la Repubblica, 13 agosto 2016
Tutti i viaggi di Maya Sansa
«Mia madre era una donna tutta Va’ dove ti porta il cuore, anzi “dove ti portano i sogni”. Mi ha insegnato l’importanza della libertà. Mia nonna era la donna concreta, presente, ferma, che mi ha educato al fare e alla costanza, all’impegno e alla determinazione, indispensabili per poter realizzare quello in cui credi. Io ho vissuto tra queste due donne indipendenti, comprendendo il temperamento di entrambe. A 18 anni, dopo il liceo, mia nonna mi regalò una vacanza a Cambridge per studiare l’inglese e dall’Inghilterra non sono più tornata. Poteva sembrare una fuga. Invece io volevo tagliare il cordone ombelicale, scoprirmi, trovare un altrove».
Stessa grinta, stesso sorriso, stessa faccia illuminata, Maya Sansa da allora non ha più smesso di viaggiare e amare il viaggio: Brasile, Iran, Libano, Canada, Argentina... Quarant’anni, i grandi occhi neri, i capelli lunghi neri, l’aria intelligente ma senza tic intellettuali, seducente ma non vistosa, vivace ma non frenetica, è una girovaga “nata”: suo padre è iraniano venuto in Europa, sua nonna è nata a Vienna, cresciuta in Istria e poi in Italia. Lei, romana, vive a Parigi con il compagno, l’attore Fabrice Scott, che è canadese di origini franco-irlandesi, e la loro figlia Talitha, tre anni, ha già un passaporto pieno di timbri come un turista giramondo.
«Siamo tutti un po’ nomadi in famiglia. Anche mia nonna che ha la sua bella età, non ci ha pensato due volte, e si è appena trasferita da Roma anche lei a Parigi», dice Maya confessando di vivere con levità e consapevolezza, tra il ruolo di mamma, moglie e quello dell’attrice in giro per i set, tra la voglia di stare ferma, costruire radici a Parigi, con l’asilo di Talitha, la spesa, il parrucchiere, e le “salutari” fughe di lavoro. «Da piccola sognavo mestieri che mi portassero sempre di qua e di là per il mondo: la zoologa, l’assistente di volo, anche pilota. Poi ho capito che potevo combinare questa aspirazione con l’altra mia grande passione, la recitazione. È grazie al cinema che ho fatto viaggi bellissimi».
Maya Sansa è stata l’attrice dei film più belli di questi anni di Marco Bellocchio, nel ’99 La balia suo esordio nel cinema, Buongiorno notte, Bella addormentata con cui ha vinto il David di Donatello come miglior attrice non protagonista nel 2013; ha emozionato, e non solo per gli occhi neri, nel ruolo della saggia Mirella in La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, e oggi appare ancora diversa nel ruolo della divertente, scombinata Sara di
Tutto può succedere la fiction di successo di Raiuno che proseguirà nella nuova stagione e le fa fare molti Parigi-Roma andata e ritorno per il set. «Non mi sono mai sentita straniera all’estero. Quando mi fu chiaro che volevo fare l’attrice, per esempio, mi fu altrettanto chiaro che sarei andata a Londra, che non sarei rimasta a Roma a cui, pure, sono molto affezionata, perché la mia passione era Shakespeare con gli attori inglesi. Gary Oldman, Tim Roth, Daniel Day Lewis... A Londra ho lavorato come maschera in un cinema per mantenermi e perché guardando i film, intanto, imparavo bene l’inglese, e forse grazie anche a questo esercizio fui ammessa alla Guildhall School dove mi sono diplomata. E dove mi sono fatta tanti amici. Poi il lavoro mi ha portato in giro. Dopo che La balia venne presentato a Cannes, per esempio, Bellocchio veniva invitato in mezzo mondo ma era strapieno di impegni, così capitava che mi diceva «Maya vai tu». E io ero sempre pronta, con la mia valigia. Sono stata in Sud America, sono stata a Beirut quando la città si ricostruiva a dieci anni dalla guerra e aveva voglia di vivere, con i musulmani che facevano festa con i cristiani, e una gran bella energia intorno. E poiché viaggiare vuol dire incontrare, a Beirut conobbi un diplomatico, Giorgio, una persona che amava la vita, rividi Talal un amico liba- nese di Londra: insieme, loro mi hanno fatto conoscere una Beirut che non avrei mai visto. La sera nei ristoranti, finita la cena, si ballava sui tavoli. In me fu come risvegliare l’anima mediorientale».
La grande emozione, infatti, fu il viaggio in Iran. “Alla ricerca delle radici”, si potrebbe titolare, in un luogo fino a quel momento raccontato, immaginato, mai visto. «Erano gli anni di Khatami, un po’ più tolleranti di quelli di Ahmadinezhad. Ho conosciuto i miei nonni paterni che vedevo per la prima volta. È stato qualcosa di molto forte. Indimenticabile per me. In Iran, poi, la creatività e vivacità li senti a pelle. Anche la ribellione interna. I giovani ti danno l’idea di non poterne più. Tocchi con mano cosa voglia dire un regime totalitario». Il viaggio più avventuroso fu in Argentina, nel ghiacciaio Perito Moreno «che visitammo di notte, con la luna piena che illuminava i ghiacci e un silenzio assoluto: una esperienza mistica e fortunata. Ma il più bello è stato forse in Quebec, durante le riprese nel 2010 di Voyez comme ils dansent di Claude Miller, d’inverno, in mezzo alla neve. Giravamo queste scene in posti meravigliosi e l’emozione mi sovrastava a tal punto che mi immalinconivo, per la nostalgia di quando non sarei più stata li. È una cosa un po’ persiana, questa: la nostalgia per ciò che perdi. James Thiérrée, l’attore con cui giravo, mi prendeva in giro. C’è da dire anche che io facevo la parte di una indiana d’America, e per me la storia dei nativi era un simbolo della mia infanzia, legato al percorso politico di mia madre che era un po’ figlia dei fiori, una ragazza degli anni Settanta, quando i valori degli indiani d’America, la loro storia e persecuzione venivano riscoperte. Un po’ è anche che sono fatta così: in me i sentimenti strabordano, nel bene e nel male. Per esempio, sono una persona positiva, solare ma in certi momenti sprofondo nel buio. Fabrice, che mi conosce, mi dice “ok amore, sono i giorni no”. È la sensibilità mediorientale che mi fa vedere le voragini. Fortuna che crescendo si diventa più saggi. E recitare mi aiuta, perché ogni personaggio è un viaggio: nella sua vita, nel suo mondo».
Quando parla di lavoro si illumina di passione. «La figura di Sara in Tutto può succedere mi è piaciuta da subito. Mi ci sono affezionata e sono contenta per come evolverà nei nuovi episodi che stiamo registrando e che andranno in onda a febbraio. Questa fiction è arrivata al momento giusto, mi ha portato leggerezza. Un po’ mi imbarazza il successo popolare che mi ha dato, quello che quando sei in strada a Roma mi fermano, “ma tu sei Sara...”. Ero abituata a spettatori più discreti». Ma ci sono state anche le riprese di La verità sta in cielo, il film di Roberto Faenza, sul caso di Manuela Orlandi, con Riccardo Scamarcio che uscirà il 6 ottobre. «Un film delicato, sensibile, con piccole rivelazioni. Io sono una giornalista angloitaliana che lavora per un giornale inglese e faccio riaprire l’inchiesta».
Per questi impegni, nei mesi scorsi ha fatto spesso Parigi-Roma e ritorno. «Con tutto quello che sta succedendo confesso che quando prendo un aereo o sono in aeroporto qualche timore mi passa per la testa, ma è anche vero che chiudersi in casa o cambiare i nostri comportamenti sarebbe un errore, per tutti. Io, poi, in aereo sto bene, mi sento libera da tutto, dagli impegni, dal cellulare, rivedo quello che mi è successo negli ultimi mesi, anche anni. Mi appunto date, prendo delle note che poi mi mando via mail. Il volo per me è il momento in cui riordino la mia vita, metto a posto le cose, faccio programmi per il futuro. Mentre il viaggio è la scoperta, una pagina nuova, sapendo che del partire è bello il ritorno: il calore e l’accoglienza che trovo quando rientro a casa».