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 2016  settembre 12 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Christian Ankowitsch, Perché Einstein non portava i calzini. Come dettagli (apparentemente) insignificanti influenzano il nostro pensiero, Vallardi, Milano, 2016, 238 pagine, 14,90 euro

Notizie tratte da: Christian Ankowitsch, Perché Einstein non portava i calzini. Come dettagli (apparentemente) insignificanti influenzano il nostro pensiero, Vallardi, Milano, 2016, 238 pagine, 14,90 euro.

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Nonostante Albert Einstein avesse chiesto di essere cremato e che le ceneri venissero disperse in un «luogo top-secret», la mattina del 18 aprile 1955, data della sua morte, in una manciata di minuti e in gran segreto il patologo Thomas Harvey «operò un taglio sopra la fronte […], asportò il cuoio capelluto, prese un seghetto e aprì il cranio». Il cervello fu poi ridotto in 240 pezzi di un centimetro cubo.

Il cervello di Einstein «pesava 145 grammi in meno rispetto a quello di un uomo di pari corporatura».

«A che cosa servono i calzini? A bucarsi!», diceva Einstein.

Era la moglie di Einstein, Elsa Löwenthal, a tagliare i capelli al marito.

«Sono una di quelle persone», diceva Einstein, «che fra mangiare bene e dormire bene, preferiscono la seconda opzione». [Lettera di Albert Einstein al suo amico Gustav Bucky]

«Dunque», disse Einstein, «sto vivendo senza grassi, senza carne, senza pesce, ma in questo modo mi sento proprio bene. A me pare sempre che l’uomo non sia nato per essere un carnivoro». Inoltre, «una condotta di vita semplice e discreta [è] la cosa migliore per tutti, per il corpo e per la mente».

Il pianista Arthur Schnabel ad Einstein, dopo che lo scienziato aveva ripetutamente sbagliato l’attacco: «Per l’amor del cielo, Albert, non sai contare?».

«Mentre con una mano teneva il timone», ricorda Rudolf Kayser, marito della figliastra dello scienziato, «Einstein illustrava con gioia agli amici presenti le sue ultime teorie scientifiche. Conduceva la barca con la destrezza e la temerarietà di un ragazzo. Issava la vela da solo, si arrampicava per regolare le corde e le cime e armeggiava con aste e ganci per allontanare la barca dalla riva. Il piacere che provava nello svolgere questa attività si rifletteva sull’espressione del suo volto, sulle sue parole e sul suo sorriso felice».

Einstein nel 1922, durante una conferenza a Kyoto, parla di quel momento di relax che gli ha cambiato la vita: «Ero seduto sulla mia sedia nell’ufficio brevetti di Berna. […] D’improvviso mi balenò un pensiero: se una persona è in caduta libera, non avverte il proprio peso – e ne rimasi davvero impressionato. Questo semplice pensiero mi fece un profondo effetto e mi diede lo stimolo per dedicarmi a una teoria della gravità».

Per mettersi in modalità REST, acronimo di «Random episodic silent thinking» – pensiero casuale, episodico e silenzioso – «basta sedersi o stendersi comodamente, chiudere gli occhi e far spaziare la mente. La libera associazione e la creatività si scatenano subito». La «corteccia associativa», l’area più complessa del cervello umano, in questo modo si attiva. [Nancy C. Andreasen]

Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, in Così parlò Zarathustra, affronta la questione della separazione tra corpo e anima: «Ci sono solo una verità, solo un corpo e l’anima è qualcosa che è nel corpo […]. La mente esiste solo perché c’è un corpo che ha la forza di sviluppare in sé la mente. Come sulla pianta cresce il fiore, così nel corpo si sviluppa la mente».

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Aberdeen chiesero ad alcune persone di ricordare degli eventi passati o di immaginarne di futuri. «Chi pensava al passato si piegava leggermente all’indietro (si dice che il passato è alle nostre spalle), mentre tutti gli altri, che si proiettavano sul futuro, stavano in posizione eretta».

Sull’influenza reciproca tra i sentimenti e l’espressione del corpo, scrive Charles Darwin in L’origine delle specie, «perfino la simulazione di un’emozione tende a suscitarla nella nostra mente». E ancora: «La libera espressione, attraverso segnali esterni, di un’emozione la intensifica. Viceversa, la repressione di tutti i segnali esterni, per quanto possibile, affievolisce i moti dell’anima. Chi si lascia andare a gesti violenti vedrà aumentare la propria rabbia e chi non controlla con la volontà i segnali esterni della paura, la sentirà in modo più forte».

L’uomo può dare forma a diecimila espressioni facciali grazie ai 43 muscoli presenti nel viso. [Paul Ekman]

«Quando si attivano certi muscoli del volto», sostiene lo psicologo Paul Ekman, «si provocano delle modifiche analoghe al sistema nervoso e si suscita l’emozione corrispondente». Lo sanno bene gli attori, non a caso il pedagogo e teorico teatrale Konstantin Sergeevič Stanislavskij dice: «Fa’ il gesto, l’emozione viene dopo».

Per avere un’espressione felice è sufficiente pronunciare a bassa voce la vocale “eeeeeeeeeeee”. [Daniel McIntosh, Cognition and Emotion]

Uno dei principali maestri del buddismo zen moderno, Thích Nhất Hạnh, afferma: «A volte la tua felicità è l’origine del tuo riso, altre volte il contrario».

«Il cervello delle giovani madri felici si modifica molto velocemente. Già a tre, quattro mesi dalla nascita del bambino, si può registrare “un notevole aumento del volume della materia grigia nel cervello delle mamme”».

Nel 2012 i neuropsicologi svizzeri dell’Università di Zurigo dimostrarono quanto il corpo sappia adattarsi ai cambiamenti: «dopo solo sedici giorni di immobilità dovuta alla frattura del braccio destro, le corrispondenti aree del cervello si riducevano del dieci per cento, mentre quelle responsabili del braccio sinistro, stimolate in modo più intenso, si estendevano visibilmente».

Per il neurologo tedesco Gerhard Roth «le persone che reagiscono in modo apparentemente razionale e distaccato hanno in realtà una psiche malata. […] Senza sentimenti e motivazioni che ci spronano siamo esseri passivi, a prescindere da quanto possa lavorare bene il nostro intelletto”».

«La nostra pancia invia al cervello tantissime informazioni, ma ne riceve in cambio davvero poche: la proporzione sarebbe di novanta a dieci».

Il “cervello della pancia” ha più cellule nervose del midollo spinale.

Alcuni medici di Basilea e di Hannover hanno provato a usare il botox come rimedio alla depressione. Si è visto che iniettando il botulino nella ruga della fronte, quella della collera, l’amigdala, che è l’area del cervello responsabile dell’elaborazione delle emozioni, lavorava visibilmente di meno. Sparendo l’espressione triste anche i sentimenti negativi seguivano la stessa strada.

«La nostra mimica e i nostri sentimenti s’influenzano a vicenda e in modo diretto», è il cosiddetto facial feedback.

«Una persona orgogliosa», secondo Charles Darwin, «esprime il sentimento della superiorità sugli altri tenendo la testa e il corpo in posizione eretta. È al di sopra degli altri e si erge a tal punto, che di lei si può dire metaforicamente che è gonfia o piena d’orgoglio».

In Israele si pratica uno speciale tipo di danza in cerchio detta Hava Nagila, che tradotto significa “rallegriamoci”. A migliorare l’umore dei partecipanti sono i movimenti in verticale, i salti verso l’alto. Questa tecnica è stata anche sperimentata dalla psicologa Sabine Koch per curare i pazienti malati di depressione.

La prossima volta che entreremo in un negozio, davanti al sorriso affettato dei commessi, potrebbe tornarci utile quanto scoperto dagli scienziati Brent Scott e Christopher Barnes. I due hanno dimostrato che questa forzatura impartita ai venditori è inutile e porta «all’esaurimento emotivo e alla chiusura in se stessi», soprattutto nelle donne.

Il battito cardiaco dei coristi tende a sincronizzarsi e, piano piano, raggiunge la stessa frequenza.

Quando inspiriamo la frequenza del battito cardiaco aumenta e quando espiriamo diminuisce. Questa oscillazione è dovuta al nervo vago, dal latino vagus, vagabondo, che si dice essere il «responsabile dell’origine delle nostre emozioni, in particolare dell’empatia». «La psichiatra Mechthild Papoušek e il pediatra Hanuš Papoušek hanno scoperto che “i neonati reagiscono a uno stato di frustrazione durevole con una diminuzione della profondità del respiro e con una frequenza uniforme, quasi meccanica, simile a una morte simulata”».

Ci sono voluti 4 anni e 437 persone per dimostrare che il contatto ha effetti benefici: «Una persona doveva appoggiare la mano sulla schiena di un’altra per uno o due minuti. Poi, la persona toccata doveva descrivere le emozioni che aveva provato, e queste erano sempre positive. I soggetti intervistati dissero che si erano sentiti più calmi e felici, altri dichiararono di essere diventati più svegli e vivaci».

La temperatura del volto di due persone che casualmente si toccano aumenta da 0,1 a 0,3 gradi.

Due psicologi dell’Università di Toronto avvalendosi di 65 studenti hanno dimostrato che la solitudine fa sentire “freddo”: «chi aveva ripensato a un’esperienza di esclusione sociale sentiva la stanza notevolmente più fredda di chi aveva evocato delle esperienze positive. Il solo pensiero di essere tagliati fuori aveva raffreddato la percezione soggettiva degli interessati».

A influenzare l’umore non è il buio, ma il freddo. [Chen-Bo Zhong; Geoffrey Leonardelli, Psychological Science]

Scarabocchiare, se si sta facendo una cosa noiosa, aiuta a ricordare meglio il contenuto di una conversazione.

Masticare la gomma aumenta l’attenzione, la memoria e l’efficienza. A farne un valido aiuto nei processi cognitivi non sono né il gusto, né le dimensioni, né tantomeno il colore o gli zuccheri contenuti, ma il semplice fatto di farlo. Meglio se questo avviene nei cinque minuti che precedono un test; “masticare” e “pensare” infatti si intralciano a vicenda.

Un esperimento ha dimostrato che il cervello delle persone in forma in presenza di un rumore minaccioso lancia il segnale di fuga molto più tardi rispetto alle persone meno allenate o con problemi, come può essere un mal di piedi. Il cervello dei secondi prevede un tempo di reazione più lungo e quindi segnala molto prima il rumore.

Il nostro cervello rappresenta «i numeri in uno spazio immaginario, dove i più bassi stanno a sinistra e i più alti a destra. Di solito usiamo questa immagine per spiegare il passato (a sinistra) e il futuro (a destra): se ci protendiamo a sinistra, ci avviciniamo alla zona dei numeri bassi, di conseguenza se guardiamo la torre Eiffel piegandoci verso quel lato saremo propensi a indicare cifre più basse».

Quando ridiamo, spiega il professore di fisiologia John D. Pettigrew, «perdiamo la capacità di percepire l’ambiente circostante in modalità tridimensionale». Il mondo ci sembra più piatto.

L’uomo memorizza le informazioni «più volte e in parallelo», questa parziale sovrapposizione non è un errore ma il segreto del buon funzionamento della nostra memoria. «I cosiddetti computer associativi “lavorano come i neuroni e le sinapsi nel cervello umano, dove le informazioni sono memorizzate in una rete e non in punti isolati. Le sinapsi si attivano a richiesta e non esiste un luogo fisso dove risiede la memoria”». [Peter Welcherin, Frankfurter Allgemeine Zeitung]

«Quanto più spesso ricordiamo un fatto e lo raccontiamo ad altri, tanto più probabile è che tale ricordo si discosti dalla realtà per diventare un racconto personale della nostra vita».

Nella sua autobiografia lo scrittore austriaco di origini ebree Stefan Zweig descrive così la memoria: «Quello che un uomo ha assorbito durante l’infanzia dell’aria del suo tempo rimane in lui […]. Anche dagli abissi dell’orrore nel quale noi oggi ci muoviamo, semiciechi, a tastoni, con l’animo sconvolto e dilaniato, io torno pur sempre ad alzare lo sguardo verso le antiche costellazioni che scintillavano nel cielo della mia infanzia e mi conforto con la fede innata che un giorno questa nostra ricaduta debba apparire soltanto un intervallo nel ritmo eterno del continuo progredire».

«Le esperienze del neonato influiscono sulla sua struttura genetica determinando sostanzialmente il suo futuro pensare, sentire e agire». Per lo psichiatra Robert N. Emde questa è una delle «più drammatiche rivelazioni in campo molecolare dalla scoperta del genoma umano». «I vissuti dell’infanzia, oltre a imprimersi nella nostra memoria, lasciano delle tracce genetiche oggettivamente dimostrabili che addirittura trasmettiamo alla generazione successiva».

Il premio Nobel per la letteratura Elias Canetti arrivato a Marrakech ricorda così l’esplosione dei suoi canali sensoriali: «Davvero in quel momento mi sembrò di essere altrove, di aver raggiunto la meta del mio viaggio. Da lì non volevo più andarmene. Trovavo nella piazza l’ostentazione della densità, del calore della vita che sento in me stesso. Mentre mi trovavo lì, io ero quella piazza. Credo di essere sempre quella piazza».

«Spesso basta un minimo evento, come scrive Gerald Hüther, “un determinato rumore, un profumo speciale, una particolare posizione del corpo o una frase di per sé insignificante e di colpo tutto ridiventa attuale: i fatti del passato riappaiono davanti ai nostri occhi, si risvegliano le stesse antiche emozioni e addirittura riprendiamo la postura di quella volta”».

Per la linguista e psicologa cognitiva Angela Friederici «quando alleno il cervello con la musica, anche il linguaggio ne trae benefici». Questo perché «le aree del cervello che elaborano il linguaggio e quelle che elaborano la musica si sovrappongono». Lo dimostra il fatto che i bambini del coro di voci bianche Thomaner di Lipsia, che prendevano lezioni di musica sin da piccoli, riconoscevano gli errori nelle frasi molto più facilmente dei loro coetanei.

La dopamina, l’ormone della felicità, migliora la memoria.

Alle ragazze sono sufficienti 12 minuti al giorno di sport per trarre benefici nel rendimento scolastico, soprattutto nelle materie scientifiche. Ai ragazzi ne servono 17, cinque in più.

Gesticolare aiuta il pensiero, «muovendo le mani riusciamo a formulare quei pensieri “che ancora non siamo riusciti a esprimere”». [Susan Goldin-Meadow, Trends in Neuroscience and Education]

Il filosofo e scrittore Lawrence Shapiro circa lo stereotipo delle femmine meno portate nelle materie matematiche ironizza: «Forse hanno insegnato loro che si devono tenere le mani in grembo o qualcosa di simile».

«Elaboriamo una buona notizia più velocemente se assumiamo una posizione adeguata delle braccia, che dovrebbero essere piegate ad angolo come se volessimo abbracciare le parole. Viceversa, afferriamo più rapidamente le notizie negative se allunghiamo le braccia a mo’ di difesa». [Roland Neumann; Fritz Strack, Journal of Personality and Social Psychology]

Jens Förster e Lioba Werth chiesero a un gruppo di persone di osservare un documentario sul Partito liberale tedesco (FDP). Ebbene, «chi piegava il braccio in un gesto accogliente, trovava il Partito liberale democratico molto più simpatico» rispetto a chi allungava il braccio in segno di rifiuto o lo appoggiava sulle ginocchia in modo neutrale.

«Annuire non significa approvare tutto ciò che sentiamo». «Una delle scoperte più sorprendenti che abbiamo fatto», scrive Jeff Grabmeier, «è che quando abbiamo dei pensieri negativi e annuiamo, rafforziamo la nostra disapprovazione».

«L’apprendimento e il ricordo di certi fatti possono essere facilitati se serriamo i pugni».

«Le mani e gli emisferi cerebrali sono notoriamente collegati, e sorprendentemente lo sono in modo incrociato: chi stringe il pugno sinistro attiva l’emisfero destro e viceversa».

Serrare il pugno destro, se dobbiamo memorizzare dei vocaboli, aiuta nell’apprendimento. Ma se dobbiamo ripetere le parole memorizzate è bene invertire la mano. Se stringiamo il pugno sbagliato, infatti, potremmo causare un ulteriore stress al nostro cervello. [E. Ruth Propper; E. Sean McGraw; T. Tad Brunye; Michael Weiss, PLoS ONE]

«Guai se ciò che è inconscio diventa conscio!». Se chiediamo a un golfista esperto, scrive lo psicologo Gerd Gigerenzer, «di prestare attenzione alla sequenza dei suoi movimenti, inizierà a sbagliare».

Per battere un avversario a tennis, dotato di un dritto formidabile, potrebbe tornarci utile il trucco suggerito dallo psicologo Gerd Gigerenzer: «Se mentre cambiate campo gli passate accanto e gli dite “Ehi, hai un dritto da paura: come fai?” avrete delle buone probabilità che inizi a pensarci sopra e che il suo dritto peggiori visibilmente».

Un centinaio di soggetti messi davanti alla tastiera di un computer furono invitati a scrivere delle parole a caso: digitarono 73 parole al minuto, il 94 per cento era corretto e sei era il numero di battute digitate al secondo, fu un ottimo risultato. Ma quando gli fu chiesto di ripetere l’esercizio, questa volta su un foglio di carta con sopra disegnata una tastiera vuota, l’esito fu un disastro. Secondo Kristy Snyder, la principale autrice dello studio, «possiamo fare cose estremamente complicate senza sapere esattamente come ci stiamo riuscendo».

«Quando le battute sono associate a movimenti, gli attori riescono a ricordare i dialoghi anche a distanza di mesi dall’ultimo spettacolo, mentre altri passaggi vengono dimenticati o completamente cancellati». [Helga Noice, Tony Noice, Cara Kennedy, Memory]

La ricerca del professore di psicologia Gabriel Radvansky, dal nome evocativo: “Passare attraverso le porte provoca l’amnesia”, conferma un fatto ai più inspiegabile ma che può essere così sintetizzato: «quando ci spostiamo da una stanza all’altra è come se ci trovassimo alla frontiera fra due stati che autorizzano l’entrata delle persone, ma che applicano delle condizioni doganali rigidissime: la gente entra senza valigia e, nel nostro caso, senza informazioni».

I bambini che guardano fuori dalla finestra mentre fanno i compiti riescono a concentrarsi meglio. [M. Nancy Wells, Environment and Behavior]

Le nozioni che più si ricordano sono quelle trasmesse tra il quindicesimo e il trentesimo minuto di lezione, quelle ricordate peggio sono quelle del primo quarto d’ora.

Se uno studente demotivato si siede a metà dell’aula la probabilità di prendere un brutto voto si riduce «dal 23 al 12 per cento, con un “guadagno netto dell’11 per cento”». Ne beneficiano anche gli studenti che avanzano dalle file in fondo, per loro la percentuale di guadagno sale al 40 per cento.

L’impianto d’illuminazione di una casa di cura di Monaco, per persone affette da demenza, «funziona in base alla luce naturale – quando fuori è grigio e piovoso, la luce interna si abbassa, quando invece il tempo è bello si intensifica. La luce scandisce lo scorrere del tempo meglio di un orologio. La mattina, la casa di cura è illuminata da una luce blu, che risveglia gli ospiti e li rende attivi; verso la fine della giornata, la luce tende al rosso e viene abbassata in modo che i malati percepiscano il calare della sera e si sentano assonnati». I benefici sono notevoli, «l’uso dei medicinali da parte dei pazienti è “diminuito del 30-40 per cento” ».

«Dividere le stanze ci aiuta a organizzare in maniera più stabile le nostre narrazioni mentali e a ricordarle meglio».

Il filosofo Konrad Paul Liessmann quando ha il blocco dello scrittore pedala. La bicicletta è la sua «macchina per la contemplazione e la riflessione», solo così riesce a liberare i pensieri. «Se pedalo per tre o quattro ore», dice, «la mente si sblocca: le idee arrivano e le argomentazioni si concatenano da sole».

«Chi attraversa un passo a 600 metri di altitudine e si spinge con la bicicletta oltre i 2000 metri, in due ore può attraversare quattro zone climatiche. […] Un ciclista lo percepisce sulla pelle. Sono esperienze sensoriali molto intense, diventate molto rare nella nostra vita». [Konrad Paul Liessmann]

Oltre cento donne «furono invitate a salire su una cyclette e a imparare ottanta parole in polacco. L’esito fu positivo: chi pedalava, ricordava meglio i vocaboli». [Schmidt-Kassow et al., PLoS ONE]

«Se osserviamo bene una persona che cammina», scrive lo scrittore austriaco Thomas Bernhard, «sapremo anche come pensa. Se osserviamo bene una persona che pensa, sapremo anche come cammina. Se osserviamo a lungo e attentamente una persona che cammina, ci avvicineremo sempre di più al suo pensiero, alla struttura della sua mente». Oehler, il protagonista del suo romanzo, spiega così il fenomeno: «Il camminare e il pensare hanno fra loro un rapporto privilegiato e ininterrotto. Saper camminare e saper pensare sono in sostanza un unico sapere».

L’autobiografia del fisico, matematico e filosofo Henri Poincaré, nato a metà del XIX secolo, è «probabilmente il racconto di creatività scientifica più ricco di passeggiate»: una volta cammina per strada, un’altra partecipa a una spedizione geologica, un’altra ancora percorre delle scogliere a picco sul mare. «Non appena si sedeva alla scrivania, la sua forza creativa sembrava esaurirsi. Ma quando camminava, le idee gli venivano facilmente».

Il maghetto di Hogwarts, Harry Potter, si forma nella testa di Joanne K. Rowling una domenica sera del 1990 mentre si trovava su un treno diretto a Londra. «All’improvviso mi venne dal nulla l’idea di una scuola di magia», disse. «Intanto quel ragazzino dai capelli scuri andava a spasso tra i miei pensieri, di lui sapevo che non aveva idea di chi fosse. […] Percepii fisicamente che l’idea era buona perché sentii un tuffo al cuore».

Per verificare la fondatezza dell’espressione “outside the box”, cioè pensare fuori dal comune, fu chiesto a un gruppo di persone di sedersi dentro uno scatolone di un metro e mezzo per un metro e mezzo e ad altri di restarne fuori. «Il risultato confermò la fondatezza dell’espressione inglese: […] chi pensava “fuori dalla scatola” proponeva delle soluzioni molto più creative di chi stava dentro».

I colori possono influenzare la nostra vita. Uno studio ha «dimostrato che i soggetti risolvevano in modo più creativo i compiti che venivano loro presentati in associazione al colore blu. Se invece si muovevano in un ambiente dove prevaleva il colore rosso, svolgevano il compito in modo più meticoloso e se ne ricordavano meglio». [Ravi Mehta; Rui Zhu, Science]

«Le stanze buie illuminate da una piccola lampada rendono creativi».

«Abbiamo le idee migliori quando siamo esposti a rumori ambientali moderati. Per la precisione, i rumori devono essere di circa 70 decibel, il che equivale al rumore del motore di un’automobile a circa dieci metri di distanza o a una conversazione a circa un metro di distanza». [Ravi Mehta; Rui Zhu, Journal of Consumer Research]

Duecento millisecondi è il tempo che impieghiamo a formarci l’idea di una situazione. [Maja Storch]

Mancini e destrimani associano l’intelligenza, l’attrazione, la sincerità e la felicità alla propria parte dominante, scrive Daniel Casasanto. Ma se per qualche ragione sono costretti a usare la parte non dominante entro qualche minuto svilupperanno lo schema opposto.

«Non appena ci pieghiamo un po’ in avanti, giudichiamo le persone o le cose più positivamente e iniziamo a interessarci a esse».

«Se i libri non pesano abbastanza verranno considerati delle letture leggere».

«Quando stringiamo la mano a qualcuno per salutarlo, o lo baciamo sulle guance o gli accarezziamo l’avambraccio, cerchiamo di conquistarlo; infatti, la sensazione fisica del calore […] tende a riattivare l’ancestrale esperienza della sicurezza».

Le abitudini igieniche delle persone, per Chen Bo-Zhong e Katie Liljenquist, sono «un mezzo potente con il quale possono salvare la loro moralità in pericolo e lavare via i loro peccati». Nel Nuovo Testamento il governatore romano Ponzio Pilato, per liberarsi dal senso di colpa della crocefissione di Gesù, «prese dell’acqua e si lavò le mani davanti al popolo e disse: “Io sono innocente di questo sangue; vedetevela voi!”». E, non è un caso, che quando negli anni Novanta scoppiò Tangentopoli il maxiprocesso prese il nome di “Mani Pulite”.

Secondo il pittore Markus Lüpertz «un abbigliamento curato è una questione di autodisciplina e di autogratificazione».

La psicologa Karen Pine ci informa che gli studenti invitati a indossare una t-shirt con sopra Superman «si percepivano più belli e superiori [rispetto, ndr] agli altri, e i loro superpoteri simbolici ne miglioravano le performance».

Gli psicologi Carol Nemeroff e Paul Rozin chiesero a delle cavie se fossero disposte a indossare il pullover di un’altra persona. Le risposte variavano in base alla biografia del proprietario. Anche se era stato lavato a secco, per la maggior parte della gente era impossibile lavare via Adolf Hitler da un pullover.