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 2016  settembre 12 Lunedì calendario

RISPARMIO GESTITO, I FONDI ITALIANI COSTANO TROPPO

Milano
C’è una buona notizia per l’universo dei fondi comuni, in area europea: secondo una recente indagine di Morningstar, centro studi indipendente specializzato nel risparmio gestito, i costi di questi prodotti sono scesi dal 2013 ad oggi. La super-media, infatti, mostra che le spese correnti (definizione che ha sostituito il Ter, total expence ratio) sostenute dagli investitori sono passate dall’1,09% all’1%. La cattiva notizia è che l’Italia – insieme alla Danimarca, la Germania e la Spagna – va controcorrente e invece di pagare mediamente meno rispetto al 2013 paga mediamente di più: le spese correnti sono passate infatti dall’1,33% all’1,42%. Non solo: al nostro paese spetta anche il non invidiabile primato di avere i fondi comuni che costano di più, a parte il Belgio (che ha un livello di spese correnti pari all’1,47%). La parziale consolazione è che in realtà i fondi italiani non sono diventati più cari rispetto a tre anni fa (anche perché lo erano già) quanto piuttosto che gli italiani comprano prodotti un po’ più sofisticati: meno obbligazionari, prodotti meno costosi, e più bilanciati, che invece hanno commissioni più sostenute. E siccome il numero riepilogativo sulle commissioni esprime quanto concretamente si è pagato in spese, la scelta dell’asset class è importante: se gli asset under management sono costituiti in prevalenza da prodotti monetari (i meno costosi in assoluto) allora anche l’incidenza percentuale delle spese sul totale degli asset under management risulterà più bassa (ad esempio in Francia i monetari rappresentano il 40% del totale, contro una media europea del 15%). Il sollievo però dura poco. Se si osservano da vicino le spese complessive delle varie categorie di fondi, si vede che i prodotti italiani sono mediamente più cari degli altri (quando non i più cari) e molto spesso le commissioni sono anche aumentate nell’ultimo triennio. Ovviamente il picco è dei fondi azionari, che costano agli investitori il 2,11% l’anno, in media, senza considerare eventuali commissioni di ingresso/ uscita o di performance (il concetto di “spese correnti” non le comprende mai). Nel resto d’Europa invece la tendenza è alla contrazione delle spese. «Il declino dei costi è da attribuire, tra gli altri fattori, a una maggiore penetrazione delle cosiddette “clean share class” (classi senza commissioni, ndr) e a una crescente preferenza degli investitori per fondi meno costosi», spiega Nikolaj Holdt Mikkelsen, autore della ricerca Morningstar. I costi ovviamente “mangiano” una parte del rendimento del fondo. Ma fino a quando questo è positivo, i clienti sono più inclini a pagare (magari senza rendersi conto di quanto guadagno teorico consegnano nelle mani di gestori e distributori) quando invece volatilità delle Borse e tassi bassi mangiano le performance, le sorprese per i sottoscrittori di fondi sono meno piacevoli. L’industria nel suo complesso sta vivendo una fase difficile. Ancora ampiamente positiva: da inizio anno a fine luglio, la raccolta ha il segno più per ben 31,6 miliardi, ma nello stesso periodo nel 2015 (anno record) il bottino dei fondi comuni era stato pari a 105 miliardi. Una frenata particolarmente accentuata nella secondo trimestre dell’anno (solo un miliardo di raccolta netta per il sistema fondi) mentre in questi due mesi estivi il quadro sembra di nuovo più sereno. Certo però che le difficoltà dei mercati e i tassi negativi (con prezzi stellari per i bond, ma ormai da qualche tempo inevitabilmente poco mossi) rappresentano sfide importanti per i gestori e fattori di grande incertezza per i risparmiatori. «Nel 2016 i risparmiatori italiani hanno continuato ad investire in strumenti di risparmio gestito, anche se con minore convinzione e continuità rispetto agli ultimi anni conferma Marco Carreri, amministratore delegato di Anima – a causa in particolare di due eventi specifici, cioè la crisi di alcune banche regionali a inizio anno e la Brexit a giugno. Tuttavia pensiamo che la diversificazione e la flessibilità offerte dagli strumenti di risparmio gestito ne faranno anche per il futuro uno dei principali catalizzatori del risparmio degli italiani». Un auspicio sicuramente condiviso anche dal sistema bancario italiano, che nonostante il secondo trimestre 2016 sia stato uno dei più fiacchi dal 2013 in avanti, trae dalla voce risparmio gestito il 38% del totale delle commissioni, una percentuale più o meno stabile dall’inizio del 2014. Per il momento siamo davanti ad una battuta d’arresto, confermata anche dal versante assicurativo: le polizze unit linked (quanto di più simile ad un prodotto di risparmio gestito si possa pensare) segnano da inizio anno a fine giugno un calo del 40% delle sottoscrizioni rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ancora una volta, difficile pensare che l’andamento sia indipendente dall’andamento delle Borse (in particolare Piazza Affari) e di conseguenza dei prodotti finanziari: basti pensare che il rendimento medio dei fondi interni collegati alle unit linked ha perso in media il 3,83% nei primi sei mesi dell’anno, una percentuale che diventa meno 10,15% per i soli fondi azionari. Meglio è andata al ramo primo delle polizze vita, quelle “tradizionali”, che da inizio anno segnano un più 6,2% della raccolta. Alcuni osservatori ritengono tuttavia che una parte del risparmio, spaventato dalla forte volatilità dei mercati, sia rimasto parcheggiato nei conti correnti, mentre si nota una certa effervescenza del settore dei “certificates” (che hanno una componente derivata). 1 2 Tommaso Corcos (1), presidente di Assogestioni e Joe Mansueto (2), ceo di Morningstar Nella tabella qui sopra, realizzata da Morningstar, gli asset under management nei vari paesi e le commissioni percepite
Vittoria Puledda, Affari&Finanza – la Repubblica 12/9/2016