
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Anche col discorso di ieri sera alla Festa dell’Unità di Catania, Matteo Renzi (contestato da circa 500 persone, scontri con la polizia) ha confermato le sue ultime aperture sull’Italicum, la legge elettorale approvata l’anno scorso e in vigore dal 1° luglio. Il premier ha ricordato che anche D’Alema, una ventina d’anni fa voleva una sola Camera e un premier scelto dal popolo e ha scagliato dardi avvelenati sull’ex-segretario: «I leader del passato vogliono rubare il futuro». Però ha aggiunto che sull’Italicum «siamo pronti a discutere. C’è però bisogno che gli altri facciano proposte. Noi facciamo le nostre». Renzi combina così le eventuali modifiche all’Italicum con la sdrammatizzazione del referendum, non più una consultazione su sé stesso, con le dimissioni in caso di sconfitta, ma un normale pronunciamento del popolo, dopo il quale non cascherà in nessun caso il mondo. Le due manovre, nei suoi calcoli, dovrebbero rendere meno problematica la vittoria nel referendum sulle riforme costituzionali, e infatti l’opposizione interna del Pd vuole il cambio della legge elettorale, ma solo dopo il referendum.
• È un bel guazzabuglio.
Provo a spiegarmi meglio. Verso la fine di novembre o i primi di dicembre saremo chiamati ad approvare o a respingere la riforma costituzionale varata dal Parlamento. Il punto più significativo di questa riforma elettorale è la perdita d’importanza del Senato, i cui membri, oltre tutto, non saranno più eletti da noi, ma dai consiglieri regionali al loro interno. In questo referendum sulla riforma costituzionale non saremo chiamati a pronunciarci sull’Italicum, che non è una legge costituzionale. Ma molti di quelli che sono intenzionati a votare no al referendum hanno detto che cambierebbero idea, e voterebbero sì, se la legge elettorale fosse cambiata.
• Come mai?
Perché l’Italicum prevede il premio di maggioranza al partito e non alla coalizione, e nello stesso tempo, non fa entrare in Parlamento chi ha preso meno del 3% dei voti. Mettiamoci nei panni di uno come Alfano, che in questo momento sostiene il governo Renzi. Il suo piccolo partito avrebbe poche possibilità di superare lo sbarramento del 3%, se dovesse correre da solo. E come lui, i tanti partiti e partitini che si salvano solo se si coalizzano con uno abbastanza grosso da passare. Anche Berlusconi ha un problema simile: se potesse correre in coalizione con la Lega, Fratelli d’Italia e altre formazioni varie del centro-destra potrebbe addirittura arrivare al ballottaggio, irraggiungibile se corre da solo. Tutti questi hanno annunciato il loro no, a meno che non cambi la legge elettorale.
• I grillini?
I grillini, che pure avversarono ferocemente l’Italicum, adesso non vogliono cambiamenti e gridano al colpo di Stato. Se la legge resta così com’è, e nessuno prende almeno il 40%, i primi due partiti vanno al ballottaggio, e tutti i sondaggi, nonostante Roma, dicono che Grillo vincerebbe. Anche per questo tornano di moda le coalizioni: Renzi alleato con Alfano o con Bersani probabilmente ce la farebbe. Certo sarebbe più ricattabile, che è la ragione per la quale ha fatto approvare dalle Camere l’Italicum così com’è.
• Che legge elettorale vogliono gli oppositori dell’Italicum?
Questo è il punto. Mentre c’è una pattuglia numerosa che avversa il sistema in vigore, ognuno poi, all’interno di questa pattuglia, propugna un sistema elettorale suo, in genere costruito per trarre il maggior numero di vantaggi possibili. Quindi è piuttosto probabile che, nonostante le tante chiacchiere e le molte critiche di costituzionalisti e uomini di studio, l’Italicum resti così com’è. Solo una vittoria del sì al referendum costringerebbe il Parlamento a intervenire. Infatti la legge elettorale in vigore è costruita sull’ipotesi che ci sia una sola Camera. Se vince il no, invece, il Senato resterà in piedi, e bisognerà approvare una legge per scegliere i senatori. Forse a quel punto si rivedrà tutto.
• Quali sono le critiche dei costituzionalisti all’Italicum?
Non di tutti i costituzionalisti, ma solo di una parte. Costoro dicono che col premio di maggioranza in vigore (si regalano un certo numero di seggi al partito che vince il ballottaggio in modo che abbia una maggioranza del 55%), si rischia di consegnare il Paese a una forza politica minoritaria, un partito che magari non è riuscito a superare il 30% dei voti. È una critica abbastanza strana, se ci pensa: in Gran Bretagna o negli Stati Uniti o anche in Francia si va al governo con percentuali di voto che possono aggirarsi intorno al 25%. Ma si tratta, appunto, della prima scelta. Come mai non avrebbe nessun valore il voto di riserva, quello che si esprime per un partito arrivato almeno secondo?
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