la Repubblica, 12 settembre 2016
Il presidente che non esonera un allenatore da 21 anni
Di tante squadre si dice che giocano come fossero un sol uomo. Una sola squadra si chiama come un uomo: Giana Erminio, cognome e nome come all’anagrafe e a scuola, per ricordare un alpino morto nella Grande Guerra, e dal lutto deriva il bordo nero della maglia biancazzurra. E nessun’altra ha lo stesso allenatore dal 1995 e lo stesso presidente dal 1985. È la squadra di Gorgonzola, patria dello stracchino cremoso e odoroso: lo produce anche il presidente Cesare Bamonte che è pure lo sponsor. Più che il formaggio questo ritratto calcistico richiama in realtà il pane e salame, evoca il mondo dei dilettanti, coi giocatori che si allenano a fine lavoro e prendono rimborsi spese. Invece il Giana Erminio, anzi “la” Associazione Sportiva Giana Erminio, dal 2014 è tra i professionisti in Lega Pro, la fu Serie C. E ora con due vittorie in tre giornate, fra le prime della classifica.
Che ci fa lì la Giana? «Stiamo dove ci siamo meritati di essere» ribatte il Ferguson della Brianza. Lo chiamano così Cesare Albè, 66 anni di cui 38 da impiegato alla Siemens e 21 sulla panchina della Giana. Da allora è stato un su e giù tra Promozione, Eccellenza e D, fino alla Lega Pro. «Bamonte non mi ha esonerato neanche quando siamo retrocessi: ci vediamo di sabato, discutiamo, litighiamo, ma la stima è totale. Siamo come marito e moglie, dice, e non ha voglia di cercarsi l’amante. So di essere un’anomalia, il soprannome mi imbarazza un bel po’, ma di vergognarmi ho smesso: ci si deve vergognare di rubare, non di far bene il proprio lavoro».
Così non si vergogna nemmeno di essere vecchio stile, dalla tattica (5-3-2 contropiedista) all’umanità: «Io mi sento un padre per i giocatori, un po’ alla Nereo Rocco, che da ragazzo andavo a osservare a Milanello. Per me è più importante formare uomini che giocatori, sono terrorizzato dall’idea che il tuffo nel professionismo spiazzi qualcuno, lo renda presuntuoso. Se poi resti senza squadra che fai?». L’unica vergogna di Albè è venuta proprio con questo tuffo: «Mi han costretto a fare il tesserino da professionista a Coverciano. Che figura, stare con ex calciatori di A, prima della Giana avevo allenato solo due squadre e una era dell’oratorio».
Ma qualche goccia di serie A è già piovuta a Gorgonzola. Lo scorso anno Andrea Gasbarroni, un grande avvenire dietro le spalle tra Samp, Genoa, Parma. Ora Salvatore Bruno, 15 presenze in A e 98 reti in B. E («con un contratto annuale, non voglio essere di peso») Alex Pinardi, fantasista nel Lecce di Zeman e al Modena: «Ho 36 anni, ma un posto così non l’avevo mai trovato: niente viene esasperato, la società è davvero una famiglia, non è solo l’allenatore a essere qui da decenni, tutto è organizzato splendidamente, ognuno porta il proprio mattoncino di contributo. I miei sono l’esperienza a certi livelli, un po’ di fantasia e qualche consiglio se me lo chiedono. I primi giorni qualcuno quasi si vergognava a parlarmi, ora pare che io sia qui da tempo». Chi lo è davvero, da otto anni, è il capitano Roberto Biraghi, sul campo regista, fuori mobiliere nell’azienda di famiglia, «ed è la mia salvezza, perché riesco a conciliare pallone e lavoro». Proprio per questo è diventato capitano: lo storico, Marco Chiappella, ha dovuto mollare, fregato dall’impiego in banca. «Io – prosegue Biraghi – ho vissuto il passaggio da squadra simpatia, la provinciale naif che fa sorridere, a realtà da rispettare. Abbiamo lottato per arrivare qui e restarci, continueremo a lottare. E a emozionarci andando a Livorno, Siena, Piacenza, Cremona, avversarie che sono state in A e pure in Coppa Uefa».
L’emozione non gli ha impedito di segnare, proprio a Siena, il gol della vittoria alla seconda giornata. Ma il più emozionato è il più vecchio della combriccola, Albè: «Ho ancora gli album Panini di gioventù in cantina, prima delle trasferte li sfoglio e mi pare tutto incredibile. Se devo tirare fuori una lezione da tutta questa storia è: “sognate, ragazzi, sognate sempre, prima o poi qualcosa può avverarsi”».