
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri s’era sparsa la voce che Mubarak s’era dimesso, ma, in pochi minuti, è arrivata la smentita.
• Mi sembra una situazione simile a quella italiana. Tutti chiedono che un rais se ne vada e quello invece resiste.
Lei sta scherzando. In Italia non tutti vogliono la caduta di Berlusconi, che sta anzi bene nei sondaggi (e ancora meglio sta il Pdl). La manifestazione anti-Cav di ieri a Milano ha messo insieme diecimila persone, intellettuali di gran peso, intendiamoci (Umberto Eco eccetera), però alla fine solo diecimila e che fanno la guerra al Cavaliere da sempre. In Egitto manifestano contro il presidente in centinaia di migliaia, e nei giorni scorsi addirittura due-tre milioni. Si tratta di un popolo giovane, che ha in media 24 anni, vive con un paio di dollari al giorno e per il 70% è analfabeta. Ottanta milioni di persone compresse in un’area che equivale più o meno alla Toscana, dato che la maggior parte delle terre egiziane non è abitabile. Stanno in strada principalmente perché il prezzo del pane è alle stelle. Un paragone con l’Italia è semplicemente ridicolo.
• Sappiamo come fa Berlusconi a resistere al suo posto. Ma non capisco come fa a reggere Mubarak.
Il rais ha dato un paio di interviste e ha spiegato la cosa così: voi non conoscete l’Egitto, se abbandonassi il paese cadrebbe in pezzi. Cioè, scoppierebbe una delle più sanguinose guerre civili della storia, con conseguenze inimmaginabili su tutta l’area. Tra gli americani, che dovrebbero essere il punto di riferimento di quella crisi, sta emergendo questa opinione: teniamoci Mubarak e prepariamo la transizione. È quello che ha detto, proprio ieri, l’inviato speciale Usa Frank Wisner: «è necessario creare un consenso nazionale sulle precondizioni per affrontare il prossimo passo avanti. Il presidente deve restare in carica per guidare tali cambiamenti». Del resto è più o meno lo stesso pensiero che Berlusconi ha espresso l’altro giorno: «Mi auguro che possa esserci una continuità di governo nella transizione e auspico che avvenga una transizione democratica senza rotture con il presidente Mubarak, che tutto l’Occidente, Usa in testa, considera un uomo saggio». Frase dissonante, rispetto a quello che adesso si sente dire in giro, ma difficile da contestare. L’Occidente regge il gioco del presidente egiziano – senza fiatare – da trent’anni.
• Perché non costringerlo ad andarsene subito? Che potrebbe accadere?
La paura è che l’uscita di scena di Mubarak, senza che si sia organizzato l’itinerario della successione, determini un vuoto di potere molto pericoloso, tanto più che la rivoluzione in atto avrà come effetto sicuro una crisi economica ancora più grave di quella che ha provocato le manifestazioni. Le imprese sono a pezzi, il turismo è a zero, il rischio che il canale di Suez chiuda (rischio per ora remoto: la zona è presidiata metro per metro) ha fatto andare il prezzo del petrolio a 103 dollari il barile.
• Però è un presidente senza poteri, vero? L’altro giorno lei ci ha raccontato che non si presenterà alle elezioni di settembre.
Sì, il sistema di potere che lo ha sorretto in questi anni si sta squagliando. I vertici del suo partito (il Partito nazionale democratico) si sono dimessi proprio ieri, incluso il segretario generale Safwat el-Sherif. Fuori anche il figlio Gamal, un tempo candidato alla successione, circostanza che, nelle interviste di adesso, Mubarak ha negato. La scomparsa politica di Gamal, imposta dagli americani, è forse il segno che Mubarak svolge ora la funzione del fantoccio. Finché sta lì, tutti lo attaccano e non perdono tempo a farsi la guerra tra loro. Il nuovo segretario generale del partito si chiama Hossam Badrawi, è un medico che viene descritto come “liberale” (qualunque cosa significhi questa parola in quel contesto). Gli americani fanno sapere che sono partiti i colloqui tra governo e opposizione per gestire la transizione.
• I dimostranti sono scomparsi dalle piazze?
No, ieri hanno manifestato migliaia di persone e c’è un gruppo nutrito che non abbandona a nessun costo piazza Tahrir: ci passano anche la notte. La polizia e l’esercito hanno smesso di dargli fastidio. Anche ieri la gente è scesa per strada un po’ dappertutto. Si sono sentiti colpi d’arma da fuoco, è stata incendiata una chiesa a Rafah, vicino a el-Arash, nel Sinai, è saltato per aria un pezzo del gasdotto che porta il gas in Israele. Ma sarà subito riparato e nessuno s’è fatto male. Il ministro delle Finanze Samir Radwan si è anche scusato per i maltrattamenti subiti dai giornalisti e dai manifestanti. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 6/2/2011]
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