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 2016  settembre 12 Lunedì calendario

Ecco perché Giorgio Armani ha voluto una Fondazione per la sua successione

L’ argomento è di quelli che Giorgio Armani non ha mai avuto piacere di affrontare. Per questo non è un caso che per annunciare la soluzione adottata per la sua successione non abbia fatto conferenze stampa, interviste esclusive o iniziative pirotecniche. Ma, al contrario, abbia diffuso solo uno scarno comunicato in piena estate quando l’attenzione era meno pressante. Ma adesso che si approssima la settimana della moda, ecco che il tema torna di stretta attualità. Dirà qualcosa di più prima o dopo la sfilata di venerdì 23 settembre della Giorgio Armani? Al gruppo giurano che no, che l’argomento è chiuso con la nota di agosto.
La decisione
Lo stilista ha scelto di affidare quanto ha costruito negli ultimi quarant’anni di vita a una fondazione, ovvero a uno strumento che garantisce al tempo stesso la realizzazione di un fine sociale e la conservazione del patrimonio. In attesa di poter leggere i documenti si può capire qualcosa di più sul futuro del principale gruppo privato italiano del lusso facendo riferimento, oltre che alla nota di agosto, alle dichiarazioni rilasciate dallo stilista in passato e alle regole della fondazione. Ricordando che il gruppo Armani fattura 2,6 miliardi e il suo fondatore ha un patrimonio stimato da Forbes in 6,1 miliardi che lo pone tra i primi dieci personaggi più ricchi d’Italia.
Nato a Piacenza, lo stilista ha trovato nel capoluogo lombardo la città che gli ha permesso di costruire il suo sogno. «Ho da sempre un debito di riconoscenza verso questa città, che mi ha accolto e capito, e che con i suoi contrasti e i suoi silenzi discreti mi ha lungamento ispirato», ha detto in passato. «Da grande – raccontava una decina di anni fa – vorrei impegnarmi nel sociale, occuparmi dei giovani, di Milano».
Così, non solo è stato ambasciatore speciale dell’Expo, ma ha anche salvato dal tracollo l’Olimpia Milano, squadra pluri-stellata del basket italiano arrivata a un passo da scomparire e che con lui ha già vinto due campionati. In occasione di Expo ha varato Silos, il museo dove racconta il suo lavoro (e dove ha investito 50 milioni): «L’idea è di lasciare alla città la testimonianza di un lavoro che non sia solo da contemplare ma funga da stimolo per dare vita a nuove idee».
Stilista con il senso dell’istituzione e il più istituzionale tra gli stilisti. A lungo (ma non quest’anno, dove ci sarà un giovane da lui sostenuto) ha chiuso con la sua sfilata la settimana della moda milanese, «sfidando» la fuga di giornalisti e buyer verso Parigi, dove inizia la settimana francese che nelle ultime edizioni sovrappone il suo primo giorno all’ultimo italiano. Sue le divise olimpiche e paraolimpiche per Rio 2016, così come erano state disegnate da Armani quelle di Londra 2012 e anche quelle di Alitalia quando la compagnia era simbolo del Paese.
Non avendo coniuge o figli, Armani non ha eredi diretti. Ha però tre nipoti, Silvana e Roberta, figlie del fratello Sergio, scomparso diversi anni fa; e un nipote, Andrea Camerana, figlio della sorella Rosanna e indicato come suo successore fino a quando non ha lasciato gli incarichi operativi nel gruppo. Tutti e tre i nipoti, con Rosanna Armani e con Leo Dell’Orco, a capo della linea uomo e da lunghissimi anni amico fidato dello stilista, siedono in consiglio di amministrazione. E quella è la loro collocazione, avendo lo stilista detto di non poter lasciare alla famiglia un «peso così grande» come le gestione diretta del gruppo.
Le opzioni
Questo lungo ragionamento porta a capire perché Armani abbia scelto la fondazione, i cui perni saranno la realizzazione di progetti di utilità pubblica e sociale, l’indipendenza, la concentrazione sullo sviluppo del marchio Armani, l’integrità etica, una gestione finanziaria prudente e un cauto approccio alle acquisizione. Modello Armani dall’inizio alla fine, insomma.
«Per realizzare il passaggio generazionale ci sono varie possibilità, la cui scelta dipende naturalmente dalla situazione della singola azienda – dice Nicola Garelli, principal di Boston consulting group esperto di governance —. Semplificando, c’è il modello per cui si assegnano le azioni in modo proporzionale: funziona quando vi siano parti della famiglia chiaramente emergenti o fratelli molto affiatati, altrimenti si corre il rischio di un conflitto ex post. Si può frazionare il business, quando si ha a che fare con un’azienda che possieda più marchi o attività indipendenti. Una soluzione, quest’ultima, che potrebbe essere indicata, per esempio, per gruppi del lusso multibrand che si troveranno ad affrontare il passaggio della successione. Ci sono, poi, le holding di famiglia, uno strumento semplice e per questo spesso usato, ma che non permette la flessibilità che in molti casi è necessaria. Infine, ci sono i trust e le fondazioni che sono modelli diversi non solo perché riferiscono a legislazioni diverse ma per le finalità di base. Entrambi separano il patrimonio in modo netto, ma la fondazione, che è stata introdotta agli inizi degli anni 90, prevede una utilità sociale di base e un intervento dello Stato nel caso di comportanti contrari alle disposizioni costitutive. Possiamo dire che è uno strumento fatto per far vivere nei secoli quanto è stato costruito secondo il disegno di chi la crea e nell’interesse della comunità allargata, non solo della famiglia».
Le conseguenze
Che impatto ha una fondazione sulla gestione di un’azienda? «L’esperienza dice che c’è una riduzione del rischio in generale, una buona autonomia del management, una gestione trasparente e professionale e, come spesso si vede, una richiesta di flussi costanti per il suo funzionamento. Penso, per esempio, all’idea di avere collezioni permanenti in Paesi del mondo. Molto dipende da come è definita da destinazione dei dividendi». A leggere le parole di Armani, i dividendi saranno destinati soprattutto a far crescere la società. Con la fondazione, l’imprenditore ha definitivamente escluso la possibilità di una cessione del gruppo. Bisognerà vedere se nello statuto è esclusa anche la possibilità di una quotazione.