Libero, 12 settembre 2016
La crescita è debole, l’Italia deve fare delle scelte e la Germania deve smettere di fare la timida
Si susseguono i vertici, mondiali come il G20, europei come l’Ecofin. Le banche centrali restano guardinghe e continuano nelle loro strategie. Sono concentrate, ogni tanto lo si dimentica, in azioni eccezionali come il Quantitative easing che continua a inondare di liquidità i mercati. Il mondo è apparentemente impegnato a sostenere una crescita che resta però flebile. I risultati non sono entusiasmanti. E così ischia di prevalere la frustrazione. Prova ne sia che i giudizi sulle mosse delle banche centrali si concentrano in una frase: nonostante gli sforzi non si sono ottenuti gli effetti sperati. C’è da chiedersi quali fossero gli effetti sperati. Molto spesso non si ha il coraggio di fare il ragionamento al contrario: cosa sarebbe accaduto se Fed, Bce, BoJ non si fossero mosse in quella direzione? Soprattutto si affida ai banchieri centrali, per quanto potenti, una forza che non hanno. Possono creare le condizioni affinché il credito sia agevolato e la liquidità non manchi sui mercati. Che questa strategia si trasformi poi in ossigeno per l’economia reale è tutt’altra cosa. La quantità così elevata di risparmio che non si trasforma in investimenti, e non arriva alle imprese, dimostra che la crescita ha bisogno di ingredienti che né Janet Yellen né Mario Draghi possono fornire: fiducia, assetti politici stabili, riforme che diano il senso di governi consapevoli del loro ruolo. Altrimenti prevarrà l’incertezza determinata da fenomeni come il terrorismo, le migrazioni e le tensioni che ne conseguono. Non esiste una singola mossa, una singola entità che possa determinare da sola l’inversione di tendenza. E allora c’è da chiedersi perché il piano di investimenti lanciato da Jean-Claude Juncker sia riuscito a mobilizzare solo un terzo del nemmeno così ambizioso obiettivo di 315 miliardi. Perché nazioni come la Germania, che potrebbero aiutare la crescita usando il loro gigantesco surplus, continuano a essere così timide?
E altre come l’Italia, come suggeriva Draghi, non possono pensare di investire soltanto aggiungendo debito a debito senza interrogarsi sulla composizione della loro spesa pubblica. Sono solo alcuni esempi. Ma è evidente che sta prevalendo un pericoloso sentimento di attesa. In primavera si aspettavano i risultati della Brexit. In autunno si attenderà l’esito del referendum in Italia e le elezioni in America. Nel 2017 il voto tedesco e quello francese. E a seguire di nuovo, salvo sorprese, quello in Italia. Ma se la politica stessa continua a fare scelte timide, come si può pensare che i cittadini e le imprese non lo siano nelle decisioni di investimento? Occorrerebbe una classe dirigente che, per prima, non si nutrisse di paura su quello che il futuro può riservarci. E, invece, di questi tempi, proprio la paura è la merce più scambiata.