12 settembre 2016
Oggi 77 - Politica
Siamo all’inizio di una stagione politica intricata. Primo nodo: la Raggi a Roma, pressata dal partito che la tratta come una marionetta, cambia di continuo assessori, lei e gli altri capi grillini dicono troppe bugie, alla fine i sondaggi penalizzano il M5s di 2-4 punti. Secondo nodo: tra la fine di novembre e i primi di dicembre saremo chiamati a dire sì o no alla riforma costituzionale che toglie poteri al Senato. Il no in questo momento è in vantaggio e, se vincesse, il Parlamento dovrebbe preparare una legge elettorale capace di non determinare una maggioranza alla Camera e un’altra maggioranza al Senato. E però (terzo nodo) il 4 ottobre la Corte costituzionale dovrà dire se la legge elettorale in vigore - il famoso Italicum - è coerente, in tutto o in parte, con la nostra costituzione. L’Italicum prevede che se nessun partito raggiunge il 40% dei voti si vada al ballottaggio tra i primi due e che al vincitore si garantiscano 340 seggi (premio di maggioranza). Si sostiene che questo punto sia incostituzionale, perché il Paese in questo modo potrebbe essere consegnato a una formazione politica che al primo turno non è arrivata al 30% dei voti. Obiezione: in Inghilterra o in Francia la seconda preferenza conta come la prima, e nessuno grida alla morte della democrazia. Altra questione: l’Italicum dà il premio di maggioranza al singolo partito e non alla coalizione, e questo potrebbe minare la rappresentatività delle Camere. Come è ovvio, i partiti piccoli vogliono che questo punto cambi perché la legge non farà entrare in Parlamento chi non ha raccolto almeno il 3% dei voti (sbarramento) e le microformazioni, se non gli si permette di aggregarsi a un partito grosso, sono destinate a sparire. I capi dei partitini minacciano perciò di votare no al referendum, e per tenerle buone Renzi domenica scorsa s’è dichiarato disponibile a rimettere mano alla cosa. Intanto i sindacati fanno notare che il Jobs Act ha smesso di funzionare: la disoccupazione ha ripreso a salire.