Barbara Cataldi, il Fatto Quotidiano 13/8/2016, 13 agosto 2016
“MADE IN ITALY”, MA IL GRANO VIENE DA UCRAINA E MESSICO
Pasta per bambini con cadmio e piombo, spaghetti al glifosato, grano duro con micotossine cancerogene. Basta scorrere la cronaca per capire cosa può nascondersi nel piatto più amato dagli italiani. Il Piano nazionale per la sicurezza alimentare del ministero della Salute registra 639.904 tra ispezioni e audit, 107.247 analisi, 59.480 provvedimenti amministrativi per non conformità e 1.028 notizie di reato, solo nel 2015. Ma evidentemente i controlli non bastano. Soprattutto quando manca la trasparenza in etichetta e la materia prima è oggetto di una feroce guerra economica, come accade per il pane e la pasta. Nell’ultimo anno, denuncia Coldiretti, le quotazioni del grano sono quasi dimezzate, ma il costo del prodotto sugli scaffali ha continuato ad aumentare: “Oggi gli agricoltori devono vendere quindici chili di grano per comprarne uno di pane”, dice la Coldiretti. Al contempo, l’aumento del prezzo dalla materia prima alla pasta venduta sugli scaffali dei negozi è del 400%, dal grano duro al pane del 1450%.
Di pasta ne consumiamo più di tutti, 28 kg a testa all’anno, siamo più bravi degli altri a produrla e sui campi siamo secondi solo al gigantesco Canada (quest’anno 6,2 milioni di tonnellate di grano duro loro, 4,5 noi). Eppure quasi un pacco di pasta su due contiene grano estero e persino un prodotto Igp (cioè a indicazione geografica protetta) come la pasta di Gragnano, può essere fatto con frumento ucraino o messicano. Secondo Coldiretti nel 2015 sono state importate 2,3 milioni di tonnellate di grano duro, circa il 40% del fabbisogno italiano. Il grano con cui è fatta la pasta che mangiamo quanti anni fa è stata raccolto? Nel paese da cui arriva che pesticidi utilizzano? E chi ha davvero controllato l’eventuale presenza di sostanze contaminanti?
Poche settimane fa gli investigatori del Corpo Forestale dello Stato hanno sequestrato più di 6.500 quintali di grano duro contaminato da micotossine. Era stipato in tre silos all’interno di un’azienda di stoccaggio in provincia di Foggia ed era destinato a essere trasformato in pasta e pane. Le analisi chimiche eseguite dall’Arpa di Bari hanno rilevato valori di Ocratossina A, pericolosissima per la salute umana, più alti del limite consentito di oltre il 50%. Questa micotossina, prodotta dai funghi Penicillium e Aspergillus che attaccano soprattutto i cereali, può finire in pasta, pane, biscotti, caffè, birra e cacao. Secondo l’Efsa, l’autorità per la sicurezza alimentare europea, è associata a patologie renali, tumore compreso. “L’Ocratossina A è classificata dallo Iarc come B2, sostanza potenzialmente cancerogena per gli umani e cancerogena per gli animali, ed è causa di nefrotossicità”, spiega Carlo Brera, dell’Istituto superiore di sanità. “Ed è una tossina di accumulo, cioè permane nell’organismo per 35 giorni”.
Le Ocratossine attaccano più facilmente i raccolti dove il clima è molto umido, come in molte aree del mondo da cui importiamo, e proliferano più facilmente quando le granaglie restano stipate per mesi sulle navi. Per questo i controlli fatti in porto ne hanno evidenziato spesso la presenza. Nel caso dei più piccini c’è addirittura chi associa la contaminazione del grano da micotossine, ma anche da metalli pesanti ed erbicidi, all’aumento di intolleranze alimentari e celiachia. “L’inquinamento della catena alimentare provoca infiammazioni nell’apparato digerente e “disregolazione” del sistema immunitario”. A sostenerlo è il dottor Maurizio Proietti, medico omeopata di Sulmona e presidente della commissione scientifica dell’Assis, l’Associazione di studi e informazione alla salute, creata da avvocati, medici e società civile a sostegno di campagne informative ambientaliste: l’ultima battaglia è quella contro l’uso indiscriminato di fitofarmaci come il glifosato in agricoltura. L’erbicida della Monsanto è stato recentemente dichiarato probabile cancerogeno e genotossico dallo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, ma ha ottenuto comunque il permesso di essere usato nella Ue fino alla fine del 2017 ed è largamente utilizzato anche al di là dell’Atlantico. Secondo la Federazione italiana movimenti agricoli, in Canada, primo paese da cui importiamo grano duro, 15 giorni prima del raccolto i campi vengono irrorati proprio col glifosato.
La materia prima nostrana, però, non è immune da rischi. “Il grano sequestrato in Puglia è italiano e proviene dal raccolto dell’anno scorso”, racconta il comandante Angela Malaspina alla guida del corpo Forestale di Foggia, “abbiamo posto i sigilli ai silos e denunciato il responsabile legale dell’azienda per detenzione di sostanze alimentari alterate. Ora stiamo indagando per verificare altre responsabilità”. Negli stessi impianti di stoccaggio era presente anche grano estero, conservato in perfette condizioni igieniche. Ma perché lasciare ammuffire tonnellate di grano duro Made in Italy invece di venderlo per tempo all’industria di trasformazione? Il frumento pugliese contaminato potrebbe essere un’altra conseguenza distorta della guerra del grano di queste settimane. Forse il grossista che lo ha tenuto accatastato per tanti mesi in un silos aveva interesse a conservarlo, per spuntare prezzi migliori agli agricoltori al momento del raccolto. O forse aspettava di acquistare frumento italiano della nuova campagna per miscelarlo con quello vecchio e nascondere la contaminazione.
Barbara Cataldi, il Fatto Quotidiano 13/8/2016