
1959-2011: lo Zecchino d’Oro
Zitti tutti, cantano i bambini
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il turismo va piuttosto bene, mentre il Pil è fermo, quindi si tratta di decidere se bisogna essere ottimisti o pessimisti.
• Lei che dice?
Moderatamente pessimisti.
• Il turismo non basta, eh?
La Cgia di Mestre ha diffuso ieri analisi entusiastiche del Ferragosto. È pieno dappertutto, quindi magnifico. Anche i dati dell’Enit, che hanno studiato con un po’ più di profondità l’andamento del 2015 e quello di inizio 2016, sono abbastanza sorridenti. Anche se trovo sconvolgente il nostro quinto posto nel mondo per gli arrivi (la classifica è Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina, il concetto di “arrivi” non è solo turistico, ma è molto turistico, altrimenti non si spiegano Francia e Spagna) e il nostro settimo posto per introiti (ci batte pure la Thailandia). Il segno “più” su quasi tutti gli indici del turismo è una consolazione, ma sappiamo bene che dipende dal contesto internazionale, il terrorismo ha spazzato via come mète possibili un sacco di posti. Dico però che con le nostre bellezze naturali, con le nostre opere d’arte, con la cucina, il clima, il mare e il resto non dovremmo avere rivali al mondo. E invece dal tempo del ministro Corona, in cui eravamo primi assoluti sul pianeta (1963-1968), ci arrabattiamo sempre tra quinto e settimo posto, posizioni che, col nostro patrimonio, andrebbero considerate umilianti. Penso che sia un problema di frammentazione delle competenze tra le Regioni, che questo sia un settore da riportare al centro e da governare dal centro, con una visione unitaria. Poi c’entreranno anche le solite cose, sottogoverno locale (il peggiore), malavita, corruzione e il resto. Discorsi lunghi. Il turismo vale dieci punti di Pil.
• Appunto, veniamo a questa storia del Pil.
Il Pil del secondo trimestre è rimasto invariato sul trimestre precedente. Che era cresciuto poco rispetto all’ultimo trimestre del 2015: appena dello 0,3%. Ma proprio l’andamento del 2015 è illuminante. Primo trimestre 2015: +0,4% sul 2014; secondo trimestre: +0,3%; terzo trimestre: +0,2%; quarto trimestre: +0,1%. Cioè in discesa perenne. Bisogna anche considerare che quelle sul Pil sono solo stime. Il dato vero lo sapremo tra un anno, e magari sarà peggiore, e a quel punto non ce ne importerà niente.
• Che conseguenze ha un Pil fermo?
Renzi e Padoan hanno abbassato la stima per il 2016 a un +1,2%, e l’avevano già abbassata a un +1,6. La conseguenza è questa. Si valutano deficit e debito sempre in rapporto al Pil. A proposito, lei ricorda che cos’è il Pil, vero? In ogni caso, definiamo Pil non solo tutto quello che produciamo, ma anche tutto quello che provoca un movimento di denaro, quindi se lei va in negozio e si compra un paio di scarpe, dà un contributo al Pil (in America, per il 70%, il Pil è determinato dai consumi). Allora: si valutano deficit e debito in rapporto al Pil, bisogna - anzi bisognerebbe - che il debito fosse pari al 60% del Pil, e non ci siamo, anzi l’ultimo dato segnala un aumento del debito di 70 miliardi. E poi bisognerebbe che il deficit fosse al 3% del Pil, e qui ci siamo, siamo molto sotto al 3%, proprio perché con quel debito la Ue ci impone di stare molto sotto. Ora Renzi vorrebbe avere dall’Europa la famosa flessibilità, e in una certa misura l’ha avuta, però questa flessibilità è piuttosto legata al dato del Pil, perché se il Paese non tira un minimo e continua a indebitarsi, i tedeschi potrebbero imporci di nuovo un rigore assoluto, tanto più che hanno le elezioni tra un anno e la Merkel non può far vedere troppo che aiuta quelle mani bucate degli italiani. Ecco il guaio di un Pil che non si muove. Potremmo essere costretti ad aumentare l’Iva, e altri disastri.
• Da che dipende questo Pil fermo?
C’è un po’ di congiuntura internazionale, l’area Ue nel secondo trimestre sarebbe cresciuta di poco (+0,3%), il petrolio è ancora basso e gli arabi si sono rimessi a pompare alla grande (e i libici vogliono tornare a un milione di barili al giorno, e vendono a più non posso pure gli iraniani). Poi le guerre in giro per il mondo non ci fanno bene. Ci metta un forte calo della produzione industriale (-0,4% a giugno, che significa un -1% su base annua), dovuto certamente al fatto che gli italiani spendono poco e le banche in crisi non fanno circolare denaro e non preparano il futuro. C’è poi la deflazione. I prezzi continuano a scendere, -0,4% a giugno, e come lei sa è una disgrazia. Il grano è addirittura precipitato del 42%. La Coldiretti dice: «Per noi è deflazione profonda, con i prezzi crollati per i raccolti e per gli allevamenti che non coprono più neanche i costi di produzione o dell’alimentazione del bestiame. Oggi gli agricoltori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè o quindici chili di grano per comprarsene uno di pane».
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