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 2016  agosto 13 Sabato calendario

GIOCO DI COPPIA– [Cecilia Alemani e Massimiliano Gioni] Cecilia Alemani e Massimiliano Gioni sono la power-couple italiana dell’arte

GIOCO DI COPPIA– [Cecilia Alemani e Massimiliano Gioni] Cecilia Alemani e Massimiliano Gioni sono la power-couple italiana dell’arte. Lei è la curatrice della High Line di New York, dei Frieze Projects e del Padiglione Italiano della prossima Biennale d’Arte a Venezia. Lui ha curato la Biennale del 2013 e ora è il direttore artistico del New Museum di New York e della Fondazione Trussardi di Milano. Vivono tra Manhattan e il capoluogo lombardo e hanno un figlio di nome Giacomo (Gigi). Li abbiamo incontrati per questa speciale intervista doppia. Come vi siete conosciuti? Cecilia: «A San Sebastian nel 2004, in occasione di Manifesta, biennale itinerante che si teneva nei Paesi Baschi». Massimiliano: «No, la primissima volta fu l’anno prima. All’inaugurazione della mostra di Elmgreen e Dragset, alla Fondazione Trussardi a Milano». Due curatori sotto lo stesso tetto: c’è competizione in casa? C: «No, al massimo ci si aiuta». M: «Nessuna competizione, ma Cecilia mi invidia: io al New Museum ho i muri ai quali appendere le opere, lei sull’High Line li può mettere solo all’aperto». Qual è la sfida più difficile oggi nel vostro lavoro? C: «Realizzare la visione dell’artista, senza compromettere la propria». M: «Riuscire a imporre una visione critica e una narrazione delle opere d’arte senza schiacciarle o appiattirle, ma lasciandole essere se stesse. “Capire i limiti dell’interpretazione”, avrebbe detto il rimpianto Umberto Eco». E qual è il problema su cui più vi arrovellate nel mondo dell’arte oggi? C: «Quali artisti resteranno davvero?». M: «La relazione tra arte e mercato. Con i prezzi che troppo spesso vengono scambiati come misure oggettive della qualità di un’opera o di una “firma”». Tra i successi, quale vi è più caro? C: «X Initiative, spazio espositivo sperimentale no profit che ho gestito nel 2009-2010, in cui ho potuto lavorare con bravissimi artisti e nel mezzo di una recessione, scoprendo che i limiti di budget potevano diventare stimolanti». M: «Io vedo solo gli errori nelle mie mostre. Però la Biennale di Venezia del 2013 credo sia venuta bene, così come La Grande Madre a Milano. O Chris Ofili al New Museum: la mia prima vera mostra di pittura». L’opera d’arte che vi ha commosso di più? C: «Rat and Bear (Sleeping) di Fischli and Weiss, 2008, vista al Guggenheim di New York per la retrospettiva del duo svizzero. Un’opera intrisa di amicizia e tenerezza, ancora più commuovente dopo la morte di David Weiss». M: «Il taccuino di disegni di MM, che documentano la vita quotidiana a Auschwitz e fu ritrovato sepolto sotto terra dopo la liberazione del campo. Un documento devastante, mai terminato forse a causa della morte dell’autore». Quale artista del passato avreste invitato volentieri a cena? C: «Gino De Dominicis». M: «Marcel Duchamp». Un curatore è un artista mancato? C: «No, non lo penso per niente». M: «E se fossero gli artisti a essere curatori mancati?» Voi che cosa collezionate? C: «Scarpe e borsette. Ma in maniera mai abbastanza sistematica purtroppo: mi sembra sempre di non avere le scarpe che voglio o che mi servono davvero». M: «Libri, ma in maniera mai abbastanza compiuta: penso sempre di non avere il libro che vorrei o servirebbe davvero». Cos’ha New York che Milano non ha? C: «I taxi che costano il giusto. E tutto è praticamente aperto 24 ore al giorno». M: «Quasi dieci musei d’arte, tutti con i più alti standard internazionali. E poi centinaia di gallerie». E Milano, che New York non ha? C: «La focaccia di Bottarelli in via Omboni». M: «Pane e pasta buoni come da noi». Vi sentite più “italiani” a New York o in Italia? C: «In Italia, sicuramente». M: «In Italia sentirsi italiano a volte è un peso. A New York può essere esotico». Chi cucina meglio tra voi due? C: «Decisamente io. Massimiliano ha cercato di avvelenarmi una volta con una pasta all’amatriciana e da quel momento non ha più osato avvicinarsi ai fornelli». M: «Cecilia, senza dubbio. Ho cucinato per lei solo una volta e ne parliamo ancora con terrore». Che cosa mangiate a colazione? C: «Pane e marmellata, possibilmente di arance amare, una tazza di latte freddo, un frullato di frutta e un caffè». M: «Mangio quello che mangia Cecilia». Che cosa vi rende felici? Cecilia: «Nostro figlio: Gigi». Massimiliano: «Cecilia, il Gigi e le belle mostre». Che cosa vi fa stare svegli la notte? C: «Gigi che parlotta nel sonno». M: «I budget delle mostre, purtroppo. Perdo più ore di sonno per questioni di soldi che per qualsiasi altra ragione». Qual è la vostra paura più grande? C: «Che un gorilla si porti via mio figlio». M: «Scoprire che le mie idee sono completamente sorpassate. E inutili». E il difetto più grande? C: «Arrossire». M: «La testardaggine». Cosa avete imparato dai genitori? C: «A essere generosa e a non mettere i gomiti sul tavolo». M: «Dedizione, passione e rispetto per quello che si fa». Il libro che vi ha cambiato la vita? C: «La storia dell’occhio di Georges Bataille». M: «Troppi da elencare. Nel campo dell’arte Pop Art e La smaterializzazione dell’oggetto, entrambi di Lucy Lippard; Arte povera di Germano Celant; i libriccini A mano calda di Achille Bonito Oliva, editi da Mazzoli». Viaggiare tanto per lavoro: cosa vi pesa di più? C: «Il jet lag». M: «Le code alla security e alla dogana. E quando viaggiamo separati non essere insieme o non stare con Giacomo». Che cosa vi terrà occupati dall’estate fino all’anno nuovo? C: «Comincia la corsa contro il tempo per il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. E poi dovrò finalizzare la stagione 2017 della High Line e i progetti dei Frieze. Di solito la primavera è sempre pienissima, ma la prossima sarà un vero tour de force». M: «Mi sono ripromesso di viaggiare un po’ meno. Al New Museum, dopo la presentazione del Teddy Bear Project di Ydessa Hendeles accanto ad altre collezioni eccentriche, ci prepariamo a ospitare a ottobre la mostra di Pipilotti Rist». E le vacanze? Mare o montagna? C: «Mare: Sicilia, Grecia o Portogallo». M: «Mare. E anche città: New York, Londra, Parigi». Qual è il vostro “piacere proibito” preferito? C: «Il Banana Split». M: «Le serie tv». Come vorreste essere ricordati? C: «Come una brava mamma, un’amica fidata e una curatrice rispettosa». M: «“Ingegnere del tempo perduto” è una bellissima definizione di Duchamp. Ma temo che sarò al massimo ragioniere a tempo perso, visto che da curatore devi sempre tenere d’occhio budget e scadenze. Mi piacerebbe si dicesse che ho fatto delle belle mostre e che ho spinto gli artisti a dare il meglio di sé, e le opere a parlare da sole o in dialogo con le altre opere. Fuori dal lavoro, spero di essere ricordato come una persona generosa e gentile». Da piccoli cosa sognavate di fare? C: «L’archeologa». M: «Il pompiere».