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 2016  settembre 12 Lunedì calendario

I veri numeri sulle richieste d’asilo

I flussi migratori da Medio Oriente e Africa stanno mettendo a dura prova le politiche dei governi europei e la tenuta stessa della Ue: dopo Brexit, c’è stata la sconfitta del partito di Angela Merkel nel voto del Meclemburgo, interpretato come una protesta contro la sua apertura nei confronti dei profughi; il Regno Unito ha concordato con la Francia la costruzione di un muro per frenare le partenze da Calais; gli ungheresi si preparano al referendum di ottobre per dire se accetteranno la politica europea di ricollocamento dei migranti. Nel segno della solidarietà, invece, le due ultime iniziative di Francia e Italia: Parigi realizzerà la prima area urbana con due sedi in grado di accogliere mille persone; a Roma autorità centrali e Anci stanno concordando un piano per la ripartizione dei profughi in tutti i Comuni.
In assenza di un modello di governance condiviso, i partner Ue proseguono in ordine sparso di fronte all’emergenza migranti, che peraltro sta esercitando una pressione squilibrata all’interno dell’area comunitaria. «La complessa situazione geopolitica in Medio Oriente e Africa – osservano i ricercatori della Fondazione Leone Moressa, che hanno realizzato uno studio sull’accoglienza dei rifugiati in Europa – lascia supporre che l’emergenza migranti sia destinata a proseguire a lungo. La gestione del fenomeno richiede un’azione condivisa tra i Paesi Ue, a partire dal ricollocamento fino alla gestione comune delle frontiere e all’armonizzazione del sistema d’asilo». Obiettivi ancora lontani, secondo lo studio.
Partiamo dalle rotte d’ingresso, tassello cruciale del quadro normativo almeno finché il regolamento di Dublino attribuirà allo Stato di primo accesso la competenza nelle fasi di accoglimento e valutazione della domanda di protezione. L’evento spartiacque nel 2016 è l’accordo di marzo tra Ue e Turchia che, bloccando la rotta balcanica, ha di nuovo spostato i flussi di irregolari sul Mediterraneo centrale, ossia verso l’Italia (primaria via d’accesso fino a tutto il 2014). Ancora nel primo trimestre 2016 il 54% dei 282mila migranti era passato dalla Grecia e un altro 40% dall’Ungheria e solo il 6,6% dalle coste italiane; da aprile a giugno invece due su tre dei 76mila irregolari passati si sono imbarcati verso il sud Italia.
E se nel primo semestre 2016 la “contabilità” dell’emergenza si ferma sotto i 360mila arrivi (di cui oltre un terzo, 123mila, dato di inizio settembre, sulle coste della nostra penisola), il trend 2011-2015 evidenzia l’aggravarsi della situazione: dai 141mila registrati nel 2011, anno delle primavere arabe, a oltre quota 1,8 milioni nel 2015.
Il 2015 ha segnato un altro record, destinato peraltro a essere battuto già quest’anno: 1,3 milioni le richieste d’asilo ai 28 Paesi Ue, il quadruplo rispetto al 2011. E tra i due semestri 2015/2016 si rileva già un aumento del 35,4% (a quasi 600mila istanze). Anche su questo versante la pressione è diversa all’interno dell’Unione. La quasi totalità delle richieste si concentra in dieci Paesi, Germania in testa: già 370mila nel primo semestre 2016 (il doppio rispetto all’anno precedente), il 60% del totale. Nel 2015 la seguivano Ungheria e Svezia, ma ora è l’Italia la seconda meta più “gettonata”, con oltre 50mila domande di asilo (+ 66%).
Ma i partner Ue si differenziano non solo per l’appeal sui migranti. «Dai dati emerge una sostanziale disomogeneità delle valutazioni sulle richieste di protezione – osservano i ricercatori della Fondazione Moressa –, lontana dalla costituzione di quel sistema europeo d’asilo spesso evocato dalle autorità europee». Queste le statistiche: nel 2015 è stata accolta la metà delle 600mila domande esaminate, con un picco però dell’80% nei Paesi Bassi e un minimo del 15% in Ungheria (per mole, però, “vince” sempre la Germania). E neppure quest’anno si restringe la forbice, con i Paesi Bassi al 90% di “ok” e l’Ungheria sempre al minimo (l’Italia è scesa al 36% dall’81% del 2012).
Le nazionalità principali nelle istanze d’asilo sono quelle con la situazione in patria più grave: Siria, Afghanistan e Iraq. Anche qui le “preferenze” si dividono: nel 2016 i siriani prevalgono in Germania e in Svezia, gli iraniani nel Regno Unito, gli afghani in Francia e Austria, i nigeriani (seguiti da pakistani e abitanti del Gambia) in Italia. Divari e ritardi nella Ue anche nel piano di ricollocamento dei migranti ospitati da Italia e Grecia, avviato circa un anno fa con l’obiettivo di redistribuire, entro settembre 2017, 35mila persone dall’Italia e 63mila dalla Grecia: a oggi, in un anno, ne sono stati trasferiti mille dall’Italia e 3.500 dalla Grecia (il 3 e il 5,5%).
Infine, la spesa pubblica (che secondo i criteri Ocse comprende i costi per l’accoglienza dei rifugiati nei primi 12 mesi, costi comunque difficilmente comparabili, non essendoci linee guida a livello europeo e dipendendo i sistemi di accoglienza da specificità normative e strutturali nazionali). In ogni caso per i dieci Paesi per numero di richieste, la spesa pubblica 2015 va dai 2,7 e 2,1 miliardi in Germania e Svezia ai 9 milioni dell’Ungheria. E che si tratti di un’emergenza da mettere in testa dell’agenda Ue lo conferma anche l’aumento di questa spesa: nel 2015 il budget della Germania era un ventesimo del budget 2014 e quello della Svezia un terzo.