervistavano i tre candidati ha detto con sicu­rezza: «Di noi, il più simpatico sono sicuramente io».

Ce lo vede come presidente del Consiglio?
Ma i democratici non hanno eletto un candidato alla presi­denza del Consiglio e non cre­do che, quando sarà il momen­to, il Pd metterà in campo Ber­sani, troppo connotato a sini­stra. Ma è presto per parlarne. Il nuovo segretario ha davanti a sé la prima montagna da scala­re, le Regionali di marzo, dove tutti i pronostici lo danno secca­mente perdente. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 27/10/2009]