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 2016  agosto 13 Sabato calendario

IL TESORO DELLA PREMIER

Inizia nel weekend di Ferragosto il campionato di calcio più ricco del mondo, la Premier League inglese. Ormai un vero brand, un business ricco di sterline ma nelle ultime stagioni povero di titoli, tanto è vero che negli ultimi dieci anni le squadre inglesi hanno vinto solo tre trofei europei: due Champions (Chelsea 2012 e United 2008) e un’Europa League (Chelsea 2013). Negli stessi anni i club spagnoli ne hanno collezionati 13. I top team inglesi (Manchester United, Chelsea, Arsenal, Liverpool e Manchester City) hanno poi subito un altro affronto la scorsa stagione: vedersi il titolo nazionale soffiato sotto il naso dal Leicester di Claudio Ranieri, una delle più grandi sorprese sportive di sempre.
Per riprendersi il loro posto in cima al loro campionato e all’Europa i grandi club della Premier non hanno badato a spese. Hanno messo sotto contratto per cifre faraoniche tre dei quattro migliori allenatori del mondo senza ingaggio: Pep Guardiola (15 milioni di sterline l’anno dal City), Jose Mourinho (14 milioni dallo United) e Antonio Conte (6,5 milioni dal Chelsea. Come se non bastasse hanno spadroneggiato nel calciomercato estivo, strappando talenti a tutta Europa: il record è del City, che ha speso 165 milioni di sterline con il top acquisto di John Stones dall’Everton per 55,6 milioni. Dietro lo United (157 milioni spesi), che però ha piazzato il colpo più costoso di sempre: Paul Pogba, preso dalla Juventus per 105 milioni di euro. Ma non hanno speso solo i club più balsonati, la spesa totale delle squadre della Premier nell’estate 2016 è stata di 782 milioni di sterline, con un bilancio entrate uscite in rosso per quasi mezzo miliardi di sterline. Ma come fa la premier a permettersi queste spese folli? È davvero così più ricca di Bundesliga, Serie A, Ligue 1 e Liga Spagnola?
La risposta è sì. Anzi, il confronto con gli altri grandi campionati di calcio europei è quasi impietoso. Sempre nel 2014-2015, la Bundesliga tedesca era seconda ma staccata con oltre 2 miliardi di ricavi in meno (2,39 miliardi di euro il totale). Terza la Liga spagnola con 2 miliardi netti, solo quarta la Serie A, con 1,79 miliardi di fatturato. Ancora più impressionante: sommando insieme i proventi di Liga e Bundesliga si arriva solo a pareggiare il campionato inglese. Negli ultimi anni la Premier ha scavato un solco tra sé e le altre leghe professionistiche europee, che non solo non sarà colmato a breve, ma è destinato ad allargarsi. Le ragioni stanno sia nei meriti di club e lega inglesi sia nei demeriti dei loro equivalenti spagnoli, tedeschi e, soprattutto, italiani. Il fatturato della massima serie inglese nel 2012/2013 era di 2,94 miliardi di euro: in due anni è cresciuto del 50%. A titolo di confronto, i ricavi della serie A nello stesso periodo sono saliti solo del 6,8%, quelli della Bundesliga del 18,5%. Tra le inseguitrici l’unico balzo significativo è quello della Liga, che con un nuovo contratto sui diritti Tv dovrebbe essersi garantita un introito di quasi tre miliardi per il 2016-2017. Peccato che le proiezioni diano gli incassi dei club inglesi della Premier League a quasi 6 miliardi per la stagione oggi ai blocchi di partenza.
Il segreto del successo? Non ce n’è solo uno. La Premier si gode il suo fatturato da record trionfando in tutte le compenenti: proventi degli stadi, diritti TV e ricavi da sponsor e merchandising. La componente principale dei proventi è data però dai diritti TV, sia domestici sia esteri, che nel 2015 hanno rappresentato il 53% del totale. L’accordo con Sky e British Telecom Sports, per la trasmissione dei match del triennio 2016-2019 in Inghilterra, è stato per la Premier League un vero e proprio salto di qualità. Il contratto è stato firmato nel 2015 e valorizza le tre stagioni interessate un totale di 5,14 miliardi di sterline, da distribuire equamente tra i venti club. La sola Sky Sports ha sborsato 4,17 miliardi, oltre l’80% del totale. Si tratta di 168 partite ogni anno, di cui 126 (il 70%) saranno trasmesse da Sky, mentre le restanti 42 saranno diffuse da BT. Il costo medio per match è di 10,2 milioni di sterline.
Con questo deal la massima serie inglese si è messa al pari delle grandi leghe professionistiche dello sport Usa. Anzi, ha addirittura superato la Mlb americana di baseball in termini di proventi annui, arrivando al pari della Nba di basket con l’equivalente di 1,7 miliardi di sterline a stagione. Ancora inarrivabile la Nfl di football, che si vede versare dalle emittenti americane quasi 5 miliardi di dollari l’anno. Già questo accordo garantisce ai club inglesi ricavi monstre ma non si devono dimenticare i diritti per la trasmissione all’estero delle partite della Premier. Oltre 1,1 miliardi di sterline per il 2016-2017, di cui oltre il 31% arriva solo dall’Asia, mercato che ha ancora grandi margini di crescita.
E le altre leghe europee? Solo la Spagna tieni il ritmo, con un accordo sui diritti domestici per il triennio 2016-2019 che, al momento della firma, la poneva sullo stesso livello della Premier. Terza viene l’Italia: per il triennio 2015-2018 la Serie A incasserà da Sky e Mediaset 943 milioni di euro a stagione per i diritti domestici. Al cambio attuale si tratta del 30% in meno della Premier. Più indietro la Bundesliga: il 2016-17 è l’ultima stagione del vecchio accordo da 628 milioni annui nel quadriennio. Il nuovo accordo per i prossimi quattro anni frutterà ai club tedeschi 876 milioni di euro ogni stagione. Questa la situazione nei diritti domestici. Su quelli esteri, invece, l’Inghilterra mantiene un vantaggio sulld leghe di Real, Barcellona, Juventus e Bayern Monaco.
Tuttavia, non si vive di soli diritti TV e anche in questo campo i club della Premier possono essere di esempio a molti altri del vecchio continente. Quasi un quinto dei ricavi, 768 milioni di euro, viene dagli stadi, spesso di proprietà dei club. Ogni partita della massima serie inglese vede gli spalti pieni al 96%, con oltre 36 mila spettatori di media. A livello di singolo club la differenza può essere molto grande: si vai dai 100 milioni di sterline che l’Emirates Stadium ha portato nel 2015 all’Arsenal agli 8 milioni che lo Swansea ha ricavato dal suo Liberty Stadium. Comunque una base di ricavi solida, che risente poco anche delle retrocessioni: in Championship (la serie B inglese) il Middlesbrough si è portato a casa 4 milioni di sterline dallo stadio. La Juventus, il maggiore club italiano con uno stadio di propietà (gli altri sono Udinese e Sassuolo), ha incassato dai biglietti l’equivalente di 40 milioni di sterline nel 2015.
Solo la Bundesliga tiene il passo della Premier in termini di ricavi da biglietti staccati: 521 milioni di euro. Il bilancio complessivo degli stadi della Serie A è sconfortante: nel 2015 210 milioni di euro di ricavi, 21mila spettatori di media e stadi pieni appena al 52%. Anche la Ligue 1 fa meglio di noi.
C’è poi il capitolo marketing e sponsor. Si parla di 1,3 miliardi di euro l’anno per i club inglesi. Il doppio delle squadre della Liga, quasi tre volte quelle della Serie A. I grandi club inglesi sono dei veri e propri brand di livello mondiale, con una fama che solo Barcellona, Real Madrid e in misura minore Bayern Monaco riescono a eguagliare. Il Liverpool, le due squadre di Manchester, l’Arsenale e il Chelsea hanno incassato tutte più di 100 milioni di sterline l’anno di proventi commerciali, tra marketing e sponsorizzazioni nel 2014-15. La Juventus e il Milan, le due migliori italiane, sono rispettivamente all’equivalente di 52 e 70 milioni di sterline. Circa quanto il Tottenham, che ha vinto il suo ultimo trofeo internazionale nel 1983.
Ma qual è il fatturato dei singoli club? La media del 2014-15 è stata di 167 milioni di sterline di ricavi per i team inglesi (88 milioni quella spagnola, 77 quella italiana, 115 quella tedesca).
Si tratta di una cifra indicativa, visto che comprende i 395 milioni di sterline del Manchester United come gli 78 milioni del Burnley. Tuttavia, dei venti club ai nastri di partenza della Premier oggi, solo cinque nel 2014-15 hanno visto ricavi sotto i 100 milioni di sterline. Tre di essi, Middlesbrough, Bournemouth e Watford durante quella stagione militavano nella Championship. Le altre due, Hull City e West Bromwich Albion, hanno comunque incassato tra gli 80 e i 100 milioni di sterline. In vetta, dietro ai Red Devils da record, ci sono il Manchester City (352 milioni), l’Arsenal (345 milioni), il Chelsea (319 milioni e il Liverpool (298 milioni). Tutte hanno visto ricavi commerciali (sponsor e merchandising) e da diritti TV ognuno sopra i cento milioni di sterline.
Il fatturato è certamente notevole, ma questi club fanno utili? La risposta è sì, sorprendente per il pubblico italiano, abituato a club calcistici che sono veri falò per i patrimoni dei loro proprietari. Dei venti club della Premier League 2014-15, la maggioranza, 14, ha generato utili, per un profitto totale pre-tasse di 121 milioni di sterline. Con alcune sorprese, tra cui il Manchester City dello sceicco Mansour. A dispetto delle spese folli che lo avevano reso famoso nei suoi primi anni al timone del City, il club di Manchester ha chiuso il 2014-15 in utile di 10 milioni di sterline e con 8 milioni di cassa. La più profittevole è però il Liverpool, con 60 milioni di utile.
E il debito? Sotto controllo. Dei 20 club, solo tre hanno una posizione finanziaria in rosso a tre cifre e solo uno, il Chelsea, ha un debito superiore ai ricavi (un vero e proprio mostro da 1,1 miliardi di sterline).
Ricavi e profitti attirano investitori esteri. In principio fu il russo Roman Abramovich, poi venne lo sceicco Mansour. Non più magnati famosi per le molte spese folli e i pochi trofei vinti, ma investitori con il pallino del calcio, ma un occhio anche al ritorno economico. Anche chi nel passato si fece notare per le follie sul mercato, oggi ha messo un po’ di ordine nei conti e vinto qualche titolo.
Ma i club restano terreno di conquista. Dei venti club della Premier solo sette sono in mani unicamente britanniche, mentre uno è a proprietà mista britannica-americana. Degli altri tredici, due sono controllati da miliardari russi, tre da investitori provenienti dal Medio Oriente (anche se due di questi hanno la cittadinanza inglese), quattro sono sotto controllo statunitense, uno è di proprietà svizzera (il Southampton) mentre il Leicester City campione in carica è del magnate thailandese Vichai Srivaddhanaprabha. Infine c’è la neopromossa Watford, controllata dalla famiglia Pozzo, patrona della nostra Udinese. Un esempio di come anche l’Italia sappia fare soldi con il calcio e conquistare un pezzo della patria dei maestri del football business.
di Antonio Lusardi, MilanoFinanza 13/8/2016