varie, 12 settembre 2016
DELITTI USCITI SUL FOGLIO DEI FOGLI DEL 12 SETTEMBRE 2016
Dario Bavaresco, 66 anni. Romano, tassista vicino alla pensione, «brav’uomo tutto famiglia e lavoro», viveva con la moglie e col figlio Maurizio, 32 anni, grande e grosso, istruttore di body building solito riempirsi di anabolizzanti, anche attore fino al 2008: il ruolo più significativo era stato l’infermiere di Grande, grosso e verdone nel 2007, aveva recitato pure in qualche fiction poi nessun regista l’aveva più voluto e del suo fallimento come attore incolpava il padre che gli aveva insegnato a non chiedere raccomandazioni e a non cedere a compromessi di alcun genere. Qualche tempo fa era andato a Londra a cercare fortuna, anche quell’esperienza s’era rivelata un fiasco e così, quattro mesi fa, se n’era tornato, scornato e depresso, a casa dei genitori. A detta dei vicini «ragazzo innocuo ma strano, si vedeva che aveva qualche problema, spesso rideva da solo, senza motivo», stava per iniziare un ciclo di cure da uno psicologo. L’altro pomeriggio, la mamma fuori casa, s’avvicinò al padre che dormiva sul letto, tutto vestito, a pancia sotto, e gli infilò un coltello a serramanico almeno dieci volte nella schiena. Quindi lo sgozzò. Subito dopo andò in bagno, prese bende e cerotti con l’idea di fermare il sangue ma non riuscendo nell’impresa scese in strada, vagò inebetito per qualche centinaio di metri, poi fermò una volante della polizia e agli agenti disse tutto confuso: «Ho accoltellato il mio papà, ho fatto una grossa stupidaggine. Non so se è morto, aiutatemi vi prego. All’improvviso non ho capito più niente. Ero posseduto».
Pomeriggio di mercoledì 7 settembre in un appartamento al quinto piano in via Vitelleschi 11, a due passi da San Pietro, a Roma.
Anna Paola Consonni, 79 anni. Di Piombino, invalida e molto malata, da cinquant’anni era sposata col dentista in pensione Mario Neri, 90 anni, che continuava a prendersi cura di lei nonostante fosse malconcio pure lui. L’altra mattina, non potendone più di veder soffrire la consorte, l’uomo le pigiò un cuscino sul volto finché non smise di respirare, poi la vestì, la pettinò, le posò un mazzo di fiori tra le braccia e un rosario tra le dita. Quindi legò una corda a una trave, l’altro capo se lo passò attorno al collo, e si lasciò penzolare. Un biglietto, sul comodino, accanto alla foto del figlio che lavora in Germania: «Abbiamo vissuto insieme e ce ne andiamo insieme».
All’alba di lunedì 5 settembre in un appartamento in via del Fosso 6 a Piombino, Livorno.
Fabrizio Gratta, 49 anni. Operaio in una ditta di Venturina (Livorno), separato, viveva a Piombino con la compagna Beatrice Paini, 44 anni. L’altra sera i due, che stavano insieme da due anni e a detta di tutti si volevano un gran bene, andarono con gli amici a una sagra di paese e là si scolarono parecchi bicchieri di vino. Tornati a casa continuarono a bere e a un certo punto presero a litigare per qualche sciocchezza finché lei, afferrato un coltellaccio da cucina, infilò la lama da venticinque centimetri nella pancia del compagno e subito dopo chiamò i soccorsi (l’uomo, morto poco dopo il ricovero in ospedale).
Notte tra giovedì 8 e venerdì 9 settembre in un appartamento di Fiorentina, zona periferica di Piombino, Livorno.
Jagtar Singh, 34 anni. Indiano, lavorava come addetto alle stalle in un’azienda agricola di Gossolengo vicino a Piacenza. Un anno fa aveva fatto assumere dal proprietario della cascina, per lo stesso lavoro, quattro connazionali tra i 29 e i 35 anni: siccome quelli non capivano una parola d’italiano, gestiva pure i loro stipendi. L’altro giorno i quattro, avendo scoperto che il Singh gli aveva rubato centomila euro, lo presero a calci e pugni finché non smise di respirare. Quindi gli legarono mani e piedi, lo infilarono in un sacco della spazzatura, e l’andarono a buttare dal ponte di Tuna sul greto del fiume Trebbia.
Domenica 4 settembre in un’azienda agricola di Gossolengo vicino a Piacenza.
SUICIDI
Ciro Ciocca, 20 anni. Originario di Riccia in provincia di Campobasso, studente universitario, fidanzato, «molto sensibile», da pochi giorni era arrivato a Rouen, nella Francia del nord, per studiare con l’Erasmus. Venerdì 2 settembre, chissà perché, si tagliò le vene ma non riuscì a morire. Ricoverato in ospedale, mercoledì 7 settembre aprì una finestra e si buttò di sotto.
Mercoledì 7 settembre a Rouen, nella Francia del nord.
Maurizio Guazzarotti, 60 anni. Imprenditore di Senigallia, «grande lavoratore, buono, brillante, la battuta sempre pronta», l’altro giorno andò nel magazzino della sua azienda, scrisse su un foglietto «scusate, non ce la faccio più», e si impiccò. A trovarlo che penzolava fu un socio (pare che gli affari non andassero bene, in più si stava separando dalle moglie Paola da cui aveva avuto due figlie, Giorgia e Michela).
All’alba di giovedì 8 settembre nell’azienda Alfa 5 in via Carracci alla Cesanella di Senigallia, provincia di Ancona.