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 2016  agosto 13 Sabato calendario

MENO MANETTE, PIU’ DOMICILIARI E POCHE INGIUSTE DETENZIONI

Il ricorso al carcere preventivo diminuisce a vantaggio delle misure cautelari alternative, che sono diventate più della metà del totale. Peraltro, là dove scattano le manette, quasi sempre arriva una sentenza di condanna: la percentuale di «smentite» per effetto di una sentenza di assoluzione è infatti «ridottissima».
Così si legge nella prima relazione al Parlamento sull’applicazione della riforma delle misure cautelari (legge 47 del 16 aprile 2015). Un bilancio «confortante», scrive il ministero della Giustizia nelle 18 cartelle giunte alle Camere il 14 luglio, con annessi allegati. Tradotto in cifre: su 12.959 misure emesse dal 35% dei Tribunali interessati nei primi dieci mesi di vita della riforma, la custodia cautelare in carcere è stata disposta 6.016 volte (46%) mentre negli altri casi (più della metà) si è scelto il ricorso alle “alternative”, dall’obbligo di firma agli arresti domiciliari, che hanno toccato quota 29%. Inoltre, dei 3.743 procedimenti “cautelari” iscritti nel 2015 «soltanto 42» sono stati chiusi con una sentenza definitiva di assoluzione, mentre 156 con una sentenza assolutoria non definitiva. «Le assoluzioni definitive – si legge nel documento inedito - impattano 14 procedimenti con misura carceraria e 15 con misura detentiva domiciliare. Quelle non definitive, 69 procedimenti con misura carceraria e 52 con misura degli arresti domiciliari».
È l’articolo 15 della legge “contro le manette facili” a imporre la relazione annuale alle Camere ma il Ddl di riforma del processo penale – che dal 13 settembre torna all’esame dell’Aula del Senato – rimpolpa quest’obbligo informativo aggiungendo che la relazione debba contenere anche i dati sulle sentenze per “ingiusta detenzione” pronunciate nell’anno precedente, specificando le ragioni in base alle quali sono state accolte le domande di riparazione, l’entità del risarcimento e i dati sul numero dei procedimenti disciplinari iniziati per “ingiusta detenzione”, con relativo esito. Una norma voluta dal Centrodestra per spingere i titolari dell’azione disciplinare ad attivarsi contro le toghe “colpevoli” di manette facili.
In questa prima rilevazione, per una serie di difficoltà solo 48 Tribunali su 136 hanno risposto alla richiesta di dati del ministero; per lo più uffici di dimensioni medio-piccole, ad eccezione di Napoli (in 7 casi, si tratta di Direzioni distrettuali antimafia). Pur con questi limiti, però, la rilevazione «fa emergere dati confortanti» scrive il ministero con riferimento al rispetto dello spirito e dello scopo della riforma, cioè rendere «residuale» l’uso della custodia cautelare in carcere, valutando le esigenze cautelari (pericolo di fuga, di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove) alla luce della loro «attualità» e con lo sguardo al futuro, ovvero verificando che alla fine del processo la pena detentiva da eseguire non superi i 3 anni (poiché in questi casi scatta la sospensione condizionale, la legge esclude il carcere preventivo).
Il fulcro della riforma è nell’«attualità» del pericolo, che nella nuova versione dell’articolo 274, lettera c), Cpp, oggi va verificata anche rispetto al pericolo di recidiva, per il quale non basta più la gravità astratta del delitto. Su questo punto, anche la Cassazione è stata netta. Con una sentenza di fine giugno (n. 24476/16), la VI sezione penale precisa, tra l’altro, che «la previsione dell’attualità del pericolo – accanto a quella della concretezza – consente di ritenere che la ratio complessiva della legge 47/2015 dev’essere individuata nell’avvertita necessità di richiedere al giudice un maggior e più compiuto sforzo motivazionale in materia di misure cautelari personali e di loro graduazione, onere che assume rilievo ancora maggiore quanto più ampio sia lo spettro cronologico che divide i fatti contestati dal momento dell’adozione dell’ordinanza cautelare». In sostanza, quanto più lontani nel tempo sono i fatti-reato, tanto più motivata dev’essere la pericolosità del soggetto di cui si chiede l’arresto in carcere, «giacché a una maggiore distanza temporale dal fatto corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari».
Dalla relazione risulta che delle 12.959 misure emesse nel 2015, 1.430 sono obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria, 497 allontanamenti dalla casa familiare, 1.288 divieti e obblighi di dimora, 3.704 arresti domiciliari, 6.016 custodie cautelari in carcere, 24 custodie in luogo di cura. «Questo dato – si legge – è certamente rilevante in quanto indica che la misura cautelare è stata utilizzata meno della metà delle volte in cui l’autorità giudiziaria ha emesso un’ordinanza di misura cautelare personale nel 2015. Altro dato interessante è che la misura degli arresti domiciliari è stata applicata nel 29% dei casi».
Il focus su Napoli rivela che il Tribunale ha emesso 2.275 misure cautelari personali nel 2015. Qui le manette sono scattate 1.227 volte «ma il dato che interessa di più» è quello da cui si evince che l’utilizzo delle manette «avviene quasi esclusivamente nei casi in cui si giunge a una condanna»: su 321 procedimenti in cui si è fatto ricorso al carcere preventivo e nei quali è stata emessa una sentenza, ben 282 (91%) si sono conclusi con una condanna.