la Repubblica, 12 settembre 2016
Il diario di Giancarlo De Cataldo, giurato a Venezia
PRIMA. In un negozio del centro incontro Roberto Andò. Inizialmente facciamo i vaghi, poi, davanti a uno specchio impietoso, la confessione: siamo entrambi alla ricerca di uno smoking per Venezia. Torturati da un fondamentale interrogativo esistenziale: si abbottonerà?
ARRIVO. Il Lido è blindato. Molte divise in giro. Per rispetto delle vittime del terremoto molti festeggiamenti, incluso il tradizionale party d’avvio, sono opportunamente soppressi. Tuttavia, una folla impressionante prende d’assalto il red carpet: la maggior parte aspetta le dive in abito lungo e i ficoni con barba incolta e/o mascella volitiva. Da qualche tempo è consentita a chiunque una breve camminata autocelebrativa. Tipi curiosi oppure ordinari ne approfittano, gustandosi il brivido effimero di una passerella da immortalare sull’immancabile telefonino. Comunicano una sensazione di giocosa attesa. In questo entusiasmo popolare per il glamour c’è qualcosa di vitalistico che mi contagia. So che vedrò film di ogni genere, impegnati e superficiali, tetri e leggiadri, densi e vacui, e che ne troverò alcuni bellissimi, altri insopportabili. E trovo giusto che il cinema continui a vivere della sua perenne, insanabile contraddizione fra arte che punta al sublime e show business. D’altronde, i fondamentalisti di ogni segno odiano, in egual misura, i più sofisticati prodotti dell’ingegno umano e le costosissime creazioni d’alta moda che fasciano i corpi sinuosi delle attrici. Odiano, senza mezze misure, gli austeri e i libertini. E questa è un’ottima ragione per difenderli entrambi. Non mi spingerò a sostenere che un red carpet è qualcosa di rivoluzionario, ma dentro, credetemi, c’è persino un po’ di resistenza umana. E poi, finalmente, si comincia. PS. Il mio smoking non si è abbottonato.
ITALIANI. Ti tocca l’arduo compito di difendere i film italiani in concorso, mi ammonisce un veterano della Mostra. Se nessun italiano viene premiato, sei un pirla. Se qualcuno vince un premio ti accuseranno di favoritismo. In bocca al lupo. Ne uscirò pirla, ma in quel momento non posso saperlo.
GIURIA. Il gruppo è variegato, eccezionale. Sam Mendes è “o capitano, mio capitano”. Lo vorrei presidente a vita. Laurie Anderson non dismette il suo sorriso zen nemmeno quando fa a pezzi il film che ho appena appassionatamente difeso. Lorenzo Vigas porta nella discussione una passione latina, Joshua Oppenheimer una sana ventata di radicalismo. Le attrici non sono più quelle di una volta. Donne bellissime, infliggono una severa lezione al nostro più o meno consapevole maschilismo. Ti mandano in crisi con la loro acuta intelligenza e riflessioni spiazzanti. Alla fine, quel che più ami in loro è il cervello.
INDISCREZIONI. Abbiamo istruzioni severissime. Tenersi alla larga dai giornalisti, sempre a caccia di rivelazioni, anticipazioni, ecc. Per la verità, per dirla alla romana, a me non mi si è filato nessuno: massima correttezza loro o consapevolezza della mia scarsa influenza? Mah! In ogni modo, delle fantastiche feste danzanti di cui si favoleggia ho sentito, appunto, solo favoleggiare. Ma non trapela niente. Ogni mattina traduco ai miei partner il toto-leone che impazza sui social e ne sorridiamo insieme.
FUORI CONCORSO. Passa fuori concorso The Young Pope. Ne siamo tutti impressionati. È l’occasione per riflettere sulla stupidità di certi steccati, alto e basso, televisione e cinema. I miei colleghi giurati sono tutti parte dello star system, e nello stesso tempo tenacemente convinti che senza Arte non possa esserci narrazione. Perciò, ci diciamo, il compito di chi ha successo è di garantire spazi vitali a chi cerca strade nuove. Siamo all’apologia del pensiero divergente. Confesso: non me l’aspettavo. E mi piace molto.
DISCUSSIONI. Sono lunghe, ripetute, appassionate, serene. Cambiamo idea influenzati da un discorso particolarmente convincente, scopriamo significati che non avevamo colto in questo o quel film.
FINALE DI PARTITA. Ecco, abbiamo deciso. Lo smoking ha deciso di collaborare e si abbottona, finalmente. Si va in conferenza stampa. Aspettiamoci critiche. Un mio vecchio capo diceva: quando una sentenza scontenta tutti, allora è giusta. Invece, le critiche sono tutto sommato blande. Abbiamo sbagliato qualcosa? In ogni caso, è finita. Resta la memoria di una meravigliosa avventura. La vita vera ci attende. E, tanto per restare in argomento, domani è un altro giorno.