varie, 13 agosto 2016
APPUNTI SULLA SCUOLA PER L’APERTURA DEL FOGLIO ROSA – ILARIA VENTURI, LA REPUBBLICA 11/8 – Bravi, bravissimi i diplomati italiani: aumenta chi ha conseguito il diploma con una votazione superiore all’80 su 100, continuano a calare i 60, chi passa cioè col minimo
APPUNTI SULLA SCUOLA PER L’APERTURA DEL FOGLIO ROSA – ILARIA VENTURI, LA REPUBBLICA 11/8 – Bravi, bravissimi i diplomati italiani: aumenta chi ha conseguito il diploma con una votazione superiore all’80 su 100, continuano a calare i 60, chi passa cioè col minimo. Ma soprattutto crescono in modo vertiginoso le lodi: 5.133 conquistate in tutte le scuole italiane, 1.237 in più rispetto al 2015 (l’1,1% contro lo 0,9 dello scorso anno). Un record detenuto dagli studenti del Sud. Solo i super-maturi in Puglia e Campania sono 1.647, praticamente uno su tre. Un numero che non si raggiunge nemmeno mettendo insieme le lodi ottenute dai diplomati della Lombardia, Veneto e Piemonte. Guardando alle singole regioni, la Puglia è da primato, con 934 lodi (2,6%), in lieve aumento rispetto al 2015 (2,3%). Seguono Campania, con 713 “cento e lode” e la Sicilia con 500. L’Emilia Romagna si ferma a 328, la Toscana a 222. Si chiude così la Maturità 2016, secondo la fotografia scattata ieri dal ministero all’Istruzione. Ma immediatamente si riapre la polemica sul divario tra Nord e Sud nelle votazioni e sul valore legale del titolo di studi. Se migliorano i risultati in generale — gli ammessi all’Esame sono stati il 96%, i promossi il 99,8% — sono le differenze nei voti a far discutere. In Calabria, ad esempio, più dell’8% dei maturandi ha preso 100 e addirittura il 2% la lode. Più del doppio di Lombardia e Veneto, quasi il doppio del Lazio. Performance non confermate dai test Invalsi e dalle rilevazioni internazionali, come Ocse-Pisa, che invece descrivono un quadro della qualità degli apprendimenti di segno diverso, con quasi tutte le regioni del Sud molto al di sotto delle medie europee ed italiana. «Il dislivello è sorprendente, anche se non nuovo. Ma la lettura degli insegnanti dalla manica larga al Sud è un modo banale di guardare al problema: occorre considerare il contesto, le relazioni, tenendo presente anche che sono i docenti del Sud a insegnare al Nord», avverte Anna Maria Ajello, presidentessa dell’istituto Invalsi, caldeggiando il decreto sulla valutazione che dovrebbe introdurre la prova Invalsi alla Maturità. «Così faremmo piazza pulita di questo problema: una prova unica, da Nord a Sud, svolta e corretta a computer, che darà risultati certificati e uniformi, più obiettivi ». Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, non ha dubbi rispetto alla «poca affidabilità » dell’esame di Maturità che non consente la confrontabilità degli esiti a livello nazionale. «Alle commissioni è lasciata eccessiva discrezionalità nella valutazione — spiega — Infatti, le università si fidano poco di questi giudizi e gli stessi datori di lavoro non danno più peso al voto di Maturità. Così l’esame serve a poco, in primo luogo agli studenti. L’unica strada per riformarlo è fare come in altri paesi europei, dove esistono prove standardizzate e criteri di correzione e valutazione comuni a livello nazionale». «È una scuola a due velocità», commenta Mario Rusconi, vicepresidente dell’associazione nazionale presidi. «Gli studenti del Trentino hanno i risultati migliori d’Europa e lo 0,6% delle lodi: qualcosa non torna. La scuola si deve interrogare su questo. Per uscirne va introdotto l’Invalsi alla Maturità». *** VALENTINA SANTARPIA, CORRIERE DELLA SERA 11/8 – Un diplomato con lode su cinque in Italia vive in Puglia: anche quest’anno sono gli studenti del Sud a fare incetta dei voti più alti alla maturità, facendo impallidire i risultati degli studenti del Nord. In barba alle statistiche dell’Ocse, che dicono che il Sud arranca in fondo alla classifica delle competenze in matematica e italiano degli allievi 15enni, sono stati 934 i diplomati con lode in Puglia, il 2,6% del totale, un record sui 5.133 di tutta Italia, e 146 in più rispetto allo scorso anno, quando già la regione aveva conquistato il primato della più «encomiata». E anche Campania e Sicilia mantengono le loro posizioni, con rispettivamente 713 (erano 455 lo scorso anno) e 500 (372 nel 2015) diplomati con il massimo dei voti. Un boom di 100 e lode che non si registra in altre regioni, soprattutto non al Nord: in Lombardia solo in 300 sono riusciti a conquistare l’encomio, meno di un terzo degli studenti pugliesi; in Emilia Romagna sono stati leggermente di più, 328, ma sempre meno della Calabria, dove 334 ragazzi si sono licenziati col premio più alto. Mentre le prove Invalsi dicono che al secondo anno gli studenti del Nord ottengono punteggi superiori alla media italiana sia in italiano che in matematica, la mappa dei voti al diploma smentisce: in Veneto sono stati 276 i superbravi, in Piemonte 225, in Toscana 222, in Liguria appena 87, fino ad arrivare al minimo dei 24 lodati nella provincia autonoma di Trento. Cioè la stessa area geografica dove gli studenti di seconda classe, negli ultimi test per valutare le competenze di italiano e matematica, hanno avuto i migliori risultati in assoluto. Mentre la Sardegna, dove alle prove Invalsi di matematica i ragazzini hanno fatto peggio di tutti gli altri studenti italiani, ha comunque conquistato un bottino di 100 maturati col massimo dei voti. Vero è che i 100 e lode sono aumentati in tutta Italia (+1,1%), e che i voti in generale sono migliorati, con i 100 passati dal 4,9% al 5,1%, e i risultati più bassi diminuiti (i 60, per dire, sono passati dall’8,6% all’8%). Segno di una crescita generale delle performance degli studenti, soprattutto nei licei — dove l’1,9% ha preso la lode e il 7,3% il 100 — ma anche nei Tecnici e nei Professionali, dove aumentano i 100 e i voti sopra il 70. Ma gli scrutini degli studenti del Sud, aree dove secondo l’Ocse gli apprendimenti sono vicini a quelli della Turchia, surclassano quelli del Nord, che insegue la Finlandia. La questione non è solo politica, ma anche economica. Dieci anni fa fu introdotto un premio in denaro per i maturati con lode: un assegno ministeriale di mille euro, tagliato poi a circa 600. Agli studenti del Sud viene dato un «aiutino»? «No, i nostri ragazzi sono davvero bravi — assicura Salvatore Giuliano, preside dell’istituto Majorana di Brindisi, con 29 “lodati” —. Anzi, ho notato una particolare severità nelle commissioni: chi aveva 25 punti di credito e la media più alta del 9 non ha avuto la lode». E com’è possibile che a 15 anni i ragazzi siano scarsi e poi diventino geni? «Le statistiche verificano solo italiano e matematica — rivendica Giuliano — e poi quella è l’età critica, in cui c’è la percentuale più alta di bocciati e rimandati. Dopo, chi supera lo scoglio emerge». Eppure la Puglia risulta anche la regione con più promossi d’Italia (75,6%), subito dopo l’Umbria (75,7%) e prima della Calabria (74,5%). I prof del Sud meno severi? «Non credo — replica Patrizia Grima, che insegna latino e greco al classico Flacco di Bari —. L’eccellenza parte da lontano e quando i ragazzi studiano seriamente è importante che ci sia chi lo riconosce e lo valorizza». Questione di diversità di sistema? «Non conosco quello del Sud — spiega Chiara Fornaro, vicepreside del D’Azeglio di Torino — ma il nostro è sicuramente rigoroso e mette gli studenti alla prova, preparandoli alle difficoltà che incontreranno». Valentina Santarpia *** GIAN ANTONIO STELLA, CORRIERE DELLA SERA 12/8 – «Questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci...». Basterebbero queste poche righe scritte dagli alunni di Don Milani a spiegare quanto i voti possano essere, in una scuola ideale che formi davvero giovani preparati, colti e consapevoli, quasi secondari. Purché, appunto, i ragazzi così la vedano: una scuola «senza paure, più profonda e più ricca». Al punto che «dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi». Ma è così la scuola italiana che esce dagli ultimi dossier? Mah... I numeri pubblicati ieri raccontano di un Mezzogiorno che trabocca di giovani diplomati con 100 e lode, con la Puglia che gode di una quota di geni proporzionalmente tripla rispetto al Piemonte o al Veneto, quadrupla rispetto al Trentino, quintupla rispetto alla Lombardia. Bastonata pure dalla Calabria: solo un fuoriclasse ogni quattro sfornati da Catanzaro, Cosenza o Crotone. Evviva. Ma come la mettiamo, se i dati del P.i.s.a. (Programme for International Student Assessment) dell’Ocse o i test Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo) dipingono un panorama del tutto diverso? Prendiamo la Sicilia, che oggi vanta proporzionalmente il doppio abbondante di «100 e lode» della Lombardia. Dieci anni fa il P.i.s.a. diceva che nessuno arrancava quanto i quindicenni siciliani. La più sconfortante era la tabella sulle fasce di preparazione. Fatta una scala da sei (i più bravi) a uno (i più scarsi) i ragazzi isolani sul gradino più basso o addirittura sotto erano il doppio della media Ocse. Il quadruplo dei coetanei dell’Azerbaigian. Poteva essere lo sprone per una rimonta. Non c’è stata. Lo certifica il rapporto Invalsi 2015: «Il quadro generale delineato dai risultati delle rilevazioni, che non è particolarmente preoccupante a livello di scuola primaria, cambia in III secondaria di primo grado, assumendo le caratteristiche ben note anche dalle indagini internazionali (...): il Nordovest e il Nordest conseguono risultati significativamente superiori alla media nazionale, il Centro risultati intorno alla media e il Sud e le Isole risultati al di sotto di essa». Peggio: «Lo scarto rispetto alla media nazionale del punteggio delle due macro-aree meridionali e insulari, piccolo in II primaria, va progressivamente aumentando via via che si procede nell’itinerario scolastico». Cioè alle superiori. La tabella Invalsi che pubblichiamo in questa pagina dice tutto: dal 2010 al 2015 tutto il Centronord stava sopra la media, tutto il Sud (Isole comprese) stava sotto. Molto sotto. E l’ultimo rapporto Invalsi 2016 non segnala progressi. Allora, come la mettiamo? Come possono i monitoraggi nazionali e internazionali sui ragazzi fino a quindici anni segnalare nel Mezzogiorno una scuola in grave affanno e i voti alla maturità una scuola ricca di spropositate eccellenze? È plausibile che nei due anni finali i giovani meridionali diano tutti una portentosa sgommata alla Valentino Rossi? Mah... Nel 2013 Tuttoscuola mise a confronto la classifica delle province con più diplomati col massimo dei voti e quella uscita dal capillare monitoraggio Invalsi. I risultati, come forse i lettori ricorderanno, furono clamorosi: Crotone, primissima per il boom di studenti «centosucento», era 101ª nella Hit Parade che più contava e cioè quella della preparazione accertata con i test internazionali. Agrigento, seconda per «geni», era 99ª, Vibo Valentia quinta e centesima. A parti rovesciate, stessa cosa: Sondrio che era prima nella classifica Invalsi era solo 88ª per studenti premiati col voto più alto, Udine seconda e 100ª, Lecco terza e 89ª, Pordenone quarta e 59ª... Assurdo. E le classifiche regionali? Uguali. Un caso per tutti: la Calabria, ultima nei test Invalsi, prima per fuoriclasse. Sinceramente: è possibile un ribaltamento del genere? O è più probabile la tesi che i professori del Sud, per una sorta di solidarietà meridionale basata sul comune sentimento di emarginazione e di abbandono, abbiano verso gli studenti la manica un po’ più larga? Un punto, comunque, appare fuori discussione. Non solo esistono due Italie e due scuole italiane, due universi di studenti e due di professori. Ma il divario, anziché ridursi, si va sempre più allargando. E ciò meriterebbe da parte di tutti, non solo del governo, un po’ di allarmata attenzione in più. *** VALENTINA SANTARPIA, CORRIERE DELLA SERA 13/8 – Roma Sono seimila le scuole italiane dove ci sono studenti in difficoltà: per disagio sociale, economico, gap di istruzione, origine. Bocciati, ripetenti, o semplicemente poco preparati, ragazzi che arrancano e che spesso faticano a completare il percorso. È destinato a loro il nuovo progetto del ministero dell’Istruzione, che il 1° settembre varerà lo stanziamento di 320 milioni di euro di fondi strutturali europei per tenere aperte le scuole dal prossimo anno scolastico anche il pomeriggio, e migliorare le performance dei ragazzi in italiano, matematica, ma anche sport, musica, arte. È la trasposizione nazionale, messa a sistema, dell’iniziativa «la scuola al centro», che negli scorsi mesi ha aperto gli istituti periferici di Milano, Roma, Napoli, Palermo. Ogni scuola avrà 40 mila euro per superare gli scogli che ancorano il nostro Paese a livelli altissimi di dispersione scolastica e relegano i nostri studenti agli ultimi gradini delle classifiche internazionali per le competenze nella comprensione del testo e in matematica. «Siamo al 14% di ragazzi che perdiamo per strada, soprattutto nella scuola secondaria di primo grado, quando sono ancora praticamente bambini — conferma la ministra Stefania Giannini—. Più deboli i maschi e gli studenti di origine straniera. Ci sono regioni che hanno indici allarmanti, come la Sicilia, la Sardegna, la Campania. Con questo piano puntiamo a cambiare le cose». Questo significherà anche migliorare i dati dei test Invalsi? «Certo, è quello che spero e che penso avverrà». Però continuano ad esserci enormi differenze tra quanto dicono i risultati dei test di valutazione, che vengono rilevati in II superiore, e i voti alla maturità. Sarebbe opportuno inserire anche in quinta un esame Invalsi? «Si, certo, ma che dovrebbe affiancare l’esame di maturità, non sostituirlo». Ma i prof del Sud sono stati troppo generosi con le lodi rispetto ai colleghi del Nord? «È sicuramente una questione che dobbiamo accertare, e lo faremo attraverso la valutazione dei professori. Finalmente stiamo cominciando a farla, pur tra tanta reticenza». Per questo al concorso state bocciando tutti, per avere insegnanti preparatissimi? «Il concorso è per sua natura selettivo. Non stiamo bocciando tutti: si va verso una media del 50% dei promossi». Pare ci siano stati casi eclatanti: commissioni intere che si sono dimesse, prove non svolte in maniera regolare, computer che non funzionavano, intere classi di candidati alla prova scritta — come filosofia in Calabria — bocciati. «Stiamo vigilando in maniera sistematica. Con questi grandi numeri non è possibile del tutto escludere anomalie». Anche nella procedura di mobilità ha ammesso delle irregolarità e degli errori nell’algoritmo. «Certo, anche lì parliamo di grandi numeri. Ma l’algoritmo non è un’entità metafisica, è un modello matematico. Abbiamo visto solo i prof “deportati”, in piazza, come gli 800 siciliani della scuola primaria che dovranno partire. Ma ci sono anche i 1.400, tantissime donne, che da anni insegnavano al Nord e che con questo piano sono rientrati in Sicilia». Le donne sono in realtà ancora discriminate nel mondo del lavoro. Persino dai presidi. «Se qualche dirigente ha davvero chiesto alle docenti informazioni sui figli e su possibili aspettative in caso di gravidanze è grave. Anche i dirigenti dovranno essere valutati, e il modo in cui selezioneranno gli insegnanti sarà uno dei parametri per giudicarli». È lo stesso concetto dell’alternanza scuola-lavoro: restituire una prospettiva più vicina al mondo reale alla scuola. Però ai licei molti studenti sono finiti in parrocchia o in crociera... «Secondo me anche questo processo fa parte dell’innovazione: ma gli esempi di Venaria a Torino e Pompei a Napoli dimostrano che le potenzialità sono altissime». *** CORRIERE DELLA SERA 13/8 – Il test Invalsi è una prova scritta che ha lo scopo di verificare il livello di apprendimento degli studenti e la qualità generale del sistema istruzione. I test devono essere sostenuti dagli studenti di elementari, medie e superiori. Il tipo e il numero di domande dei test per materia, (italiano e matematica), cambia in base al grado scolastico. *** MATTEO MION, LIBERO 13/8 – Per l’Ocse (Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico) gli studenti del Nordest sono tra i primi in Italia per preparazione scolastica, mentre il Ministero dell’Istruzione li colloca all’ottavo posto. Secondo i dati diffusi ieri, infatti, agli esami di maturità i 100 e lode sono fioccati esclusivamente nelle scuole e nelle province del Sud. A Nordest il tema cornuti e mazziati non è una novità nemmeno in ambito d’istruzione e il governatore del Veneto non le manda a dire: «È evidente che c’è qualcosa che non funziona nella scuola italiana e nei suoi sistemi di valutazione. Questo è una penalizzazione per i nostri ragazzi del Nordest. È un’emergenza su cui il ministro Giannini deve concentrarsi: la scuola dei divari e del lassismo è una beffa amara per i migliori». Luca Zaia è un fiume pieno di collera, perché il punteggio della maturità condiziona l’accesso all’università, la graduatoria dei concorsi pubblici e le borse di studio. Ineccepibile la tesi, caro governatore, ma è la stessa identica di quando affrontò gli esami di maturità mio padre che oggi porta molto bene i suoi 80 anni. Che la pubblica amministrazione sia invasa da pluridecorati con encomi sul registro scolastico di prof e relativo padrino è un dato ormai pacifico e più antico della Costituzione. È assodato anche per i sassi che dagli Emeriti della Corte costituzionale, passando per Quirinale e Prefetture negli scranni impiegatizi più alti del paese sino all’ultimo dei postini, la maggioranza degli stipendiati dell’amministrazione nazionale non abbia un accento marcatamente settentrionale. Urgono soluzioni, non orazioni! Lei, caro Zaia, auspica che il ministro convochi una commissione per affrontare l’emergenza, ma proprio le commissioni imbottite di parassiti di Bolzano marittima sono la peggior sceneggiata dell’italico costume. Non può chiedere al tacchino che gli piaccia il Natale. Non si faccia imbrigliare dalle maglie burocratiche create per mantenere lo status quo dell’assistenzialismo. Roma ci ascolta solo se parliamo di pecunia, altrimenti è sorda conclamata. Nel comparto scuola, però, possiamo giocare di sponda con l’Ocse, perché imponga, causa le evidenti e contrastanti valutazioni rilevate, quote riservate agli studenti del Nord nelle Università, nei concorsi e nelle borse. Mattarella & C., dopo il solito sermone napolitanocentrico sui rischi eversivi e sulle pericolose devianze italofobiche, saranno costretti ad ascoltare i consigli dell’organizzazione mondiale. In caso contrario, il Veneto potrebbe finanziare le scuole private a scapito delle pubbliche. In quel caso il ministro Giannini telefonerebbe immediatamente in Regione: «Come vi permettete? Maestrini e Prof sono voti nostri! Fuori il grano!» E siccome non glielo possiamo negare per malandrina Costituzione, ricattiamoli noi more italico: vi diamo gli schei, se ci date le quote riservate. È una soluzione, ce ne saranno sicuramente di migliori, ma è pur sempre meglio che continuare a piangerci inutilmente addosso da quasi un secolo, mentre Roma fa bottino sulla pelle dei nostri studenti. *** ILARIA VENTURI, LA REPUBBLICA 12/8 – Ultimi per numero di lodi alla maturità. In testa nelle rilevazioni nazionali e dell’Ocse che valutano le competenze in matematica e italiano. È il doppio volto della scuola al Nord che emerge da voti e indagini. Diplomati meno bravi e ragazzi di seconda superiore che svettano rispetto ai compagni delle regioni del Sud. Contraddizioni che esplodono con ancora più forza dopo l’esame di Stato 2016, dove si è registrato un boom dei giudizi più alti conquistati dagli studenti in Puglia, Campania e Sicilia. Un’Italia, comunque la si guardi, che si conferma spaccata in due, un sistema di istruzione che rimane a diversa velocità. A seconda del metro di valutazione. L’indagine Invalsi 2016, che giudica con un test uguale in tutti i licei e gli istituti il livello raggiunto dagli studenti al secondo anno rispetto alle indicazioni nazionali, fotografa le regioni del Sud tutte sotto la media. In italiano gli studenti del Trentino ottengono il massimo (216), quelli della Basilicata il minimo (183). In matematica la Sardegna detiene la maglia nera (175), staccata di 45 punti sempre dai ragazzi di Trento che sono al top, seguiti da Friuli, Veneto, Lombardia e Piemonte. È il Nord-Est, in particolare, ad eccellere. La Puglia, che quest’anno ha fatto incetta di lodi alla Maturità — una su cinque — incassa un punteggio Invalsi appena sotto la media (194) in entrambe le discipline. Anche se è la regione del Sud che, dal 2012 in poi, più si avvicinata al livello nazionale. «La Puglia è sensibilmente migliorata grazie a politiche di formazione degli insegnanti e a fondi europei messi sulla scuola», spiega Paolo Mazzoli, direttore generale dell’Istituto Invalsi. Anche le Marche da tre anni sono in risalita. Mazzoli sgombera il campo da letture discriminatorie: «I talenti sono in tutte le Regioni, non è che ci sono studenti meno o più intelligenti al Nord piuttosto che al Sud». Si tratta di valutazioni differenti, non comparabili. L’Esame di Stato giudica un percorso scolastico, si affida al giudizio dei professori. L’Invalsi è una prova unica e solo su alcune competenze che giudica allo stesso modo i ragazzi di Scampia e quelli del Parini di Milano. «Il problema è di contesto. Là dove gli studenti fanno più fatica, perché in una situazione degradata, gli insegnanti sono più propensi a considerare il miglioramento, la bravura relativa, più che quella assoluta. Così si spiegano le tante lodi al Sud», continua Mazzoli. Anche la rivelazione Ocse-Pisa conferma il divario tra Nord e Sud. L’ultima è del 2012. Un’indagine sui 15enni dei Paesi Ocse che valuta le “competenze” in matematica e nella lettura acquisite per la vita, non tenendo conto cioè di programmi scolastici e delle classi in cui gli studenti sono inseriti. Le percentuali più alte dei migliori in matematica sono in Veneto, che arriva al 4,8% di eccellenze contro lo 0,4 della Sicilia. Il rendimento nella lettura è sensibilmente sopra la media Ocse nel caso di Lombardia, Veneto, Trento e Friuli. La percentuale di studenti ai livelli massimi per l’Ocse-Pisa al Sud varia tra lo 0,5 e lo 0,8%; al Nord tra il 3,1 e il 4,2%. *** CORRADO ZUNINO, LA REPUBBLICA 12/8 – Giacomo Pignataro, 53 anni, è il rettore dell’Università di Catania. Ha seguito la vicenda — storicizzata ormai — delle molte maturità con lode al Sud. Nella sua Sicilia i 100 e lode sono stati cinquecento, centoventotto in più dell’anno scorso, quanti Piemonte e Veneto messi insieme. Rettore, c’è un eccesso di generosità nelle valutazioni delle commissioni di maturità che lavorano al Sud? «I risultati sembrano evidenziarlo ». Perché, secondo lei? «Nelle scuole del Sud si tiene conto del contesto. Spesso, per evitare una dispersione scolastica ancora più massiccia, nelle aule si abbassano gli standard di valutazione e, a ricasco, chi va semplicemente bene ottiene valutazioni superlative». Serve alla scuola italiana questo eccesso di valutazione? «Né alla scuola italiana né al Sud. La valutazione deve essere sempre attendibile, credibile, mai un eccesso. I problemi, tra l’altro, si ripercuotono sulle nostre università». Ci spieghi. «Le matricole che arrivano da noi sono spesso impreparate. Hanno deficit seri, soprattutto in italiano e in matematica. Secondo ordinamento, chi si iscrive all’università non dovrebbe avere carenze significative. Dove riscontriamo ritardi facciamo partire subito i corsi di recupero dei debiti formativi. Alla fine, lo studente deve certificare il recupero superando un esame». I ritardi si riscontrano anche tra chi è uscito con un buon voto dalla maturità? «A volte sì, ma chi si è diplomato bene trova presto un metodo valido per l’università, recupera più in fretta». Ritiene che esista, al di là dei voti dell’Esame di Stato, un divario di preparazione tra gli studenti delle università del Sud e del Nord? «Esiste e viene accentuato dal fatto che gli studenti più motivati delle scuole superiori meridionali, quelli che hanno preso buoni voti alla maturità meritandoli, spesso vanno a studiare negli atenei del Nord». *** IL.VE., LA REPUBBLICA 12/8 – Non è sorpreso dallo squilibrio dei risultati a scuola tra Nord e Sud, «è la conferma di un andamento che conosciamo dagli anni ‘60 e da allora, purtroppo, non è successo nulla». Piuttosto, dice il pedagogista Benedetto Vertecchi, ex presidente del Centro europeo dell’educazione, «il problema è cambiare modo di valutare gli allievi». Professore, come spiega il boom di lodi al Sud? «La tendenza ad allargare la manica per esprimere giudizi più positivi al Sud è legata a un fattore di costume e a un minor distacco degli insegnanti nel rapporto con le famiglie. Ma non me ne preoccuperei. Basterebbe uniformare i voti tenendo conto di una media italiana». A partire da queste disparità nei giudizi c’è chi propone l’introduzione di un test unico nazionale, è d’accordo? «No, non mi convince questa soluzione. La valutazione è ricerca, capacità di interpretare un sistema, non la fotografia istantanea di un certo momento. E non è la medicina per curare i mali della scuola. L’atteggiamento sincronico di indagini come l’Ocse-Pisa non mi trova d’accordo». In che senso? «Valutare serve se mi aiuta a capire qualcosa di più: le potenzialità di un ragazzo, come è cambiato per effetto delle scuola e dei rapporti sociali. La vera riforma va fatta su questo: migliorare le conoscenze sull’evoluzione del profilo culturale degli allievi. Di questo, invece, non ne abbiamo la minima idea. Per esempio, non sappiamo nulla del bagaglio di competenze verbali dei ragazzi». Non si fida nemmeno della prova Invalsi? «Ho dubbi sull’attendibilità di prove che danno presupposta una capacità di comprensione, per esempio di un testo, quando spesso gli studenti quel testo semplicemente non lo capiscono». Alla fine è l’esame di Maturità a finire sotto accusa? «Si continua a replicare un modello di tipo scenico: il candidato deve esibire se stesso davanti a una commissione. In altri tempi aveva un senso, oggi non più». (il. ve.) *** TIZIANA DE GIORGIO, LA REPUBBLICA 13/8 – In Veneto è stata bollata come "un’emergenza". Con la Regione guidata dalla Lega che parla di giovani del Nord-Est ingiustamente penalizzati. E che lancia un appello al ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini: si invocano controlli a campione sugli alunni, ispezioni a sorpresa negli istituti di tutta Italia, commissioni ministeriali formate da esperti che possano in qualche modo garantire uniformità, quando vengono assegnanti i voti in classe. In Piemonte, è l’assessore all’Istruzione del Pd, Gianna Pentenero, a chiedere un cambio di rotta: "Non ne faccio una questione Nord e Sud - precisa -, ma non si può non ammettere che c’è una divergenza evidente tra i parametri di valutazione". I risultati della maturità pubblicati nei giorni scorsi dal ministero - che mostrano un profondo squilibrio fra le regioni del Nord e quelle del Sud nella distribuzione dei voti più alti - entrano nel dibattito politico. E sono in tanti, dal Piemonte all’Emilia Romagna, dal Veneto alla Lombardia, a chiedere in maniera trasversale una riflessione. "Servirebbe, per esempio, che i test Invalsi diventassero un elemento comune da cui partire per rivedere i criteri di valutazione su base comune - prosegue Pentenero - così da non svantaggiare gli studenti che devono far valere quei voti per l’accesso nelle università". Perché è questo uno degli aspetti che ha riacceso il grande dibattito sulla valutazione. E sull’Italia a diverse velocità in tema di scuola: da un lato, l’exploit di diplomi da 100 e lode in regioni come Puglia e Campania, che da sole superano quelli di Lombardia, Veneto e Piemonte messe insieme. Dall’altro i risultati di rilevazioni nazionali come l’Invalsi, sugli studenti di seconda superiore, che capovolgono la piramide e vedono gli studenti del Nord di gran lunga più bravi rispetto a quelli del Sud. In Emilia Romagna, l’assessore alla Scuola, Patrizio Bianchi, parla di un esame di maturità "poco affidabile" rispetto a meccanismi di valutazione più standardizzati come l’Ocse. E invita tutti a non prendere il punteggio dell’esame finale come metro di valutazione del livello delle strutture scolastiche o della preparazione degli studenti. "Questi dati non sono certo una novità - commenta invece il governatore della Lombardia, Roberto Maroni - ma sorprendono sempre. E rispetto a quelli rilasciati dall’Invalsi stridono". Fuori dal coro, invece, il forzista Giovanni Toti, presidente della Liguria: "È sempre difficile fare questo genere di classifiche - spiega - perché cambiano le sensibilità e i contesti da regione a regione". Quindi, sui voti dei neodiplomati, preferisce guardare il bicchiere mezzo pieno: "Faccio i complimenti ai ragazzi del Sud. Spero siano il simbolo di un Sud che ha voglia di ripartire sul merito e l’impegno". *** LORENA LOIACONO, IL MESSAGGERO 11/8 – Tutti promossi o quasi, la maturità ormai non fa più paura. Del mezzo milione di candidati che, nel giugno scorso, ha sostenuto l’ esame di Stato conclusivo delle scuole superiori è stato promosso il 99,5% dopo un’ammissione alle prove che ha interessato il 96% degli studenti. E la percentuale di diplomati è inoltre in costante crescita: nel 2015 infatti ottenne il diploma il 99,4% dei candidati. Non solo. Crescono anche gli studenti modello, i diplomati con 100 e lode che dalla loro avranno l’esenzione dalle tasse universitarie e un bonus in denaro: rappresentano l’1,1% dei promossi, vale a dire 5133 studenti, in aumento sullo scorso anno quando erano lo 0,9%. IL BOOM Nei licei la quota di voti massimi con lode si alza all’1,9% mentre il boom di super bravi riguarda soprattutto le regioni del Sud: in Puglia si registra la quota maggiore con 934 diplomi con lode pari al 2,6%, seguono la Campania con 713 pari all’1,3% e la Sicilia con l’1,2% pari a 500 ragazzi. A seguire Lazio con 457 ragazzi diplomati con lode, pari all’1%, la Calabria con 334 pari al 2% e l’Emilia Romagna con 328 pari all’1,1%. La Lombardia ne ha avuti solo 300 pari allo 0,5% e il Veneto 276, pari allo 0,8%. Le regioni che hanno avuto un minor numero di lodi, invece, sono Basilicata e Friuli rispettivamente con 44 e 42 ragazzi, pari allo 0,8% e allo 0,5%. Il Molise ne ha ricevute 25, l’1% quindi, e il Trentino 24 pari allo 0,6%. Leggendo quindi la classifica in base alle percentuali emerge un divario enorme, tutto da valutare, tra il 2,6% di lodi in Puglia o il 2% in Calabria e lo 0,5% della Lombardia o lo 0,8% del Piemonte. Tra le quote più basse spiccano anche altre regioni del Nord come il Veneto con 0,8%, il Trentino 0,6% e il Friuli 0,5%. In netto contrasto con le regioni del Sud dove, a parte i livelli massimi di Puglia e Calabria, spiccano anche la Sicilia con l’1,2% e la Campania con 1,3%. Non ha incassato la lode ma vanta comunque un 100 sul curriculum il 5,1% degli studenti ed anche in questo caso si tratta di un dato in crescita visto che nel 2015 prese 100/ 100 il 4,9% dei candidati. In aumento anche le votazioni comprese tra 91 e 99 che salgono dall’8,4% all’8,6%, quelle tra 81 e 90 passano dal 18,7% al 19,1% e i voti fra il 71 e l’80 restano stabili sul 29,2%. In calo, quindi, i voti più bassi: scendono dal 29,3% al 28,9% quelli compresi tra 61 e 70 e dall’8,6% all’8% i voti più bassi, i 60. Si confermano più alti, in generale, i voti dei liceali che raggiungono il 100 nel 7,3% dei casi e si attestano tra 91 e 99 nel 10,8%. Il 22,2% ha preso invece un voto compreso tra 81 e 90 centesimi. Tanti voti alti, dunque, per i diplomati dell’anno 2015-2016 ma non solo per loro. Sono stati registrati aumenti anche nelle promozioni tra i ragazzi che hanno frequentato gli anni intermedi dal primo al quarto anno delle scuole superiori, infatti, la percentuale dei bocciati è stata del 7,7% mentre lo scorso anno era del 9%. LA CRISI DEL PRIMO ANNO I non ammessi, come sempre, sono stati soprattutto i ragazzi del primo anno, alle prese con le difficoltà della scuola secondaria di secondo grado e, probabilmente, con le scelte sbagliate dovute a una carente attività di orientamento nella scuola media che indichi ai ragazzi il giusto percorso per proseguire gli studi: non è stato ammesso al secondo anno il 12,3% dei ragazzi. Un dato comunque in calo sul 2015 quando era il 13,7%. La percentuale di non promossi varia in base al corso di studi: nei professionali si alza al 12,4%, seguono gli Istituti tecnici con l’9,8% e i Licei con il 4,3%. Tutte percentuali comunque in calo rispetto al 2015. E proprio in merito al delicato passaggio tra medie e superiori, stona con i dati complessivi quello relativo alla percentuale degli ammessi all’esame di terza media. Unico dato in negativo dove la percentuale è lievemente in calo rispetto allo scorso anno: dal 97,2% scende infatti al 97,6%. Dopo una prima selezione piu severa nell’ammissione, resta stabile al 99,8% il numero dei ragazzi che hanno superato l’esame. Aumenta, invece, anche alle medie il numero dei ragazzi ammessi alla classe successiva: 97,4% nel 2016 rispetto al 96,9% dello scorso anno. Lorena Loiacono *** PAOLO FERRARIO, AVVENIRE 1178 – Aumentano i voti alti alla maturità e il Sud fa il pieno di 100 e lode, con la Puglia primatista tra i “bravissimi”. È il Ministero dell’Istruzione a scattare la prima fotografia dell’Esame di Stato 2016, attraverso la diffusione dei dati sugli esiti delle prove. Confermato l’alto numero di studenti di quinta ammessi all’esame (96%) e di maturati (99,5%), con un aumento dei candidati che hanno guadagnato una votazione superiore ai 70 punti: dal 62,2% del 2015 si è passati al 63,1% di quest’anno. In particolare, i 100 crescono, passando dal 4,9% al 5,1%, così come aumentano le votazioni 91-99, che salgono dall’8,4% all’8,6%, e quelle 81-90, dal 18,7% al 19,1%. Stabili al 29,2% i voti fra il 71 e l’80 mentre diminuiscono i voti più bassi: i 61-70 scendono dal 29,3% al 28,9% e i 60 dall’8,6% all’8%. In leggero aumento anche i 100 e lode, che sono passati dallo 0,9% del 2015 all’1,1%. A primeggiare sono, ancora una volta, le regioni del Sud, con la Puglia prima assoluta con 934 “super bravi”, più del triplo dei 300 della Lombardia. Sul secondo gradino del podio c’è poi la Campania (713 lodati) e sul terzo la Sicilia con 500. Complessivamente, i 100 e lode sono stati 5.133. Anche se i licei conseguono le votazioni più alte (1,9% di 100 e lode, con il classico al 3,5%), i tecnici e i professionali guadagnano terreno, incrementando il numero di studenti con voti oltre i 70 centesimi (55% del totale nei tecnici e 53% nei professionali). Al di là dei risultati della maturità, alle superiori migliorano le prestazioni degli studenti. I bocciati, infatti, calano dal 9% del 2015 al 7,7% di quest’anno. I non ammessi all’anno successivo si concentrano soprattutto al primo anno: sono il 12,3%, in leggero calo rispetto al 13,7% dell’anno scorso. Un altro 23,5% degli studenti di prima ha poi una sospensione del giudizio. «Questi dati – spiega una nota del Miur – confermano la maggior difficoltà che gli studenti incontrano nel passaggio dalle scuole medie alle superiori». E qui entra in gioco la centralità dell’orientamento (ai ragazzi e alle famiglie) per la scelta del percorso scolastico dopo la terza media. Seppure in diminuzione, resta comunque alta la percentuale degli studenti con sospensione del giudizio. Uno su quattro sta trascorrendo l’estate sui libri e a settembre sarà chiamato a recuperare una o più insufficienze. Rispetto al 25% del 2015, i ragazzi “rimandati” sono il 23,2% e si concentrano maggiormente negli istituti tecnici (27,3%), seguiti da professionali (25,4%) e licei (19,6%). La regione con più promossi è l’Umbria con il 75,7% di ammessi all’anno successivo. Seguono Puglia (75,6%), Molise (74,8%), Calabria (74,5%). Il maggior numero di sospensioni dal giudizio è in Sardegna (29%), seguita da Lombardia (26,3%) e Toscana (25,3%). La Sardegna registra anche la più elevata percentuale di bocciature (11,9%), seguono Campania (9,3%) e Sicilia (8,5%). *** TULLIO DE MAURO, INTERNAZIONALE 8/7/2016 – L’articolo dell’Economist “Insegnare agli insegnanti” aiuta a capire che la scuola, il sistema scolastico di un paese, è un’organizzazione complessa. Per intenderla o modificarla bisogna tenere conto delle sue componenti essenziali: quella di chi sta studiando, quella di chi insegna, quella di chi si preoccupa di migliorare le interazioni tra le prime due. Ciascuna è in sé profondamente eterogenea. A prima vista ci si offre una galleria di individualità diverse pronte per le istantanee, le cronache, le realistiche invenzioni di Giovannino Mosca o del primo Starnone o di Raimo, del primo Sciascia o di Mastronardi o di Mastrocola. Si dirà che così appare anche una vettura della metropolitana in ore di punta. Vero, con una differenza: i viaggiatori salgono e scendono, ma di norma non fanno cambiare la linea, i binari, le stazioni, subiscono il funzionamento o le disfunzioni della metro, non incidono in modo determinante su di esse (a meno che non si divertano a tirare il segnale d’allarme come il buon soldato Sc’vèik). Diversamente dai viaggiatori in metropolitana, le persone che stanno nella scuola con tutte le loro diversità fanno la scuola. Chi mette mano seriamente a un aspetto del sistema, per capirci qualcosa, per studiarlo o per modificarlo, prima o poi (meglio prima, se è un decisore politico) si vede costretto a tenere conto dei legami con altri aspetti. Lo storico Giuseppe Ricuperati ha dato lavori esemplari e illuminanti perché alla scuola ha guardato nella prospettiva di una complessiva storia dell’Italia. Gli economisti Robert Barro e Jong-Wha Lee avevano cominciato a studiare le correlazioni tra crescita della scolarità e crescita economica nei vari paesi dal 1950 fino ai giorni nostri e hanno prodotto un complessivo studio dell’evoluzione dei rapporti tra lo sviluppo della scolarità e l’intera vita sociale e politica degli stessi paesi a partire dalla fine dell’ottocento (Education Matters 2015). Il sarchiapone del sistema scolastico si muove con inevitabile lentezza e i numeri dell’oggi si capiscono solo tenendo conto delle serie storiche passate, cioè della storia dei diversi paesi. Negli ultimi anni sono stati acquisiti alcuni punti fermi di portata generale. Primo punto: proprio le ricerche ventennali di Barro e Lee permettono di dire con sicurezza che ogni soldo speso nella scuola ha un sicuro ritorno sulla crescita del prodotto interno lordo dei paesi. La scuola non è una spesa, è un investimento redditizio. Crescono i livelli d’istruzione, cresce il pil. Secondo punto: non è solo questione di economia e d’investimenti. Anzitutto, per migliorare un sistema scolastico non conta la quantità grezza di denaro investito, ma conta la percentuale che questa quantità ha nella spesa pubblica di un paese. È la percentuale a dirci qual è l’impegno di un governo e di un paese nella scuola. Ma, poi, non è solo questione di economia anche perché la crescita della scolarità è un fattore indispensabile per la tenuta di un sistema democratico. La sola istruzione non è sufficiente, ma è necessaria per realizzare una democrazia sostanziale. Terzo punto: rilevazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e studi recenti mostrano che investire in dotazioni tecnologiche nelle scuole serve a poco o è perfino dannoso se non ci sono allievi già preparati nelle competenze di base (leggere, scrivere e far di conto) e insegnanti in grado di usare le tecnologie per collegarsi con altri insegnanti, per selezionare materiali adatti a una certa classe e per sviluppare un insegnamento interattivo e cooperativo. E siamo al quarto punto: l’insegnante. Già remote indagini dell’International association for the evaluation of educational achievement (Iea) lo avevano suggerito dagli anni novanta e John Hattie, direttore del Melbourne education research institute, ha avuto il merito di studiare la questione su una scala statistica di massa. Tra i fattori di successo di un intero sistema scolastico o anche degli alunni di una sola classe quello di gran lunga più importante è la qualità dell’insegnamento. Il bravo o la brava insegnante è il fattore decisivo di una scuola buona. Studiare chi è, che cosa fa, e tradurre l’analisi in progetti di formazione iniziale e di formazione in servizio è più importante del denaro. I successi d’un professore L’articolo dell’Economist dà evidenza ad alcune caratteristiche di formazione e di comportamento didattico degli insegnanti che, alla luce dei risultati che ottengono, possiamo ritenere bravi. Ecco un sicuro quinto punto: la capacità di insegnare a studiare in modo produttivo non è una dote innata, ma, come in ogni mestiere, si impara. Si intravedono alcuni tratti del bravo insegnante: conoscenza profonda di ciò che insegna, disponibilità a collaborare con gli altri, a mettersi in discussione, a tenere conto degli scacchi e degli insuccessi per rivedere il modo di stimolare l’apprendimento. Diceva un vecchio professore: se devo bocciare qualcuno, capisco che sto bocciando me stesso. Interi sistemi scolastici suggeriscono riflessioni: dove l’impegno è quello della massima inclusione, del portare tutte e tutti alla fine dei cicli di istruzione, là gli allievi hanno i più alti punteggi nel confronto internazionale. Succede dove non si boccia, come nella nostra scuola elementare o in Finlandia, in Corea, in Giappone. Il seme gettato da don Lorenzo Milani germina lontano nel mondo. *** GIAN ANTONIO STELLA, CORRIERE DELLA SERA 10/8 – Allora: spostiamo gli studenti al Sud? A leggere certi strilli sulla «deportazione» dei docenti meridionali al Nord cadono le braccia. Certo, è possibile che il famigerato «algoritmo» che ha smistato maestri e professori abbia commesso errori. E vanno corretti. Ma i numeri sono implacabili: 8 insegnanti su 10 sono del Mezzogiorno però lì c’è solo un terzo delle cattedre disponibili. Non per un oscuro complotto anti meridionalista: perché gli alunni delle «primarie» e delle scuole di I° grado sono oggi mezzo milione in meno di vent’anni fa. Lo studio capillare che spazza via certi slogan urlati in questi giorni è di Tuttoscuola. Che grazie a un monitoraggio capillare, nome per nome, regione per regione, dimostra: «Solo il 37% degli studenti italiani risiede al Sud, Isole incluse (18 anni fa era il 47%); mentre ben il 78% dei docenti coinvolti in questa tornata di trasferimenti è nato nel Meridione». Risultato: la scuola italiana è come una «grande nave con un carico molto più pesante a prua (il Nord del Paese), che fa scivolare gradualmente verso quella prua una quota crescente del personale, collocato in misura preponderante a poppa (al Sud)». E non c’è algoritmo che, quella nave, possa raddrizzarla. Almeno in tempi brevi. Il guaio è che, prima ancora della frana 2013/2015, con più morti che nascite come non accadeva dalla influenza spagnola del 1918, il Sud subisce da tempo un’emorragia demografica. Conseguenza: «Meno studenti, meno classi attivate, meno personale docente. Confrontando i dati degli alunni iscritti nelle scuole del primo ciclo nel 1997-98 con quelli degli anni successivi, risulta una flessione costante». Nel ‘97-‘98, ad esempio, gli iscritti meridionali alle materne, alle elementari e alle medie erano 2.032.338 cioè il 46,6% del totale nazionale. Quest’anno 1.586.589, pari al 37,5%. Quasi mezzo milione, come dicevamo, in meno. Contro un aumento parallelo di 320.809 alunni al Nord. Di qua +14%, di là -22%. Va da sé che l’equilibrio domanda e offerta ne è uscito stravolto. E questo «squilibrio», prevede la rivista diretta da Giovanni Vinciguerra, sarà registrato «per altre migliaia di professori della secondaria di II grado». È la conferma che «il Mezzogiorno, da decenni avaro di posti di lavoro, privilegia come valvola di sfogo occupazionale l’insegnamento, mentre i giovani delle altre aree territoriali sembrano non prioritariamente interessati a questa professione, grazie forse a più favorevoli offerte di lavoro locali». Problema: non c’è bicchiere capace di contenere un litro d’acqua. I docenti meridionali sono 30.692 ma i posti a disposizione al Sud sono 14.192: «Come possono 14.192 sedi accogliere 30.692 insegnanti? Neanche Einstein avrebbe potuto inventare un algoritmo in grado di risolvere un’equazione simile». Maestri e professori «in eccedenza» nel Mezzogiorno sono complessivamente 16.500, quelli che mancano al Centro-Nord 17.628. Di qua quasi il 67% in meno, di là quasi il 54% di troppo. Con addirittura un picco del 64,3% di insegnanti in eccesso in Sicilia. La quale copre da sola oltre un terzo dei docenti costretti ad andarsene dalla propria regione. Capiamoci: come dicevamo, e come sono stati costretti ad ammettere la stessa Stefania Giannini o Davide Faraone, l’algoritmo usato per distribuir le cattedre in base a vari parametri (anzianità di servizio, titoli, specifiche esigenze familiari...) «incrociati» con l’ordine delle province preferite (ogni docente poteva metterne in fila cento, dalla propria a quella più lontana o più scomoda da raggiungere) può aver commesso errori. Anzi, vere e proprie ingiustizie che hanno premiato qualcuno a danni di altri. E quelle ingiustizie, come dicevamo, vanno riparate. Partendo dalla massima trasparenza chiesta a gran voce da chi contesta le graduatorie. Mediamente, spiega Tuttoscuola, «soltanto il 38% di docenti meridionali ha trovato sede nella propria regione, mentre il 62% è rimasto fuori. Al contrario, il 74% dei docenti nati nel Centro-Nord è rimasto nella propria regione». Colpa di quella nave sbilanciata a prua. Ma se un pugliese finisce in Sicilia e un siciliano in Puglia, dato che non pesava il merito professionale ma solo l’algoritmo, poteva probabilmente esser fatto di meglio. Ed è vero che, in cambio del posto fisso, viene chiesto a molte persone non più giovani, dopo anni di supplenza, con figli e famiglie radicate, un sacrificio pesante. A volte pesantissimo. Detto questo, le urla contro «la deportazione coatta», i lamenti per «una misura indecente e inaccettabile», le denunce degli «esiti nefasti della mobilità nella scuola», gli appelli contro «l’esodo biblico», sono esasperazioni che si rifiutano di tener conto di un dato di fatto: non potendo spostare scuole e studenti, devono spostarsi i docenti. Come accettò di andare a insegnare in un liceo dell’allora lontanissima Matera Giovanni Pascoli. O dell’ancor più lontana Nuoro Sestilio Montanelli, che si portò dietro tutta la famiglia, a partire dal nostro Indro. E centinaia di migliaia di altri docenti. Consapevole oggi dei disagi, dei problemi, dei drammi familiari, però, il governo potrebbe cogliere l’occasione, come invita Tuttoscuola, per dare una svolta alla scuola meridionale, marcata dall’altissima dispersione e da «scadenti risultati nei test Invalsi e Pisa». Alla larga dall’assistenzialismo, ma vale davvero la pena di tener aperte le scuole meridionali, incentivare il tempo pieno, puntare sull’istruzione. Soprattutto nelle aree a rischio. *** LUCIANO CAPONE, IL FOGLIO 11/8 – E’ mancata solo l’intonazione del “Va pensiero” per l’abbandono della propria terra, ma per il resto il racconto del trasferimento degli insegnanti nelle scuole del nord ha toccato le stesse punte di tragicità della deportazione dei giudei a Babilonia. “La violenza a cui sono sottoposti in questi giorni i docenti italiani è inaccettabile e le responsabilità sono tutte di questo sciagurato governo”, dice la parlamentare del M5s Silvia Chimienti accusando il sovrano Matteo Nabucodonosor, artefice della deportazione attraverso lo spietato algoritmo. I docenti, strappati dal ridente Meridione, saranno costretti a spostarsi in località inospitali, gelide, dove l’interazione con gli autoctoni è complicata, città come Udine, Pordenone, Milano, Mantova. E dovranno restarci per qualche anno prima di ritornare (se sopravviveranno). Nelle proteste a Palermo si espongono cartelloni con un insegnante di spalle, valigia in mano, costretto a lasciare la “Sicilia bedda”: “Dovevo essere qui, ma vado lì”, verso posti freddi e desolati come “Torino, Toscana, Emilia Romagna”. E non si può provare un moto di istintiva solidarietà, soprattutto di fronte a storie come quella di Concettina Attardo, maestra della provincia di Agrigento: “E’ una in-giu-sti-zia – dice a Repubblica – nella domanda ho indicato Torino dopo le province della Sicilia perché mia sorella ci ha vissuto fino a pochi mesi fa. Per ironia della sorte, però, ora lei ha deciso di tornare in Sicilia, quindi sarò sola”. Si è rivolta a un avvocato per far valere i suoi diritti, mal che vada si potrà fare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché vivere a Torino senza parenti è assimilabile alla tortura. Più drammatica è la vicenda di Gabriella Cutrona da Cinisi, autoesiliata nella nebbiosa Milano e con un matrimonio rovinato dalla Buona scuola: “Doveva essere un’opzione provvisoria. Invece sono stata obbligata a restare a Milano, almeno per i prossimi tre anni. La lontananza è stata la causa principale della mia separazione: questa riforma ha sfasciato la mia famiglia”. Francesca Panebianco, pugliese, ha il terrore dell’ignoto: dovrà lasciare Bari città per la nuova destinazione che “dopo giorni di agonia è Modena, ma non Modena città, bensì paesini che io non ho mai visto né sentito. Dovrei andare in scuole a me sconosciute, in paesi che non conosco”. “Chi riparerà le lacrime di mia figlia?”, scrive Antonio Capodieci in una lettera a Renzi, che profetizza la punizione per i nemici come Zaccaria nel Nabucco: “Caro Matteo, auguro a te, ai membri del tuo governo e a tutti i parlamentari che lo sostengono ed alle rispettive famiglie di passare quello che io la mia famiglia e le famiglie di decine di migliaia di professori italiani stanno passando in questi mesi a causa della cosiddetta buona scuola”. Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, si sofferma invece sull’impatto economico per la Sicilia della deportazione al nord di “settemila insegnanti, non più giovanissimi e legati alla propria terra sia dagli affetti familiari, sia dall’essere pienamente integrati al tessuto economico”. Se “la nostra terra verrà privata anche di questo preziosissimo capitale umano” ci saranno pesanti “ripercussioni sull’equilibrio socio-economico della nostra isola”. Sarà una catastrofe, con invasioni di rane, cavallette e locuste, come da tradizione biblica. “Tante maestre stanno facendo le valigie e non per andare in vacanza al mare con la famiglia. Per andare lontano, abbandonare il Molise: una strada senza ritorno – scrive la Uil molisana – Ferie saltate e piani familiari sconvolti come effetto di un esodo senza precedenti, per questi docenti la cattedra di ruolo ha davvero un sapore amaro”. Un’amarezza che evoca la profezia rivolta da Cacciaguida a Dante sul suo esilio da Firenze: “Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Magari anche questa sciagura ispirerà qualche deportato a comporre un’opera destinata a fare storia, tipo la Divina Commedia o il Nabucco. Luciano Capone, Il Foglio 11/8/2016